Caselli: “Giusto pubblicare le intercettazioni, svelano gli scandali. I cittadini devono sapere”

19 Apr 2015

Liana Milella

Roma. «La pubblicazione delle intercettazioni può svelare i cosiddetti “arcana imperii” ed è proprio questo che il potere, per legittima difesa, non gradisce». Esordisce così Gian Carlo Caselli, magistrato oggi in pensione che non ha bisogno di essere presentato per via della sua storia, dalle indagini su terrorismo e mafia alla direzione di procure come Palermo e Torino.

Roma. «La pubblicazione delle intercettazioni può svelare i cosiddetti “arcana imperii” ed è proprio questo che il potere, per legittima difesa, non gradisce». Esordisce così Gian Carlo Caselli, magistrato oggi in pensione che non ha bisogno di essere presentato per via della sua storia, dalle indagini su terrorismo e mafia alla direzione di procure come Palermo e Torino. Lo dice a “Repubblica” nelle stesse ore in cui da Renzi trapela che tra la soluzione Bruti-Pignatone (pubblicabile solo ordinanzaerichiesta, segreto il resto fino al processo) e quella Gratteri ( niente intercettazioni neppure nelle ordinanze e carcere per i giornalisti che le pubblicano ), è per la seconda.
Bruti-Pignatone, che gliene pare?
«Mi sembra evidente la preoccupazione che possa intervenire un qualche giro di vite ancora più stretto e quindi la volontà di provare a ridurre i danni. Ma sono pur sempre proposte che si prestano a critiche». Così si sposterebbe molto avanti la possibilità di apprendere dettagli importanti delle intercettazioni e dell’impianto stesso delle inchieste…
«L’esperienza ci dice che da alcuni anni l’informazione ha avuto un ruolo decisivo per far conoscere, e quindi contrastare meglio, alcuni gravi problemi che il nostro Paese ha avuto. L’elenco è lunghissimo. Per usare il linguaggio giornalistico, parliamo di Tangentopoli, Bancopoli, Furbettopoli, Calciopoli, Vallettopoli, Crac Cirio, Crac Parmalat, e via via i nuovi scandali, Expo, Mose, Mafia Capitale. Se non ci fosse stata un’informazione attenta, come per fortuna c’è stata, la qualità della nostra democrazia avrebbe potuto peggiorare. Se questo ruolo fosse cancellato o pesantemente limitato sarebbero guai». Spostare in avanti la pubblicità dei materiali del processo, non è in contraddizione con l’ansia dirompente di sapere dell’opinione pubblica?
« Comprimere più di tanto la libertà di informazione mi sembra molto pericoloso perché rischieremmo di non sapere più nulla degli scandali della cui gravità abbiamo detto. Tanto più se si tiene conto dei tempi del nostro processo che, se si aspettano le udienze pubbliche, campa cavallo… E attenzione che così anche le autorità di controllo e il potere politico, che in un sistema ben funzionante dovrebbero conoscere tempestivamente quel che succede di storto per poter intervenire, rischierebbero di non sapere più nulla per anni. I danni prodotti dalle storture potrebbero diventare irrimediabili».
Si ipotizzano multe cospicue per i giornalisti se esce materiale riservato. E c’è chi pensa alla galera…
«Se le pubblicazioni fossero davvero sanzionate con multe salatissime (alla galera non voglio neppure pensare perché mi sembra una boutade) i giornali medio-piccoli sarebbero costretti ad autocensurarsi e il pluralismo dell’informazione, se non anche la sua libertà tout court, potrebbero sparire. La materia è delicatissima, e se si comincia con uno strappo, non si sa dove si potrebbe finire».
Non trova assurdo che sì pensi di multare l’editore?
«È come se dalla catena di montaggio uscisse una macchina difettosa e il responsabile fosse il direttore del personale… È un’estensione pericolosa di responsabilità molto opinabile».
Ma dove va piazzata l’asticella per gli ascolti?
«In Italia il problema delle intercettazioni viene riproposto ciclicamente, in particolare quando emergono vicende che riguardano personaggi di una certa notorietà, soggetti “forti”, che hanno voce politica e/o mediatica. In questi casi scatta, con una tempistica molto significativa, la richiesta di interventi restrittivi a tutela di coloro che si trovano sbattuti o temono di finire sulle prime pagine dei giornali. Richiesta da parte dei diretti interessati più che comprensibile, anche se non si può non sottolineare che la stessa sensibilità non si riscontra quando sono in gioco interessi di semplici cittadini».
Ma cosa, e soprattutto quanto e quando, può diventare pubblico delle intercettazioni?
«In linea di principio, si è di solito d’accordo nel sostenere che non devono essere utilizzabili all’interno del processo e neppure pubblicate all’esterno le conversazioni irrilevanti ai fini dell’accertamento della verità, ovvero relative a fatti o soggetti del tutto estranei al processo. Resta però il problema di un eventuale rete relazionale articolata che coinvolga più soggetti (con posizioni diverse, anche penalmente irrilevanti) quando questa rete, vista la tipologia del reato indagato, può incidere sulla sua prova. Sciolto questo nodo e fissati i paletti che espungono dal processo sia i terzi estranei sia le conversazioni private che non riguardano il processo, rimane soltanto il materiale necessario all’accertamento della verità. E non dovrebbero esserci limiti alla pubblicazione di ciò che non è più segreto in quanto comunicato alle parti».

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