Ma Renzi non ha più i numeri. Scissione? Assuma lui il problema

01 Apr 2015

Il ballottaggio, che nella narrazione di Renzi è una grande vittoria della sinistra, per Bersani è «un vero pericolo. Non ha niente a che vedere con il doppio turno francese dove ci sono i collegi. Qui lo facciamo su base nazionale e serve solo a incoronare un leader, a creare un presidenzialismo di fatto, una democrazia plebiscitaria. Può capitare che un partito del 27 per cento prenda tutto il potere in un Parlamento di nominati al servizio del capo. E l’altra metà del Paese la consegniamo ai populisti

BersaniIl colloquio/Pierluigi Bersani: “Se il premier continua così anche io chiederò di essere sostituito in commissione. La fiducia? Una sola volta è stata posta su questi argomenti: nel 1953, sulla legge truffa”

La risposta di Bersani a Renzi è una sfida. «Non sono così convinto che abbia i numeri per approvare l’Italicum. A partire dalla commissione Affari costituzionali. Ne dovrà sostituire tanti di noi per arrivare al traguardo. E se continuerà a fare delle forzature, io stesso chiederò di essere sostituito ».

Sarebbe il primo vero strappo dell’ex segretario nella storia del conflitto con Matteo Renzi. La prima plastica trasgressione alla filosofia della Ditta, che va difesa a prescindere. Dopo la direzione di lunedì, Pier Luigi Bersani non ha cambiato idea: se la legge rimane così com’è, non la vota. Lo ripete a un gruppo di deputati che lo accompagna verso il suo ufficio al quinto piano di Montecitorio. Due stanzette prese in prestito dal gruppo di Sinistra e libertà, in un labirinto di scale e ascensori, strategicamente piazzate molto lontano dal Pd e questo è un altro brutto segno.

Bersani non parla di scissione. Quando il fantasma si affaccia, nel corso della conversazione, divaga, non risponde, guarda da un’altra parte. «Vediamo se si fa carico del problema — spiega riferendosi al segretario —. Noi abbiamo detto: concordiamo alcune modifiche e poi votiamo l’Italicum tutti insieme sia alla Camera sia al Senato. E lui che dice? Non mi fido. Ho trovato questa risposta offensiva, molto più di tante battutine personali che riserva a chi dissente. Non mi fido di Berlusconi, lo puoi dire. Ma se non ti fidi del tuo partito, è la fine».

Nell’appassionato ragionamento di Bersani, la battaglia è molto più profonda di un bilanciamento tra preferenze e nominati. «Le preferenze sono un falso problema. Fanno schifo anche a me, io sono per i collegi. Ma tra nominati e preferenze, scelgo le seconde. Se non piacciono a Renzi mi chiedo perché non aboliscono le primarie dove le preferenze raggiungono l’apice. Dicono: ma diventano uno strumento del malaffare. Allora io dovrei pensare che tanti parlamentari del Pd li ha portati qui la mafia?».

Non sta in piedi neanche la ricostruzione di Roberto Giachetti. Bersani sorride: «Il Mattarellum è un sistema imperfetto, ma se me lo danno lo firmo subito. Giachetti purtroppo ha la memoria corta. Non avevamo i numeri per far passare la sua mozione, forse non si ricorda com’era diviso il Parlamento in quella fase. Io comunque andai dai grillini e chiesi: voi lo votate il Mattarellum? Mi risposero: sosteniamo la mozione Giachetti. Insistetti: ma la votate sì o no? Facevano i vaghi, dovevano sentire Grillo e Casaleggio. Ci avrebbero mandato sotto, ecco cosa sarebbe successo».

Il punto però non sono le polemiche interne. «I giornali — dice Bersani — sono pieni di veline.  Le facevo anch’io quando ero segretario, ma un po’ mi vergognavo e dicevo ai miei: andiamoci  piano. L’Italia adesso si prende questa legge elettorale e nessun commentatore sottolinea il pericolo cui andiamo incontro. Vedo un’ignavia diffusa. L’establishment italiano è una vergogna. Sono 4-5 poteri che dicono: andiamo avanti, corriamo. E non si chiedono se andiamo avanti per la strada giusta o verso il precipizio. Potrei fare nomi e cognomi di questi poteri e scrivere accanto le rispettive convenienze che hanno nel tacere, nel sostenere questa deriva».

Ecco il cuore del ragionamento bersaniano: la descrizione di questa deriva. «Renzi vuole l’abolizione della rappresentanza. Punta a una sistema che non esiste da nessun’altra parte al mondo e che non ci copierà proprio nessuno perché l’Europa ma anche gli Stati uniti non sono governati da baluba. Lì si rispetta il voto popolare e si cerca di comporre le forze e i programmi per rappresentare società complesse in un momento molto difficile. Qui da noi no».

Il ballottaggio, che nella narrazione di Renzi è una grande vittoria della sinistra, per Bersani è «un vero pericolo. Non ha niente a che vedere con il doppio turno francese dove ci sono i collegi. Qui lo facciamo su base nazionale e serve solo a incoronare un leader, a creare un presidenzialismo di fatto, una democrazia plebiscitaria. Può capitare che un partito del 27 per cento prenda tutto il potere in un Parlamento di nominati al servizio del capo. E l’altra metà del Paese la consegniamo ai populisti con un esito simile a quello francese. In quel sistema presidenziale, che pure è molto bilanciato, non dai sfogo alla rappresentanza e carichi una molla che alla fine scatta, esplode. Così ti ritrovi Marine Le Pen.

In Italia può succedere la stessa cosa. Si ammucchiano i populisti, Grillo e Salvini, e non sai come finisce». La risposta a questa obiezione manda ai matti Bersani. «Dicono: tanto Renzi dura 20 anni.  Ne siamo proprio sicuri? Secondo me no. La situazione è ancora fluida, la crisi non è finita. Avete visto i dati sulla disoccupazione? Ci siamo ancora dentro e non è detto che gli elettori vorranno uscirne con Renzi e con il Pd. Non dimentichiamo l’esempio di Parma. Disaffezione per la politica, crisi economica e al ballottaggio vincono i 5 stelle. E’ il modello che vogliamo per l’Italia? Se l’onda è questa, io non la seguirò».

L’alternativa andrebbe trovata insieme. «Una correzione che permetta l’apparentamento al ballottaggio sarebbe già un passo avanti». Se Renzi mette la fiducia? «E’ stata messa una sola volta sulla legge elettorale e dopo un ostruzionismo feroce. Era il ‘53, la legge truffa. Sono cambiati i regolamenti, non so se Renzi si spingerà fino a quel punto».

Ma se lo fa, che succede alla Ditta?    «Stavolta prima viene il Paese, poi la Ditta».

la Repubblica,   1 Aprile 2015

 

 

 

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