Riforme costituzionali. La nostra carta d’identità

10 Apr 2015

La vita istituzionale del nostro Paese attraversa oggi una stagione molto particolare in attesa di quella «grande» riforma costituzionale che è stata avviata e che, una volta attuata, finirà per cambiare un buon terzo della disciplina contenuta nella Carta repubblicana del 1948. Se i tempi che il governo e la maggioranza si sono dati verranno rispettati, entro il prossimo anno assisteremo alla modifica delle strutture e delle funzioni del Parlamento, di molti poteri del governo, del modo di elezione del capo dello Stato, delle competenze della Corte costituzionale, degli istituti di democrazia diretta, dell’intero sistema dei rapporti tra Stato centrale e autonomie territoriali. In pratica, se aggiungiamo la riforma elettorale che si discute in parallelo con la riforma costituzionale, assisteremo a un

La vita istituzionale del nostro Paese attraversa oggi una stagione molto particolare in attesa di quella «grande» riforma costituzionale che è stata avviata e che, una volta attuata, finirà per cambiare un buon terzo della disciplina contenuta nella Carta repubblicana del 1948. Se i tempi che il governo e la maggioranza si sono dati verranno rispettati, entro il prossimo anno assisteremo alla modifica delle strutture e delle funzioni del Parlamento, di molti poteri del governo, del modo di elezione del capo dello Stato, delle competenze della Corte costituzionale, degli istituti di democrazia diretta, dell’intero sistema dei rapporti tra Stato centrale e autonomie territoriali. In pratica, se aggiungiamo la riforma elettorale che si discute in parallelo con la riforma costituzionale, assisteremo a un cambiamento profondo delle tecniche di funzionamento dell’intero impianto costituzionale e, conseguentemente, degli equilibri complessivi che hanno sinora retto la nostra forma di «governo parlamentare» e la nostra forma di «Stato regionale». La portata storica di questo passaggio giustifica, dunque, ampiamente le tensioni che il dibattito parlamentare ha fatto registrare nelle prime tappe procedurali di questa riforma, al Senato, nella scorsa estate, e alla Camera, nelle ultime settimane. Quello che suscita, invece, qualche sorpresa rispetto alla rilevanza della posta in gioco è la scarsa attenzione sinora prestata dai mass media e dal mondo dei giuristi agli effetti di lunga durata che una riforma di queste dimensioni inevitabilmente comporta. Si pone, dunque, in questo momento il problema di come scuotere l’atonia di un’opinione pubblica che, alla fine della partita, sara’ quasi sicuramente chiamata a esprimere il proprio giudizio attraverso un referendum. Da qui l’attualità e l’interesse della riflessione che Francesco Paolo Casavola svolge in una raccolta di saggi pubblicata di recente dalla Cittadella Editrice di Assisi sotto il titolo “Tornare alle radici. Per la ricostruzione delle basi della democrazia”: saggi dove si affronta l’esame di quei temi di fondo di cui sinora abbiamo avvertito la mancanza nel dibattito politico e che, nella ricerca delle radici storiche del nostro assetto costituzionale, investono tanto i valori fondamentali quanto le forme essenziali dell’impianto democratico fissato nella Carta repubblicana. Questo impianto, definito in risposta all’esperienza tragica di una dittatura e di un conflitto mondiale, ha tratto, come è noto, la sua ispirazione maggiore dalle tradizioni di quel liberalismo europeo fondato nella cultura greca, romana e cristiana e tradotto, in età moderna, nelle forme dello Stato di diritto e dello Stato sociale. A queste «radici» vanno, infatti, collegate anche le forme di quello Stato costituzionale e di quella democrazia pluralista che la Costituente repubblicana, attraverso un confronto duro e intenso tra posizioni ideologiche inizialmente molto distanti, riuscì alla fine a delineare con largo consenso come un modello del tutto nuovo e originale nel contesto europeo.
Il monito
Le Costituzioni sono congegni molto delicati da toccare con cautela e ponderazione
Nel testo della Carta repubblicana i valori destinati a ispirare questo modello vennero, pertanto, individuati nella difesa della persona e della sua dignità; nel pluralismo istituzionale espresso attraverso le formazioni sociali e le autonomie territoriali; nella tutela delle minoranze anche attraverso la dialettica propria del governo parlamentare; nella presenza di una costituzione rigida sottratta alla disponibilità di maggioranze contingenti e presidiata da organi di garanzia dotati di poteri incisivi. Su queste linee è nata la carta di identità di un Paese come il nostro, che la storia aveva reso molto diviso, ma che negli anni della Costituente risultava unito dall’esigenza di far maturare il tessuto di una democrazia moderna premunendosi dal rischio di nuove svolte autoritarie. Il filo rosso che guida la riflessione condotta in questo volume ci aiuta, dunque, a cogliere la ricchezza e la complessità del nostro percorso repubblicano, dalle sue matrici più lontane alle sue proiezioni più recenti orientate verso l’integrazione nel quadro europeo. Un percorso ricco di luci e di ombre, ma che Casavola riesce a cogliere in profondità anche in ragione delle sue molteplici esperienze intellettuali: come storico del diritto, come giudice costituzionale in una stagione che fece registrare un forte attivismo del nostro sistema di giustizia costituzionale; infine, come studioso particolarmente sensibile ai terni dei nuovi diritti e della bioetica. Molti sono, dunque, gli spunti che questo libro ci offre per meditare sulle trasformazioni che stiamo attualmente vivendo e che possono essere comprese soltanto collocando i processi in atto dentro i canali di una storia nazionale. Sappiamo che le costituzioni sono congegni molto delicati da toccare con cautela e ponderazione, dal momento che rappresentano, al tempo stesso, tanto il bilancio della storia che ha concorso a produrle quanto il programma per il futuro sociale e politico di un Paese. Oggi tutti avvertiamo l’esigenza e l’urgenza di riforme in grado di migliorare, con la funzionalità dei poteri pubblici, la qualità della nostra democrazia: ma queste riforme, quando proiettate nello spazio costituzionale, per risultare ben calibrate, devono innanzitutto cogliere la linea di confine che divide ciò che è vivo da ciò che è morto dell’originario disegno costituzionale, distinguendo con chiarezza nel testo da riformare i valori consolidati e unificanti da difendere e rafforzare (le «radici») dalle patologie politiche e istituzionali che il tempo ha aggravato e che risulta indispensabile correggere. Una linea di confine tracciata, appunto, dalla storia e che la politica, se non vuoi fallire, è tenuta a rispettare.

Il Corriere della Sera, 10 aprile 2015


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