Jobs act/Renzi schiaffeggia le Camere sui licenziamenti collettivi

21 Feb 2015

Il premier se ne infischia del parere del Parlamento e conferma il “no” al reintegro anche per le procedure collettive (vince Confindustria). Il ministro Orlando: “Io non l’ho votato”. Furiose Cgil e minoranza Dem. Nel ddl concorrenza si tagliano i risarcimenti per le vittime della strada. Rinviati i tre decreti fiscali: c’era il timore di altre “manine”
Per festeggiare il primo compleanno del suo governo, Matteo Renzi ha smantellato lo Statuto dei lavoratori. Il Consiglio dei ministri, infatti, ha approvato, dopo il passaggio nelle commissioni parlamentari, i due decreti delegati che costituiscono il cuore del Jobs Act, regolando il contratto a tutele crescenti e la nuova Aspi.

  Il premier se ne infischia del parere del Parlamento e conferma il “no” al reintegro anche per le procedure collettive (vince Confindustria). Il ministro Orlando: “Io non l’ ’ho votato”. Furiose Cgil e minoranza Dem. Nel ddl concorrenza si tagliano i risarcimenti per le vittime della strada. Rinviati i tre decreti fiscali: c’’era il timore di altre “manine.”
Per festeggiare il primo compleanno del suo governo, Matteo Renzi ha smantellato lo Statuto dei lavoratori. Il Consiglio dei ministri, infatti, ha approvato, dopo il passaggio nelle commissioni parlamentari, i due decreti delegati che costituiscono il cuore del Jobs Act, regolando il contratto a tutele crescenti e la nuova Aspi. Varato anche un terzo decreto sul riordino dei contratti precari. “Oggi è il giorno atteso da anni” è stato il tweet con cui Renzi ha annunciato la giornata. Poi, in conferenza stampa, ha dato fiato alle trombe della retorica: “È il giorno atteso da un’ ’intera generazione, quello in cui si smette di far la guerra ai precari e la si fa alla precarietà. Ora parole come mutuo, ferie, diritti entrano nel vocabolario di una generazione”. Infine un tocco alla George W. Bush: “Nessuno sarà lasciato indietro”. “L’ ’unico risultato è la liberalizzazione dei licenziamenti”, scolpisce invece Susanna Camusso della Cgil.
 Vince Squinzi: addio art. 18, sì ai demansionamenti.
 Che il compleanno del governo Renzi si festeggi sulle spalle dello Statuto, oltre alle modifiche all’articolo 18, lo dimostra una nuova norma inserita all’ultimo minuto nel decreto sui nuovi contratti inviato alle Camere: la modifica dell’articolo 13 della legge 300 che regola le “mansioni del lavoratore”. Le imprese potranno, unilateralmente, cambiare le mansioni di un lavoratore in caso di “modifica degli assetti organizzativi” sia per i vecchi che per i nuovi assunti. La legge finora prevede, infatti, di mantenere ferme le mansioni per le quali il lavoratore è stato assunto o che ha acquisito nel corso della carriera, da domani non più. Senza “modifiche alla retribuzione in godimento”, dice il decreto, ma questo andrà poi visto concretamente: alle mansioni, ad esempio, sono spesso agganciate indennità che non concorrono a formare la retribuzione.
 Non è finita: irritando anche la Cisl, Renzi ha deciso di schiaffeggiare il Parlamento infischiandosene del parere espresso dalle commissioni in tema di licenziamenti collettivi. Anche per questi, quindi, si applicheranno le nuove regole sulla giusta causa: invece del reintegro l’ ’azienda potrà provvedere al risarcimento dei lavoratori. Un’ ’occasione per monetizzare le crisi aziendali senza dover passare per i tavoli di crisi. Le modifiche entreranno in opera già dal 1 marzo e, almeno in questo caso, la sostanza della riforma si sentirà. Il contratto a tutele crescenti sostituisce, al divieto di licenziamento senza giusta causa, un indennizzo crescente in base all’ ’anzianità di servizio con un tetto a 24 mensilità. Il reintegro nel posto di lavoro rimarrà soltanto per i licenziamenti nulli, discriminatori e, per i disciplinari, solo quando il fatto materiale contestato è insussistente.
 Per i disoccupati del futuro molto fumo e pochi soldi
