Le tre sinistre

25 Mar 2015

Gli attacchi contro Matteo Renzi durante la riunione della sinistra del Partito democratico, sabato scorso a Roma, non sono il segno di un fenomeno tipicamente italiano, ma testimoniano di un processo generale, in atto in molti partiti della sinistra europea ad esempio in Francia e in Spagna anche se con lievi differenze da un Paese all’altro. Per lungo tempo la sinistra europea era organizzata in due grandi famiglie, la prima riformista, l’altra rivoluzionaria e radicale; mentre oggi le sue diverse sensibilità la suddividono in tre principali settori, uno dei quali manifesta una chiara perdita di velocità.

Gli attacchi contro Matteo Renzi durante la riunione della sinistra del Partito democratico, sabato scorso a Roma, non sono il segno di un fenomeno tipicamente italiano, ma testimoniano di un processo generale, in atto in molti partiti della sinistra europea — ad esempio in Francia e in Spagna — anche se con lievi differenze da un Paese all’’altro. Per lungo tempo la sinistra europea era organizzata in due grandi famiglie, la prima riformista, l’’altra rivoluzionaria e radicale; mentre oggi le sue diverse sensibilità la suddividono in tre principali settori, uno dei quali manifesta una chiara perdita di velocità.
Il primo, quello della sinistra liberale e pragmatica, è incarnato in maniera quasi emblematica da Matteo Renzi. Deliberatamente post-ideologico, il primo ministro ha già proclamato più volte di ritenere superata la divisione sinistra-destra: per lui contano solo le riforme economiche, amministrative e politiche necessarie al rilancio dell’’Italia e dell’’Europa. Ispirandosi al metodo della triangolazione, caro a Bill Clinton, che consiste nell’’impossessarsi dei temi dell’’avversario, Renzi si propone di attirare elettori dal centro-destra e da categorie normalmente poco inclini a votare a sinistra. Per lui il partito del XXI secolo non avrà più nulla a che vedere col classico partito di massa nato alla fine dell’’800, con strutture rigide e una forte dottrina, radicato nella società, con numerosi iscritti. Ma non sarà neppure il partito acchiappa- tutto della seconda metà del secolo scorso, che cercava di ammorbidire la propria dottrina per conquistare fasce sociali diversificate.
Il partito moderno è quello del leader che si rivolge agli individui, grazie al suo carisma e a tutti i moderni mezzi di comunicazione. Un leader forte, talora decisionista, al limite dell’’autoritarismo, capace se occorre di giocare una carta populista per cercare di ridestare nei cittadini più diffidenti verso le istituzioni e per i loro dirigenti il gusto della politica. In breve, una sinistra che si adatti alle mutazioni di società più individualiste, e alle odierne “democrazie del pubblico” — pur continuando a richiamarsi ad alcuni suoi valori storici: l’’uguaglianza — distinta però dall’’egualitarismo — o la giustizia sociale, per orientare la propria azione pubblica. In questo senso Manuel Valls in Francia, pur con la sua peculiare personalità e le sue singolarità, è vicino a Matteo Renzi.
A questa sinistra se ne contrappone un’’altra, in maniera sempre più dura e violenta: quella radicale, che afferma di incarnare la “vera sinistra”. Presente in Italia con Sel, e da ultimo con Maurizio Landini, e in Francia col Front de gauche di Jean-Luc Mélenchon, questa “sinistra della sinistra”, incoraggiata dal successo di Syriza in Grecia e dall’’avanzata di Podemos in Spagna, ricorre a una retorica della rottura radicale col liberismo, con l’’Unione Europea e coi partiti tradizionali; ma in concreto propone un programma di difesa del welfare, o magari la sua estensione, e un’’ampia ridistribuzione sociale. Anche questo schieramento, che dispone di forze variabili, manifesta in ciascun Paese le sue particolarità, cercando ovunque di affermare la propria autonomia politica. E si sforza di crearsi, a seconda dei sistemi elettorali in vigore, uno spazio elettorale suo proprio — a volte col rischio di seguire una strategia suicida, come in Francia in occasione delle elezioni dipartimentali: di fatto, qui il Front de gauche ha contribuito all’’indebolimento del Partito socialista, rimanendo a sua volta sconfitto. Tutto ciò ha scavato un fossato sempre più profondo, quasi incolmabile, tra queste due sinistre, a beneficio (tranne che in Italia, almeno per ora) delle formazioni populiste di estrema destra, così come di quelle che rifiutano di collocarsi su quest’’asse.
Esiste infine una terza sinistra, strattonata tra le due prime e molto eterogenea: quella di mezzo. In Italia fa capo a D’’Alema, Bersani, Cuperlo e Civati, e attacca Renzi sia per la sua gestione del partito, sia per alcune sue riforme (anche se non tutte) e il suo metodo di governo. Per il momento questo gruppo conduce la propria battaglia all’’interno del Pd e non pensa a una scissione, anche perché il suo margine di manovra è troppo stretto. Lo stesso avviene in Spagna con Izquierda socialista in seno al Psoe, o in Francia con la “fronda” del Ps, più influente, in seno al suo partito, della sinistra Pd, che si contrappone a Valls e a Hollande, ma in fondo non ha una vera alternativa da proporre. Non è né social-liberale, né radicale di sinistra. Questi ninistes ( da ni, che in francese vuol dire né) si proclamano socialdemocratici, nel momento stesso in cui le ricette della socialdemocrazia sono in crisi, sia per la concezione del partito che per l’’azione al governo. Presi come in una tenaglia tra due poli — la sinistra social-liberale e quella radicale — sono alla ricerca di un’’identità perduta.
Oggi questa tripartizione squilibrata, che illustra l’’importante evoluzione in atto in seno alla sinistra europea, sta disorientando elettori e simpatizzanti. Ma indubbiamente preannuncia, in un futuro più o meno prossimo, importanti ricomposizioni politiche e drammatiche rotture.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)

la Repubblica, 25 marzo 2015

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