Meno democrazia?

16 Feb 2015

Francesco Pallante

Le preoccupazioni sulla tenuta del nostro sistema democratico sono state al centro del partecipato incontro tenutosi sabato 14 febbraio 2015, all’Arsenale della Pace del Sermig di Torino. Moderati da Cesare Martinetti (La Stampa), Gustavo Zagrebelsky, Guido Bodrato e il senatore del Pd Giorgio Tonini sono stati chiamati a intervenire a partire dalla domanda “Meno democrazia?” posta dal circolo di Torino di Libertà e Giustizia e dall’associazione I Popolari del Piemonte, che hanno organizzato l’incontro.

Le preoccupazioni sulla tenuta del nostro sistema democratico sono state al centro del partecipato incontro tenutosi sabato 14 febbraio 2015, all’Arsenale della Pace del Sermig di Torino. Moderati da Cesare Martinetti (La Stampa), Gustavo Zagrebelsky, Guido Bodrato e il senatore del Pd Giorgio Tonini sono stati chiamati a intervenire a partire dalla domanda “Meno democrazia?” posta dal circolo di Torino di Libertà e Giustizia e dall’associazione I Popolari del Piemonte, che hanno organizzato l’incontro.

Guido Bodrato, già esponente di spicco della sinistra democristiana, ha messo in luce come il problema democratico sia oggi un problema non solo italiano, ma che interessa le principali democrazie occidentali. La democrazia non è mai una conquista definitiva, è soggetta all’influenza dei tempi; e le stesse Costituzioni possono essere comprese solo se considerate elementi vivi della realtà concreta. Non è questa, però, la prospettiva di chi da 40 anni in Italia parla di riforme costituzionali: tutti i discorsi sulle riforme sono infatti sempre stati fatti non nel quadro di una concezione della democrazia ripensata in relazione ai tempi che cambiano, ma al fine di perseguire obiettivi politici spicci, capaci di recare immediato vantaggio ai loro fautori. Questo accade anche oggi, con una riforma pienamente votata al plebiscitarismo e al presidenzialismo, due prospettive in sé sbagliate, e ancora più sbagliate se combinate insieme. Ci sarebbe invece bisogno è di un ripensamento del ruolo dei partiti, che non possono essere ridotti a primarie e leader, a pena di incappare nel pauroso livello di astensionismo che stiamo raggiungendo.

È quindi intervenuto Giorgio Tonini, che ha difeso le riforme progettate dal governo evidenziandone i due obiettivi principali: (1) la trasformazione del Senato in una Camera delle Regioni, per superare l’attuale bicameralismo perfetto, un unicum italiano non più sostenibile di fronte alle sfide del mondo contemporaneo; (2) il rafforzamento della posizione costituzionale del governo (derivante dalla limitazione del rapporto di fiducia alla Camera e dalla nuova legge elettorale), che deve essere messo in condizione di operare come “motore” del cambiamento.

Gustavo Zagrebelsky ha voluto anzitutto ricordare che la politica è il presupposto della democrazia e che la politica implica che i cittadini abbiano la possibilità di scegliere tra opzioni differenti. Oggi questo presupposto manca, le istituzioni si sono ridotte a operare come organi esecutivi di decisioni prese altrove (in Europa e nei mercati finanziari). Il nostro tempo è, oramai, un tempo esecutivo. Ma l’esecutivo non è il governo: svolgere azione di governo significa mettere insieme elementi diversi, componendo una visione della società alternativa ad altre; svolgere azione esecutiva significa semplicemente eseguire quanto stabilito da altri (l’ideale sono i c.d. governi tecnici). L’astensionismo si spiega con il venir meno delle passioni democratiche e della possibilità di scelta. Quando i politici diventano “tutti uguali” – non solo con riferimento a comportamenti penalmente rilevanti, ma soprattutto per le cose che dicono – la partecipazione diventa inutile. Risultato: sotto la democrazia si nascondono oggi, a livello mondiale, poteri oligarchici, che non negano più la forma democratica (come facevano un tempo le dittature), ma la svuotano dall’interno facendone venir meno la sostanza. Il problema delle riforme oggi in discussione in Italia è che non vanno nella direzione di aprire nuovi spazi di democrazia, cosa di cui ci sarebbe estremo bisogno, ma al contrario mirano a produrre un’ulteriore chiusura degli spazi di democrazia. Sono animate dal culto della decisione, e la decisione produce chiusura se non è preceduta da un’adeguata discussione. Dire che il bicameralismo perfetto non consente all’Italia di far fronte alle sfide del mondo contemporaneo (la crisi finanziaria, i problemi ecologici, il terrorismo) è semplicemente ridicolo: per affrontare questi problemi c’è bisogno di più spazi di riflessione, che consentano di progettare risposte politiche; e invece le riforme riducono il Senato a un organo di cui non si capiscono le funzioni e non si comprende il bisogno. Più che di riforme, ci sarebbe bisogno di un’adeguata classe politica: una cattiva Costituzione in mano a una buona classe politica produce migliori risultati di una buona Costituzione in mano a una cattiva classe politica.

Francesco Pallante, coordinatore Circolo LeG Torino

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