 L’ ’altro decreto approvato definitivamente riforma, invece, l’ ’indennità di disoccupazione introducendo la Naspi. Per coloro che perderanno il posto di lavoro e avranno almeno 13 settimane di contributi negli ultimi quattro anni, dal 1 maggio 2015 scatterà un’indennità, parametrica alla retribuzione con durata di 24 mesi (ma nel 2017 scenderà a 18 mesi). Prevista anche una indennità ridotta, l’’ Asdi, della durata di sei mesi, per coloro che al termine del periodo di Aspi non avranno ancora trovato lavoro. Prevista, infine, anche la Dis-Coll, la disoccupazione per i contratti di collaborazione con almeno tre mesi di contributi versati nel corso dell’ultimo anno. C’ ’è il problema delle risorse. Su questi capitoli il governo ha messo poco meno di 2 miliardi in tutto, meno di quanto siano costati i vecchi ammortizzatori sociali nel 2014: davanti alle commissioni parlamentari ha però ammesso che quella cifra probabilmente non basterà e i soldi andranno trovati con una manovra di finanza pubblica corrispondente a quel che manca. Tradotto: ad oggi non è sicuro che i sussidi siano finanziati per tutti.
 I nuovi contratti: dal 2016 via Co.co.co. e Co.co.pro.
 Fa parte, invece, del decreto inviato ieri alle Camere per i pareri non vincolanti, il riordino delle tipologie contrattuali e la riorganizzazione dei cosiddetti contratti precari. Riorganizzazione molto parziale senza effetti immediati. Resta il contratto a tempo determinato con durata di 36 mesi comprensiva di cinque proroghe. Con l’ ’obiettivo di ridefinire il lavoro subordinato e il lavoro autonomo (introducendo il concetto di “prestazioni reiterate secondo un orario definito dal committente ed eseguite in base a ordini gerarchici”), vengono sospesi i contratti a progetto, lasciando scadere quelli attualmente in vigore. Il periodo di transizione durerà fino al 1 gennaio 2016 quando i vecchi Co.co.pro. e i Co.co.co. non esisteranno più salvo quelli oggetto di disciplina ad hoc da parte di accordi collettivi. Eliminati, invece, i contratti di associazione in partecipazione e lo job sharing, mentre per lo staff leasing si prospetta una cancellazione delle cause. L’intenzione del governo è di mantenere in vita “le vere” collaborazioni autonome e “le vere” partite Iva. Come controllare la veridicità di questi contratti, però, non è chiaro. Viene riformato, infine, anche l’ ’apprendistato con l’’ unificazione del primo e terzo livello e l’e liminazione dell’’ obbligo per le imprese di stabilizzare i nuovi apprendisti: un bel regalo.
 Il fisco rinviato: Padoan non c’’è, i testi neppure
 Sono spariti dall’ ’orizzonte invece i tre decreti in materia fiscale: nuovo catasto; fiscalità internazionale e fatturazione elettronica. La decisione è arrivata giovedì pomeriggio giustificata ufficialmente così: Pier Carlo Padoan non può essere presente al Consiglio dei ministri perché deve presenziare all’’ Eurogruppo sulla Grecia in programma a Bruxelles. In parte è sicuramente vero, anche se il ministro dell’ ’Economia è incappato in una imbarazzante coincidenza: ieri è arrivata in edicola una sua intervista a l’’ Espresso in cui annunciava come in arrivo al Consiglio dei ministri i tre decreti fiscali.
 Sono cose che capitano quando si teme di fare una figuraccia simile a quella del 24 dicembre, quando una manina s’ ’inventò la sanatoria su frode e evasione fiscale sotto il 3% del fatturato e costrinse Renzi a ritirare il decreto. Lo ammette lo stesso premier: “Le polemiche delle scorse settimane mi hanno confermato che non possiamo permetterci passi falsi”. Il governo s’ ’è preso 15 giorni in più, dice lui, così “c’’ è il tempo per affinare i testi”: “Noi siamo contro l’ ’evasione, ma pro-business”. In sostanza, però, molte cose ancora non tornano in quei decreti, soprattutto i soldi sul capitolo Iva e la relativa armonizzazione della legislazione sulla fiscalità internazionale.

(Il Fatto Quotidiano)

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