Diaz, il giudice che chiese il reato di tortura: “La polizia chieda scusa”

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“Dovrei esserne contento, perché conferma il giudizio dei processi genovesi. E invece mi viene un senso di sconforto”. Quando arriva la notizia che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per tortura Roberto Settembre è appena emerso dalle onde del mar ligure che a 65 anni suonati ama solcare con la stessa foga con cui si immerse per due anni nell’abisso delle violenze commesse nella caserma di Bolzaneto durante il G8 del 2001.

È stato infatti il giudice a latere Settembre a scrivere la condanna dei poliziotti che infierirono sui manifestanti del G8 ed è stato lui a ripercorrere lo choc di quel processo, di quelle foto, di quelle facce insanguinate, con il libro “Gridavano e Piangevano” (Einaudi), in cui si sosteneva la necessità di introdurre anche in Italia il reato di tortura.

Che effetto le fa la sentenza della Corte Europea?
Dovrei esserne contento, perché conferma il giudizio dei processi genovesi. E invece mi viene un senso di sconforto, perché dimostra la nostra arretratezza sul piano normativo, 65 anni dopo la Convenzione Europea e 31 anni dopo la Convenzione di New York, entrambe ratificate da un’Italia ancora inadempiente. Eppure quella sentenza è importante perché ha sancito un principio che sfugge alla vulgata: che è tortura anche una singola condotta svincolata dall’intenzione di ottenere qualcosa dal torturato, soprattutto se gratuita e indipendente dal suo comportamento.

Oltre che la sentenza di condanna lei ha scritto un libro sui pestaggi della caserma Bolzaneto. Quali episodi tra le dozzine che ha descritto concretizzano meglio il concetto di tortura?
I fatti citati dalla sentenza e narrati nel mio libro sono stati tanti, perché tante erano le vittime, oltre 250, e tante le ore di tortura pratica in quei tre giorni, dal 20 al 23 luglio 2001 fino a 36 ore consecutive, e tanti i torturatori, decine decine e decine di agenti della polizia di Stato, di agenti della polizia penitenziaria, di carabinieri. Ma sono state le vittime più deboli a essermi rimaste impresse nella memoria. Ricordo un uomo con una protesi a una gamba, costretto a stare per tante ore in una posizione dolorosa, che quando si accasciò sfinito, venne picchiato a sangue nonostante le sue implorazioni di pietà. E persone ferite o fratturate alle braccia, alle costole, alle gambe, picchiate anche sulle ferite.

Una giovane tedesca a cui avevano rotto i denti con il manganello, che perdeva molto sangue ed era costretta a restare in piedi a gambe larghe, venne minacciata, denudata e fu gettata con la faccia nel gabinetto alla turca. Giovani donne e uomini umiliati sessualmente, giovani donne denudate, picchiate, costrette a subire il taglio forzoso dei capelli, minacciate di stupro, equiparate a “puttane ebree ad Auschwitz” e minacciate di violenza sessuale e di morte. E poi l’uso di gas asfissianti in cella, le cantilene orrende cantate ossessivamente nella notte, “1, 2, 3 viva Pinochet!” “4, 5 ,6 morte agli ebrei!”, il marchio scritto sulle guance delle vittime col pennarello per distinguerle da altre vittime: la distruzione dell’io praticata in modo sistematico (fame, freddo, sete, sonno, dolore fisico, sangue, vomito, urina, terrore, solitudine, paura dell’ignoto o della morte, stanchezza terrificante, umiliazione) con effetti sconvolgenti sulla psiche delle vittime.

Perché è importante introdurre il reato di tortura piuttosto che quello di maltrattamento continuato?
Dalla sentenza della Cedu, discende ulteriormente l’urgenza di introdurre questo reato nel nostro ordinamento, affinché sia sancito il principio cardine di ogni ordinamento giuridico dei Paesi civili: che lo Stato garantisce, anche sul piano penalistico, il patto di fiducia che deve legare i cittadini allo Stato con tutti diritti e i doveri che loro competono. Una legge che dovrebbe essere desiderata anche dalla forze di polizia, a tutela del loro dovere di difendere i cittadini e la Costituzione da chi vuole deturparla commettendo questo orribile delitto. Ed è importante che questo reato sia imprescrittibile affinché nessun gioco processuale lo annichilisca.

