Camusso: firmiamo per un nuovo statuto dei lavoratori; il governo cancella i diritti e non crea posti

22 Feb 2015

ROMA La sfida della Cgil al governo Renzi si chiama Nuovo Statuto dei lavoratori. «Si deve fare ogni sforzo — dice Susanna Camusso, segretario generale del sindacato più grande d’Italia — per ricostruire un diritto del lavoro dopo i danni determinati dalle scelte del governo. Vanno affermati diritti universali di tutti coloro che lavorano indipendentemente dal contratto».
È quel che dice il senatore del centrodestra Maurizio Sacconi secondo cui lo Statuto dei lavoratori è caduto ora va scritto uno Statuto dei lavori?
«No, assolutamente no. Il problema non sono i lavori — come sostiene il vero autore delle politiche del governo sul lavoro — il problema sono i

 ROMA La sfida della Cgil al governo Renzi si chiama Nuovo Statuto dei lavoratori. «Si deve fare ogni sforzo — dice Susanna Camusso, segretario generale del sindacato più grande d’’Italia — per ricostruire un diritto del lavoro dopo i danni determinati dalle scelte del governo. Vanno affermati diritti universali di tutti coloro che lavorano indipendentemente dal contratto».
È quel che dice il senatore del centrodestra Maurizio Sacconi secondo cui lo Statuto dei lavoratori è caduto ora va scritto uno Statuto dei lavori?
«No, assolutamente no. Il problema non sono i lavori — come sostiene il vero autore delle politiche del governo sul lavoro — il problema sono i diritti di coloro che lavorano. Nel decreto del governo non c’’è alcuna estensione dei diritti e delle tutele. Non cambierà nulla ed è l’’ennesima dimostrazione del baratro che c’’è tra gli annunci e la realtà».
Parleremo del Nuovo Statuto. Renzi, intanto, ha detto che quella di venerdì è stata una “giornata storica” con l’’abolizione dell’’articolo 18 e la cancellazione delle false collaborazioni. Lei condivide?
«Ahimè sì. È stata una giornata molto negativa per le decisioni prese, per la filosofia che si è affermata, per il rapporto che si è stabilito con il Parlamento. Per i diritti, per i lavoratori, per i giovani è una giornata da segnare in nero, mi auguro che sarà al più presto cancellata».
Eppure, nel decreto c’’è scritto che “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”. Non è la richiesta della Cgil?
«Certo, ma quello che hanno realizzato non è un contratto a tempo indeterminato. Per noi il rapporto di lavoro porta in sé le tutele e il riconoscimento delle libertà dei lavoratori. La monetizzazione crescente non è un rapporto di lavoro nel quale si realizza la libertà del lavoratore. C’’è piuttosto lo stato di perenne condizionamento, la costituzione di uno stato servile e non paritario».
Lei parla di uno stato “servile” del lavoratore perché è stato abolito il diritto al reintegro. Ma l’’articolo 18 si applicava e si applica ai lavoratori già assunti solo nelle aziende con più di quindici dipendenti. Tutti gli altri sarebbero già oggi in condizioni di servilismo?
«La questione, come abbiamo sempre detto e come ha sempre affermato la giurisprudenza, è l’’effetto deterrente che l’’articolo 18 dispiegava: non mi puoi licenziare ingiustamente perché mi posso difendere. Ora, con la stessa filosofia della soglia del 3 per cento sull’’evasione fiscale, si stabilisce che è accettabile un comportamento anche se illegittimo. Questa sì è davvero una rivoluzione o meglio una contro-rivoluzione. Ed è contro i soggetti più deboli».
La tesi del governo è che il superamento dell’’articolo 18 toglie ogni alibi alle imprese e dunque offre più opportunità di lavoro ai giovani. Non vale la pena accettare meno diritti e più lavoro?
«Ci sarebbero più opportunità di lavoro se qualcuno si occupasse di creare lavoro. È che nessuno lo fa. Rimane sempre lo stesso bacino di tre milioni di disoccupati e del 40 per cento di giovani senza lavoro. Se solo si sbloccasse quella follia della legge sull’’età pensionabile si determinerebbero 400 mila assunzioni senza bisogno di falcidiare i diritti, demansionare i lavoratori e creare precariato mascherato. Renzi sbandiera il vessillo del primato della politica e poi delega tutto alle imprese».
E se fosse vero che con il decreto 200 mila finti collaboratori saranno assunti, come ha detto Renzi, con un contratto a tempo indeterminato?
«Ecco: questo è il tipico modo di costruire una notizia. Tutti danno per scontato questa operazione ma nessuno andrà a verificare cosa, come e se si realizzerà. Ad esempio, dove sono i vincoli che permettono a un giovane collaboratore di chiedere la trasformazione del suo contratto? Non c’’è niente. E in più tutti i contratti precari escono indenni dal decreto».
La Cgil proclamerà un nuovo sciopero generale?
«Continueremo la mobilitazione, con tutte le forme necessarie. Le ho detto: va ricostruito un diritto del lavoro. Dobbiamo mettere in campo una campagna che parli a tutto il Paese».
Per difendere il vecchio Statuto del 1970?
«A parte che, per fortuna, non è stato ancora del tutto smantellato, pensiamo che ci voglia una legge universale che riconosca a tutti gli stessi diritti perché non è vero che per riconoscere la modernità si debbano cancellare i diritti. Raccoglieremo le firme su questo per una legge di iniziativa popolare» Quando sarà pronta?
«Ci stiamo lavorando e coinvolgeremo il maggior numero di lavoratori, persone, associazioni, studiosi possibile».
Pensate anche di raccogliere le firme per un referendum abrogativo del Jobs Act?
«Non abbiamo escluso nulla. Valuteremo tutto ciò che è utile a sostenere la nostra proposta di legge».
Ma se la riforma dovesse funzionare non sarebbe una bella notizia anche per voi?
«Mi chiede se saremmo contenti di una ripresa dell’’occupazione? Ne saremmo entusiasti. Vorrebbe dire che l’Italia, con il lavoro di tanti, è uscita dalla crisi. La realtà è però un’’altra. Se la Fiat decide di assumere a Melfi lo fa non perché i diritti dell’’articolo 18 sono stati cancellati ma perché, cambiando strategia, ha scelto di produrre un nuovo modello in Basilicata. La realtà dice anche che a maggio scadrà la cassa integrazione in deroga. Quelle persone saranno licenziate?».

La Repubblica, 22 febbraio 2015
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