Al gran ballo dei sovrintendenti cambiano di posto in cento

04 Mar 2015

 Al gran ballo dei sovrintendenti, diretto dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, sono invitati un centinaio di conservatori dei nostri quadri e monumenti. Per l’esattezza 89 soprintendenti, tre direttori di biblioteche nazionali e 19 dirigenti del ministero. Senza problemi di genere, anzi: qui per le signore è difficile trovare abbastanza cavalieri.
 Sebbene dal ministero non arrivi alcuna conferma ufficiale («pubblicheremo i nomi sul sito dopo il vaglio della Corte dei Conti»), la riforma Franceschini sta entrando nel vivo con le nomine nelle nuove sovrintendenze. Nomine che sono state trasmesse ai sindacati per valutazione consultiva.
 La «riforma» Franceschini prevede una «rivoluzione» nel settore che – tralasciando le soprintendenze archeologiche e archivistiche – porterà a identificare quattro diversi livelli nella gestione dei beni artistici. Il primo è la nomina dei direttori dei 20 principali musei italiani: sono arrivate 1200 domande e una commissione sta vagliando i candidati. Il secondo è la nomina dei veri e propri soprintendenti alle Belle arti, architettura e paesaggio. Il terzo è la nomina dei direttori dei Poli regionali che si occuperanno di tutti i musei della regione (ad eccezione di quelli che rientrano nei 20). Il quarto sono i segretari regionali, dirigenti di seconda fascia (76 mila euro) che sostituiscono i direttori regionali (dirigenti di prima fascia, 130 mila euro), che hanno compiti di stazioni appaltanti.
 L’accorpamento delle sovrintendenze innesca un cambio generale che non è, però, un rinnovamento (solo per i 20 direttori di musei c’è un concorso con possibili nuovi inserimenti) ma un rimescolamento di sedie di dirigenti già in ruolo. Ovvero spostamenti e qualche avviamento alla pensione.
 Difficile individuare un criterio univoco negli spostamenti, che paiono frutto di valutazioni ad personam : l’unico elemento che li unirebbe sarebbe la richiesta del commissario anticorruzione Cantone che avrebbe suggerito il rimescolamento delle cariche per impedire che i dirigenti pubblici mettano troppe radici. Il ministero si attiene alla regola che nessuno resti più di dieci anni nello stesso posto. Valutazione che non tiene in conto la necessità, per i soprintendenti, di conoscere profondamente il territorio.
 Il valzer tocca in maniera diversa Venezia, Firenze, Milano, Roma. Via tutti da Venezia: Renata Codello, che ha curato i restauri delle Gallerie dell’Accademia come sovrintendente ai Beni architettonici viene mandata a fare la soprintendente a Roma; la sua collega Giovanna Damiani, sovrintendente ai Beni artistici, va in Sardegna. Metodo opposto a Firenze: qui, dopo il controverso addio della Acidini (che ebbe divergenze con Renzi quando era sindaco), la poltrona è passata ad interim ad Alessandra Marino che viene ora promossa a soprintendente generale. Secondo alcuni è una «strana coincidenza», ma anche altri 7 sovrintendenti sono nelle sue condizioni.
 A Milano arriva una nuova soprintendente che era a Ravenna: Antonella Ranaldi, non famosissima. Siccome a Brera arriverà un nuovo direttore, Sandrina Bandera, attuale sovrintendente e direttore di Brera, diventa sovrintendente del polo regionale della Lombardia (si occuperà di tutti i musei fuorché Brera), mentre Alberto Artioli, attuale responsabile dei Beni architettonici, farà il segretario regionale. Luigi Ficacci, noto studioso e sovrintendente a Bologna, andrà ad Urbino, posto lasciato libero da Fabio de Chirico, che va alla direzione generale per l’arte contemporanea a Roma. Pure Maria Vittoria Marini Chiarelli lascerà la Galleria d’arte moderna di Roma per andare al settore educazione e ricerca del ministero (una posizione subordinata rispetto alla precedente?), retto da pochi mesi da Caterina Bon Valsassina, ex direttrice regionale della Lombardia. Luca Rinaldi, sovrintendente in Piemonte al centro della polemica sulla richiesta rimozione del vagone in piazza a testimonianza della deportazione ebraica, andrà in Liguria (aspirava alla Lombardia). Cambiare tutto per cambiare qualcosa o per non cambiare niente?

Il Corriere della Sera

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