L’insegnamento di Platone, il politico sia senza famiglia

25 Mar 2015

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Il più radicale degli utopisti, Platone, decise che la repubblica doveva impedire che la classe politica avesse famiglia e proprietà, le due condizioni che compromettevano la selezione dei guardiani in base al merito richiesto per il governo della città (coraggio e conoscenza) perché inevitabile ragione di parzialità: prima vengono i figli e la famiglia (allargata ai clientes che valgono a renderla più rispettabile) e prima viene la cura dei propri averi (che si somma a quella per la famiglia).

 Il piùimage radicale degli utopisti, Platone, decise che la repubblica doveva impedire che la classe politica avesse famiglia e proprietà, le due condizioni che compromettevano la selezione dei guardiani in base al merito richiesto per il governo della città (coraggio e conoscenza) perché inevitabile ragione di parzialità: prima vengono i figli e la famiglia (allargata ai clientes che valgono a renderla più rispettabile) e prima viene la cura dei propri averi (che si somma a quella per la famiglia). L’’utopia platonica della società armonica governata da un’’avanguardia di virtuosi ha ispirato fanatici della giustizia e tribunali speciali. Ma la sua diagnosi delle ragioni dell’’ingiustizia è diventata un monito per chi fa le leggi: i padri tendono a riprodursi nei figli, i possidenti negli eredi. Gaetano Mosca cercò di fare di questa generalizzazione una regola: in ogni società, gli individui lottano per la preminenza e la conservazione dello status che li posiziona in alto, e quindi per il controllo dei mezzi che li agevolano in questo compito. Nelle società politiche basate sulla selezione elettorale, questi mezzi sono quelli che consentono la creazione della reputazione e della fama: circa la reputazione è la costruzione di un cerchio di amici o accoliti che più conta; circa la fama presso gli elettori che dovranno convalidare la selezione è il controllo dei mezzi di propaganda e informazione.
Ma il primo stadio della scalata della classe politica è la conquista di un gradino di preminenza per la famiglia, perché da qui si può con più facilità procedere alla conservazione dello status. In una ricerca sul nepotismo nella società americana, Seth Stephens-Davidowitz ha calcolato la probabilità statistica con la quale i figli dei politici entreranno in politica stimando che un “figlio di” (il caso esemplare è quello dei Bush, poiché Jeb potrebbe essere il futuro presidente) ha 1.4 milioni di possibilità in più di fare carriera politica di un ordinario cittadino. La distribuzione ineguale dell’’opportunità di emergere è più alta quando il criterio di selezione è l’’opinione — quindi politici e uomini e donne dello spettacolo sono particolarmente agevolati. A queste categorie se ne aggiunge un’’altra che è la più arbitraria: quella dei ricchi, dei super-ricchi, dei miliardari, i quali si riproducono con regolarità e faciltà, potendo fare affidamento solo sulla loro libera scelta. Se ai politici viene richiesto comunque un poco di appealing presso il pubblico, nel caso dei ricchi lo status è semplicemente ereditato senza sforzo alcuno.
Ma è la riproduzione di potere politico quel che più interessa, se non altro perché viviamo, nominalmente almeno, in una democrazia. In un sistema oligarchico non avrebbe senso spendere parola. Né ha senso nel nostro sistema perché il nepotismo, il familismo, il favore che riproduce reputazione e fama, sono insopportabili a tutti. E il sistema di giustizia, per principio fondato sull’’imparzialità e il governo della legge, è lì a dimostrare che non ci deve essere giustificazione né tanto meno tolleranza per l’’uso del potere anche solo per dare una mano ai propri famigliari. Per questo Platone pensava che fosse stato desiderabile che la funzione politica venisse ricoperta da chi non aveva famiglia e proprietà. La Chiesa, che ha seguito alla lettera Platone, non ha per questo brillato di giustizia e rigore, è vero. Tuttavia, la società moderna, che riconosce la famiglia e la proprietà come fondamentali e che nello stesso tempo si impegna ad applicare la “legge uguale” per tutti, è naturalmente più esposta dei chierici al procacciamento del privilegio privato via mezzi politici.
Proprio per questa propensione allo status vantaggioso per sé e la propria famiglia, non ci si deve stancare di denunciare, condannare e rimuovere le forme anche blande o “innocenti” (?) di aiuto ai figli, mariti, nipoti, e amici loro. La ragione di questa severità non è moralistica, ma di prudenza politica: poiché il sostegno dell’’opinione è qualcosa di cui i sistemi rappresentativi non possono fare a meno, e poiché il centro dell’’opinione è il sentimento di fiducia, ne deriva che l’’uso preferenziale del potere, non importa quanto ampio o grave, farà crescere nei cittadini il tarlo del dubbio e della diffidenza verso tutti, con gravissimo danno al sistema. Attendere che la giustizia faccia il suo corso non è per questo prudente nel campo politico, dove è il dubbio, o l’’opinione prima delle prove, ad alimentare la sfiducia.

la Repubblica, 25 marzo 2015

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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