Dario Fo: Nobel, altro che neutralità i veri padroni sono i politici

26 Mar 2015

«Per fortuna i responsabili del Nobel che mi hanno assegnato il premio hanno una storia ben diversa, e soprattutto un prestigio culturale opposti a quelli del Nobel norvegese», scherza, ma nemmeno poi tanto, Dario Fo. L’artista, 89 anni compiuti il 24 marzo, vincitore del Nobel per la letteratura nel 1997, spiega: «Un conto è il premio che viene assegnato tutti gli anni a Stoccolma, uno dei più seri al mondo a guardare la situazione generale dei premi, selezionato con regole rigidissime, controlli incrociati sui candidati e così via.

«Per fortuna i responsabili del Nobel che mi hanno assegnato il premio hanno una storia ben diversa, e soprattutto un prestigio culturale opposti a quelli del Nobel norvegese», scherza, ma nemmeno poi tanto, Dario Fo. L’’artista, 89 anni compiuti il 24 marzo, vincitore del Nobel per la letteratura nel 1997, spiega: «Un conto è il premio che viene assegnato tutti gli anni a Stoccolma, uno dei più seri al mondo a guardare la situazione generale dei premi, selezionato con regole rigidissime, controlli incrociati sui candidati e così via. Un conto, per quello che ne so, è il Nobel della Pace, assegnato in Norvegia, deciso da un comitato composto da persone scelte dal Parlamento norvegese, condizionato come si vede in questi giorni dai cambiamenti politici di quel paese».
Questo condizionamento della politica le sembra normale?
«Macché! E’ una bella sberla alla neutralità che un premio davvero prestigioso dovrebbe avere. Tanto per essere chiari: non verrebbe mai in mente a nessun governo svedese di far saltare tutto l’’impianto del Nobel per la Letteratura o per la Chimica, in conseguenza di un cambio politico. Questo stabilisce la misura della diversa serietà dei due premi Nobel».
Come riformare allora quello della Pace?
«Non mi intendo di statuti ma, so che, almeno negli ultimi premi, è stato assegnato anche a persone che la pace l’’hanno semmai calpestata».
Si riferisce a Obama, Nobel per la Pace controverso per il suo ruolo di comandante in capo delle forze armate?
«No, il premio a Obama lo posso anche capire. In fondo era da intendersi come una sollecitazione, un segno simbolico alla più grande potenza del pianeta: tu che sei il primo presidente nero americano, democratico, mantieni le promesse per una trasformazione reale del tuo paese anche rispetto al suo ruolo nello scenario internazionale, battiti perché il tuo paese non finanzi più le guerre nei vari punti del pianeta come è stato finora, perchè in Iraq Obama, in fondo, ci si è ritrovato per colpa di Bush. Personalmente trovo più inaccettabile il premio assegnato all’’Europa nel 2012. Una gaffe vergognosa».
Che c’’è di scandaloso? In Europa non c’’è una guerra da settant’’ anni.
«L’’Europa non le fa ma ha l’’arsenale bellico più ricco del pianeta e partecipa alle guerre fornendo alle nazioni belligeranti tonnellate di armi: francesi, tedeschi, italiani. E poi basterebbe vedere come sta lasciando morire senza battere ciglio tanti profughi che muoiono non lontano dal suo territorio o che tentano di salvarsi qui da noi. Chiaramente aver dato il Nobel della Pace all’’Europa era una scelta politica di sostegno ai governanti che hanno in mano le sorti del nostro continente».
Ma allora come dare un valore autentico al Nobel per la Pace?
«Forse non serve così, per avallare questa o quella politica. Servirebbe invece se fosse la testimonianza simbolica da dare a chi fa davvero un lavoro importante e chiaro di denuncia. Contro chi grazie alla guerra si arricchisce di soldi e potere».

la Repubblica, 26 marzo 2015

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