Cosa pensa del testo sulla tortura approvato dal Senato?
Non mi soddisfa: nel disegno passato al Senato la tortura è un reato comune (che può commettere chiunque) con una pena minima (3 anni) compatibile col bilanciamento delle attenuanti e con i benefici di legge. Solo nella forma aggravata punisce la condotta del pubblico ufficiale ma, col bilanciamento delle attenuanti, si tornerebbe alla pena prevista per il reato comune. Arma spuntata in partenza, dunque. È una legge equivoca: parla di condotta al plurale. Una singola sigaretta spenta in un occhio della vittima non sarebbe tortura? È equivoca anche nell’ipotesi di morte della vittima: morte quale conseguenza non voluta? Se Tizio tortura a morte un essere umano l’accusa, deve dimostrare l’intenzionalità dell’omicidio? Per ritenerlo omicidio volontario aggravato l’accusa deve dimostrare l’intenzionalità dell’omicidio come se la morte fosse un effetto preterintenzionale della tortura?

Dopo la sentenza della corte Europea chi dovrebbe chiedere scusa alle vittime e al paese?
La polizia. Almeno la polizia, che non collaborò per individuare i responsabili nonostante le Convenzioni internazionali, ratificate dall’Italia, lo prescrivessero.

ilfattoquotidiano.it, 8 aprile 2015

1 commento

  • In margine all’intervista del dr. Settembre, il giudice che stese la sentenza di condanna per i fatti della Diaz, vorrei ricordare, con l’articolo che incollo qui sotto, il modo i cui il mondo politico, per bocca di uno dei suoi massimi esponenti, il già Ministro degli Interni, già Presidente del Consiglio, e infine Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, reagì alla notizia che la Procura di Genova stava indagando con scrupolo sugli stessi fatti. Non voglio aggiungere molte parole, perché quelle di Cossiga si commentano da sole. Dico solo che se quei fatti sono accaduti, ciò è stato anche perché, evidentemente, ad alto livello, molti la pesavano come Cossiga, cioè che i torturatori meritassero l’impunità (se non una medaglia), e che i magistrati che indagavano fossero dei rompiscatole. Lascio ora la parola al Presidente emerito.
    Marco Modena

    G8: blitz diaz; duro scontro cossiga-meloni
    Pubblicato il 21 Maggio 2002 da Radio Radicale

    Durissima polemica stamani tra l’ex Presidente della Repubblica e senatore a vita Francesco Cossiga il procuratore della repubblica Francesco Meloni. Cossiga aveva criticato stamani la magistratura genovese per gli avvisi di garanzia ai 48 agenti conivolti nel blitz alla scuola Diaz di Genova durante il G8: “Pensavo, forse speravo – commentava Cossiga – che nell’offensiva della magistratura militante contro le forze di polizia sotto la guida del procuratore aggiunto della Repubblica di Napoli Paolo Mancuso avessimo raggiunto il massimo e che egli da nessun altro sarebbe stato superato dei suoi colleghi della magistratura militante, una volta che giustamente si era guadagnato il titolo di ‘no global’ onorario”.

    “Mi ero sbagliato: a Genova infatti il procuratore della Repubblica Francesco Meloni, dopo aver incriminato per omicidio volontario un carabiniere al cui funerale mi sarei recato se egli non si fosse difeso sparando, vedo che adesso sotto la sua ispirazione la magistratura genovese assolve gli aggressori e punisce chi ha represso e contrastato la violenza”.

    “Al procuratore – concludeva l’ex capo dello Stato – va quindi giustamente il titolo onorifico molto superiore di quello meritatosi sul campo da Paolo Mancuso e precisamente quello di ‘black block’ onorario”

    Non si era fatta attendere la replica del procuratore Meloni: “Non ho intenzione di rispondere a chi, come il senatore Cossiga, per la vanità di apparire non rinuncia a parlare a sproposito. Il nostro lavoro è sotto gli occhi di tutti, trasparente, le nostre indagini sono rivolte ad accertare se sono stati commessi reati a prescindere dalle appartenenze degli autori”. “A essere un black block onorario semmai è Francesco Cossiga”, aveva invece dichiarato ilpresidente dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, rispondendo alle dichiarazioni di Cossiga.

    Ma l’ex presidente della Repubblica Cossiga, ha duramente replicato alla risposta di Meloni: “Ho letto – ha affermato – con ilarità mista a sdegno l’impari tentativo di replica…

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