La parola sinistra e la bussola dei diritti

bussolaLa vecchia sinistra parlava al singolare. Aveva una dottrina che dettava la via, una leadership granitica e (nei Paesi comunisti) personale, una classe sociale compatta e omogenea per forza o, nel migliore degli scenari, per propaganda. Liberare la Sinistra dal linguaggio singolare, scioglierla dal vincolo del consenso unanime e dal verticalismo è stato un lavoro difficile e nei fatti mai compiuto, realizzato parzialmente grazie prima di tutto al successo e alla tenuta della democrazia elettorale. Perché più gli elettori si sono sentiti liberi di andarsene e cambiare partito, più la Sinistra che parlava al singolare si è indebolita. «Non lascio ad altri il monopolio della parola sinistra», dice adesso il segretario del Partito democratico.

Ma governare il pluralismo non è per nulla facile. La difficoltà sta nel riuscire a tenere insieme la lealtà ad alcuni valori e principi di giustizia e l’interpretazione sui modi e la strategia della loro realizzazione. Come ci ha spiegato Thomas Piketty in un articolo su Repubblica, le politiche neoliberali che hanno in questi anni ammaliato i partiti di Sinistra dell’establishment mettono in seria discussione la possibilità di tenere viva un’unità di discorso in forza, non di fedi a una dottrina o una leadership, ma della ragionata condivisione e della competente realizzazione di politiche ispirate ai valori e ai principi che sono tradizionalmente della Sinistra e che, non per caso, sono anche quelli che meglio realizzano le promesse della democrazia. La Sinistra deve accettare la sfida del pluralismo interpretativo senza cedere alla tentazione di affastellare tutto quello che gli esperti di comunicazione suggeriscono per vincere nei sondaggi e conquistare la maggioranza.

Vincere per che cosa?  Cercare di costruire maggioranze solide per avviare quali politiche?

La Sinistra post-singolare non ha ancora appreso a rispondere con convinzione e coerenza a queste domande. E le Sinistre si moltiplicano. Collidono tra di loro proprio perché si è frantumata la linea interpretativa capace di dare un’unità di discorso e di intenti alla pluralità delle opinioni.  A frantumarsi è la capacità di competere per il meglio, ovvero su come rendere possibile la giustizia sociale, su quali politiche adottare per affermarla o difenderla, su quali siano le parti della società che la rivendicano o perché ne sono state private o perché non l’hanno ancora goduta. Diventando plurale, la Sinistra non deve diventare un agglomerato indistinto: questo non è un obiettivo facile, ed è in effetti proprio quel che sembra oggi più difficile da ottenere a giudicare dalla fioritura delle Sinistre, soprattutto sociali (a Sinistra della Sinistra parlamentare), come ha ben argomentato da Marc Lazar qualche giorno fa su questo giornale.

Da quando esiste (ovvero da quando funziona la competizione politica per il consenso elettorale), la Sinistra si è proposta come una forza che parteggia per quella parte di società che rappresenta bisogni più universali ed è per questo sorgente di diritti. Scriveva Antonio Gramsci parlando dei partiti dell’establishment del suo tempo che essi erano incapaci di «spirito pubblico» e di politiche nazionali perché incapaci di «sentire» la sofferenza o i bisogni delle moltitudini, di comprendere il significato della «solidarietà disinteressata ». Tradotto in linguaggio contemporaneo, il problema della Sinistra è di accettare troppo acriticamente il modello neoliberale, di identificare occupazione con qualunque lavoro, di dissociare il lavoro dai diritti, diritti sociali ma anche di libertà dal dominio che il potere economico diseguale rende fatale.

La Sinistra plurale ha di fronte a sé un compito arduo e per nulla immune da rischi di divisioni e di abbandoni: quello di tenere la bussola orientata verso il benessere dei molti e non dei pochi e di farlo senza buttare alle ortiche i diritti. E ancora Piketty: «Dagli anni 80 in poi, la progressività dei sistemi fiscali si è drasticamente ridotta, con una riduzione su vasta scala delle imposte applicabili ai redditi più elevati e un graduale aumento delle tasse indirette, che colpiscono i più poveri».  Un benessere interpretato con il linguaggio dei diritti e della solidarietà sociale, fondato su politiche sociali e servizi pubblici: sono queste le parole che dovrebbero tornare ad avere piena legittimità nella Sinistra plurale.

 

 la Repubblica,  31 Marzo 2015

1 commento

  • Sono completamente d’accordo con il principio della sinistra plurale e democratica, che poi è l’unico modo di soddisfare l’interesse generale. Attualmente la ddemocrazia è percepita dal Presidente del Consiglio come una alternanza di dittature. Il problema è che Renzi ha vinto le elezioni primarie del PD, ma molti pensano (ottenute le primarie “aperte” in Statuto) sia stato eletto da persone né iscritte né simpatizzanti del PD. Infatti molti iscritti se ne sono andati. Le strategie dei potentati economici si sono evolute con l’idea (non nuovissima) di far fare le politiche di destra alla sinistra, aggirando e poi demolendo la democrazia. Sta a noi capire quale sia la soluzione di un simile problema. Probabilmente inserire una forma di vigilanza alle primarie per cui si possa accertare che chi vota sia iscritto o simpatizzante di un partito. Forse non sarebbe male fare una legge in merito al funzionamento interno dei partiti.

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