La lezione di Syriza per la sinistra

24 Gen 2015

Tutta l’Europa guarda ad Atene. Favorito alle elezioni di domenica, secondo i sondaggi, è Syriza, che si colloca a sinistra della sinistra. Una vittoria di questo partito darebbe indubbiamente uno scossone ai mercati finanziari, alla politica economica dell’Unione Europea e all’euro; e avrebbe effetti anche sulle sinistre europee. Perciò in Italia, da Sel alla minoranza del Pd, così come in Francia, dal Front de gauche auna parte dei Verts e ai socialisti critici nei confronti di Francois Hollande e di Manuel Valls, gli sguardi sono rivolti verso Atene. Un successo di Syriza sarebbe interpretato da queste forze come la dimostrazione di un rafforzamento della sinistra radicale. «La Grecia -ha spiegato Giorgios Katrougalos, docente di diritto pubblico ed eurodeputato di Syriza- sarà lo specchio del futuro d’Europa». È vero che da qualche tempo la sinistra della sinistra da prova di una dinamica positiva, chiaramente registrata nei sondaggi, in particolare in Grecia e inSpagna,


Tutta l’Europa guarda ad Atene. Favorito alle elezioni di domenica, secondo i sondaggi, è Syriza, che si colloca a sinistra della sinistra. Una vittoria di questo partito darebbe indubbiamente uno scossone ai mercati finanziari, alla politica economica dell’Unione Europea e all’euro; e avrebbe effetti anche sulle sinistre europee. Perciò in Italia, da Sel alla minoranza del Pd, così come in Francia, dal Front de gauche auna parte dei Verts e ai socialisti critici nei confronti di Francois Hollande e di Manuel Valls, gli sguardi sono rivolti verso Atene. Un successo di Syriza sarebbe interpretato da queste forze come la dimostrazione di un rafforzamento della sinistra radicale. «La Grecia -ha spiegato Giorgios Katrougalos, docente di diritto pubblico ed eurodeputato di Syriza- sarà lo specchio del futuro d’Europa». È vero che da qualche tempo la sinistra della sinistra da prova di una dinamica positiva, chiaramente registrata nei sondaggi, in particolare in Grecia e inSpagna, con«Podemos». E non a caso. Le terapie d’urto subite da questi due Paesi hanno fatto esplodere la disoccupazione, decurtato il potere d’acquisto e aggravato le disuguaglianze. Svriza e Podemos, con alla testa due leader carismatici. Alexis Tsipras e Fabio Iglesias Turion, prosperano su quel profondo disagio sociale, imputandone la responsabilità a Bruxelles e a Berlino, nonché ai partiti tradizionali didestraedi sinistra, che accusano di essere compiici e profondamente corrotti. Tuttavia – con l’eccezione di Syriza, che dalle elezioni del 2012 è la prima forza di sinistra e il secondo partito del Paese-queste formazioni restano minoritarieovunque: dalla Svezia alla Danimarca e all’Olanda, da Lussemburgo, Germania e Francia all’Italia, Spagna, Portogallo, Slovenia, Repubblica Ceca e Croazia. Tra loro si osservano peraltro molte differenze, dovute ai sistemi politici in cui si muovono, ai diversi sistemi elettorali, alla storia della sinistra nei rispettivi Paesi: talora con l’eredità di potenti forze comuniste, altre volte con forti componenti ecologiche o influenze estere (nel caso di «Podemos» quella delle esperienze della sinistra radicale latinoamericana). Sono diversi anche dal punto di vista organizzativo, e le connotazioni sociologiche dei loro elettori e iscritti variano sensibilmente. Ma al tempo stesso portano avanti tematiche comuni, contrapponendo il popolo alla « casta», fustigando i partiti di governo, a incominciare da quelli della sinistra riformista, e denunciando l’Europa-anchese in nome di un’altra Europa più sociale, aperta e democratica (su questo punto si distinguono dai partiti populisti di destra). Respingono l’austerità. aborriscono il liber isrno e si presentano come salvatori, pretendendo di incarnare un’alternativa politica inedita e parlando retoricamente di rottura radicale, o addirittura di tabula rasa- seppure in netto contrasto coi loro stessi programmi economici e sociali. Ad esempio nel corso degli anni quello di Syriza, dopo vivaci dibattiti interni e in vista dell’eventualità di accedere al potere, è diventato più moderato, sia sull’euro che sulla rinegoziazione del debito. Di fatto, con buona pace delle sue dichiarazioni, quella sinistra ha ripreso in gran parte le ricette del partito socialdemocratico svedese del 1930, o quelle della maggioranza dei partiti socialdemocratici europei nella loro età dell’oro – gli anni 1960-1970-poi accantonate per adattarsi al mondo globalizzato: ad esempio il rilancio degli investimenti pubblici, il rafforzamento delle tutele sociali, l’estensione dei servizi pubblici con creazione di posti di lavoro, l’aumento dei salari minimi, il taglio delle imposte sui redditi più bassi e un aumento delle imposizioni sui profitti finanziari. Al tempo stesso questa sinistra, innovativa in termini di comunicazione su Internet e sulle reti sociali, si fa promotrice di una democrazia rinnovata, esemplare e partecipativa, per rispondere alle attese di molti europei. Di fatto però, non sempre le sue strutture organizzative brillano per spirito democratico, e i suoi leader giocano a fondo la carta mediatica e quella della personalizzazione. La storia della sinistra europea è contrassegnata dalle ricorrenti rivalità tra due sinistre: l’una riformista e di governo, l’altra radicale. Così è stato dopo la prima guerra mondiale, con la formazione dei partiti comunisti, e poi negli anni 1960, con l’emergere di nuove correnti di sinistra, sia in seno ai partitisocialdemocraticiche all’esterno di questi ultimi, e dei partiti comunisti. In passato la socialdemocrazia (e in parte anche il Pc, nel caso dell’Italia)ha saputo assorbire, più o meno facilmente, queste contestazioni, e trarne nutrimento per rinnovarsi: negli anni 1970-1980 ha integrato e assimilato l’ecologia, il femminismo, il liberalismo culturale e sociale. Sarà in grado di farlo anche stavolta? Il presupposto sarebbe quello di ripensare, più di quanto abbia fatto finora, la sua strategia, il suo programma, il suo progetto, la sua identità, la sua cultura, le sue forme organizzative e il modo stesso di fare politica. Ma dovrebbe anche essere in grado di riprendere contatto con tutta una parte della società che ha perso di vista, a incominciare dai ceti popolari e dai giovani. Sono questi i soggetti che dividono, o addirittura lacerano i partiti, come attesta ciò che sta accadendo nel Pd.

la Repubblica 24 gennaio 2015

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