Formidabili quei danni

18 Gen 2015

Marco Travaglio

Un giorno, deposti i turiboli e le lingue e depositati gli incensi e le bave, qualcuno stilerà l’inventario dei danni fatti all’Italia da questi nove anni di presidenza Napolitano. Quelli dei governi da lui inventati e/o patrocinati e/o assecondati con firme e moniti temerari, da Berlusconi a Monti a Letta a Renzi, sono sotto gli occhi di tutti: basta leggere i dati dell’economia. Poi ci sono quelli ascrivibili proprio alla sua persona. I primi due si sono puntualmente manifestati durante il trasloco dal Quirinale a via dei Serpenti. Riguardano le due Procure più importanti d’Italia assieme a quella di Roma: quella di Milano e quella di Palermo che, diversamente da Roma, nell’ultimo trentennio hanno dato diversi grattacapi al sistema di potere di cui Napolitano è il santo patrono e il lord protettore.

Un giorno, deposti i turiboli e le lingue e depositati gli incensi e le bave, qualcuno stilerà l’inventario dei danni fatti all’Italia da questi nove anni di presidenza Napolitano. Quelli dei governi da lui inventati e/o patrocinati e/o assecondati con firme e moniti temerari, da Berlusconi a Monti a Letta a Renzi, sono sotto gli occhi di tutti: basta leggere i dati dell’economia. Poi ci sono quelli ascrivibili proprio alla sua persona. I primi due si sono puntualmente manifestati durante il trasloco dal Quirinale a via dei Serpenti. Riguardano le due Procure più importanti d’Italia assieme a quella di Roma: quella di Milano e quella di Palermo che, diversamente da Roma, nell’ultimo trentennio hanno dato diversi grattacapi al sistema di potere di cui Napolitano è il santo patrono e il lord protettore.

Poi a Milano è giunto Bruti Liberati che, nei limiti del possibile, ha sempre mantenuto un filo diretto con il Colle, guadagnandosi l’eterna gratitudine del supremo inquilino. A Palermo invece i pm, nell’illusione che fosse ancora vigente la Costituzione, non si sono genuflessi a baciare la sacra pantofola, anzi hanno financo osato intercettare un amico del monarca (Mancino) a colloquio con lui e col suo consigliere, poi – horribile dictu – mandare a giudizio Mancino e convocare come testimone Re Giorgio, infine proseguire le indagini sulla trattativa Stato-mafia rovistando nei cassetti dei servizi segreti e di altri apparati dello Stato. Il panico seminato nei palazzi è stato tale da indurre chi di dovere a mettere la Procura sotto tutela. A luglio il Quirinale, con una lettera del segretario generale Marra al Csm, ha bloccato la nomina del candidato più titolato e più votato in commissione a procuratore di Palermo, Guido Lo Forte, invocando un principio inedito e inesistente (l’“ordine cronologico” dei posti vacanti da riempire) e uno pretestuoso (l’imminente arrivo del nuovo Csm, con equilibri correntizi diversi dal vecchio). L’ordine cronologico è puntualmente evaporato non appena s’è insediato il nuovo Consiglio, sotto la vicepresidenza di Legnini, sottosegretario di Renzi (altra mostruosità mai vista nella storia repubblicana): e si è proceduto a spron battuto a nominare il candidato meno titolato, Franco Lo Voi, calpestando regole e circolari del Csm ed escludendo i due concorrenti più anziani ed esperti in antimafia, Lo Forte e Sergio Lari. I quali ora han fatto ricorso al Tar Lazio contro la nomina illegittima, mentre il nominato otteneva in omaggio dal governo l’“anticipato possesso” e ascendeva sul Colle per la benedizione apostolica. Risultato: una guerra di carte bollate che, anziché garantire serenità e unità alla Procura più esposta sul fronte antimafia, assicura incertezza e discordia. Complimenti vivissimi: ben scavato, vecchia talpa.

A Milano c’era un procuratore aggiunto – Alfredo Robledo, coordinatore del dipartimento Reati contro la PA – che minacciava il Sistema con indagini su destra e sinistra, ma soprattutto su Expo2015. Bruti Liberati l’ha prima ostacolato, arrivando a “dimenticare” in cassaforte un fascicolo scottante e ad assegnare indagini sulla PA a dipartimenti che si occupano di tutt’altro. Poi l’ha destituito e degradato sul campo, in barba alle regole che lui stesso aveva dato. Il Consiglio giudiziario, succursale milanese del Csm, ha stigmatizzato varie sue scelte. Il Csm s’accingeva a sanzionarle, con due relazioni già scritte, quando Napolitano ha scritto all’allora vicepresidente Vietti una lettera con l’inchiostro simpatico (poteva leggerla solo Vietti, non gli altri consiglieri, alla faccia della collegialità) per ordinare di sbianchettare i rilievi a Bruti. Risultato: tutto insabbiato. Così ora, a Milano, cane e gatto convivono nello stesso corridoio. Legnini tenta di uscire dal tragicomico impasse con un pateracchio pilatesco: Robledo parcheggiato a Venezia fino a dicembre, quando Bruti andrà in pensione. Una barzelletta che dura il tempo di una risata. Il prossimo colpo di genio potrebbe essere ibernare Robledo in un apposito freezer e poi scongelarlo per le prossime festività natalizie. Grazie, Presidente.

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