II Quirinale tassello cruciale del puzzle riformista

19 Gen 2015

Non si tratta solamente di eleggere una persona rispettabile al Quirinale. La posta in gioco nell’elezione del prossimo presidente della Repubblica è molto più alta. Quell’elezione potrebbe contribuire alla nascita di un nuovo regime politico in Italia. Che definisco, per comodità, la Terza Repubblica. Tale posta in gioco sembra sfuggire ai molti politici e osservatori che continuano a guardare a quell’elezione con una logica curiale. Per loro, tutto cambia per rimanere come prima. Ma non è così. E c’è da credere che non lo sia per il capo del governo e per i leader più responsabili delle forze politiche.

Non si tratta solamente di eleggere una persona rispettabile al Quirinale. La posta in gioco nell’elezione del prossimo presidente della Repubblica è molto più alta. Quell’elezione potrebbe contribuire alla nascita di un nuovo regime politico in Italia. Che definisco, per comodità, la Terza Repubblica. Tale posta in gioco sembra sfuggire ai molti politici e osservatori che continuano a guardare a quell’elezione con una logica curiale. Per loro, tutto cambia per rimanere come prima. Ma non è così. E c’è da credere che non lo sia per il capo del governo e per i leader più responsabili delle forze politiche.
  L’elezione del presidente della Repubblica è un tassello cruciale del puzzle riformista. Tant’è che essa dovrebbe avvenire dopo l’approvazione al Senato della riforma elettorale nota come Italicum e della riforma del sistema bicamerale alla Camera dei deputati. È sbagliato tenere separati questi tasselli della riforma istituzionale. L’elezione presidenziale, la riforma elettorale e il superamento del bicameralismo si devono sostenere a vicenda, sia per le modalità con cui vengono realizzate che per l’obiettivo che insieme vogliono raggiungere. Per quanto riguarda le modalità, tutti e tre i passaggi debbono essere realizzati attraverso un basilare consenso tra il centro-sinistra e il centro-destra. L’assenza di quel consenso è stato alla base della debolezza sistemica oltre che morale, della Seconda Repubblica, quella nata sulle ceneri di Tangentopoli del 1992-93 e sepolta dall’esito drammatico delle elezioni del febbraio 2013. Drammatico perché produsse maggioranze politiche diverse nelle due camere del Parlamento, così divise al loro interno e così polarizzate tra di loro da essere incapaci di eleggere il nuovo presidente della Repubblica. I nuovi regimi politici non nascono a colpi di maggioranze. Se vogliamo creare istituzioni legittimate, la loro riforma deve avvenire attraverso il consenso delle principali forze responsabili. Se vogliamo un presidente della Reubblica che sia da tutti riconosciuto come uno dei pilastri del nuovo regime politico, allora la sua elezione dovrà avvenire con una larga maggioranza. Certamente, fa bene il capo del governo a ricordare a tutti che, dal quarto scrutinio, il presidente della Repubblica potrà essere eletto a maggioranza assoluta, e non già qualificata, dei grandi elettori. In questo modo neutralizza i poteri di veto, i ricatti di fazione, i trasformismi che sono sempre dietro l’angolo. Tuttavia, se vogliamo davvero chiudere il ventennio del cupo risentimento, il nuovo presidente della Repubblica dovrà emergere da una convergenza tra i principali schieramenti, così come tale convergenza dovrebbe portare all’accelerata e positiva conclusione della riforma elettorale e parlamentare. Quando le riforme sono fatte insieme, nessuno avrà interesse a cambiarle successivamente (se non per quegli aggiustamenti marginali suggeriti dall’esperienza).
   Ma quei passaggi vanno tenuti insieme anche per l’obiettivo che debbono raggiungere, la nascita della Terza Repubblica. Qust’ultima costituisce una necessità sistemica per il nostro Paese. Ne abbiamo bisogno per migliorare la qualità della politica interna. Occorre chiudere un lungo periodo di contrpposizioni personalizzate, di coalizioni internamente litigiose, di politicizzazione diffusa di ogni ambito della vita collettiva, di incapacità generalizzata a dare continuità al governo del Paese. La Seconda Repubblica ci ha dato finalmente l’alternanza, ma quest’ultima è avvenuta in un clima di sfiducia reciproca tra le principali coalizioni e i loro leader.
   L’esito è stato un’instabilità degli indirizzi di policy e una confusione dei poteri costituzionali. Occorre ricostruire una democrazia moderna, dove i politici risolvano i problemi collettivi e non quelli personali, i corpi dello stato ritornino alle loro funzioni istituzionali, i gruppi di interesse recuperino la loro vocazione funzionale, le pratiche di corruzione ed evasione vengano contrastate con efficacia e il governo sia messo nelle condizioni di operare con coerenza. Ma ne abbiamo bisogno anche per qualificare il nostro rapporto con l’Unione europea. Dopo lo sforzo formidabile fatto per entrare nel gruppo di paesi autorizzati ad adottare l’euro (con il governo Prodi del 1996-98), l’Europa è sparita dalla politica italiana. La Seconda Repubblica è stato un regime politico introverso come non mai. Abbiamo sprecato il primo decennio del Duemila in litigi, mentre altri paesi (come la Germania) avviavano possenti riforme strutturali, internalizzando i vincoli provenienti dalla gestione decentralizzata della moneta comune. L’incredibile debito pubblico che ha oggi il nostro Paese è l’esito eclatante di quel ventennio, ossessionato dalla “politics” e completamente ignaro delle “policies”. Per questo motivo, il puzzle riformista non potrà considerarsi concluso fino a quando non saranno inseriti anche i tasselli delle riforme strutturali che abbiamo rinviato da fare per vent’anni.
   Se questa è la posta in gioco dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica, allora varrebbe la pena di alzare e allungare lo sguardo. Non sono molte le persone che, come presidente della Repubblica, potrebbero contribuire alla nascita della Terza Repubblica. Per assolvere un tale compito, né l’età né il genere sono dirimenti. Ciò che è dirimente è, invece, l’intelligenza politica, l’autorevolezza personale e la reputazione europea.

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