Il terrore s’insinua capillarmente e anarchicamente nelle aggregazioni umane che chiamiamo “nazioni” dove l’insufficienza di politiche e culture integratrici produce vite infelici, sbagliate e senza radici: facili vittime del fascino perverso della violenza riscattatrice.
(…)
Le nostre società sono vulnerabili, anche sul piano psicologico. I nervi sono a fior di pelle. Poiché, però, non possiamo rimetter indietro le lancette della storia e sognare impossibili, romantici ritorni alle “piccole patrie” o agli “stati nazionali chiusi” e alle loro sicurezze, dobbiamo rassegnarci ad affrontare le conseguenze di quello che è il nostro momento storico, preparandoci. E’ difficile e doloroso ammetterlo: i morti di Parigi e le centinaia e migliaia di morti che li accompagneranno in ogni parte del mondo non sono né saranno anomalie. Sono conseguenza del mondo che abbiamo costruito e che ora si rivolta contro di noi, modellando, alquanto spaventosamente, le nostre vite.
Prepararci: sì, ma a che cosa? A difenderci, naturalmente. Difendere che cosa di noi? La vita e la sicurezza innanzitutto, e il nostro mondo di principi e valori di libera convivenza, senza i quali perderemmo noi stessi. Questo dicono tutti. Ma difenderci con che mezzi ?
(…)
Questo è il momento della ragione, e la ragione dice non guerra, ma controlli, indagini e azioni di polizia. Tra azioni di guerra e azioni di polizia c’è la differenza che le prime sono rivolte indifferentemente contro “il nemico” e le seconde, selettivamente, contro i delinquenti, le loro organizzazioni, i loro addestratori e finanziatori.
(…)
Gli Stati europei, almeno sulla loro sicurezza, possono superare le rivalità. Alla globalizzazione del terrorismo l’Europa si contrapponga come regione che cerca sicurezza e pace.
L’intero articolo su:
la Repubblica, pag. 1 – La guerra indichiarabile- 12 gennaio 2015
Grazie a Gustavo Zagrebelsky per questo richiamo alla ragione. Credo che alcuni di noi, e certamente chi scrive, siano rimasti per tutti questi giorni senza fiato e senza parole per la mancanza di un dubbio, di una perplessità, di una voce contraria al modo in cui si sono conclusi i fatti di Parigi e all’insopportabile retorica sull’Occidente e il suo Nemico di cui si siono ricoperte le pagine dei giornali. Troneggiò per reboante e violenta vuotezza il Corriere della Sera con un saggio di Severino sulla Tecnica che finirà per aver ragione delle “razze” che ora di fanno guidare dall’Islam e un recupero delle pagine mestatrici di risentimento di Oriana Fallaci.
Ora torno sulla pagina del nostro Presidente onorario e trovo la parola di giusto sentire che – nella nausea per il cumulo di menzogne o mezze verità che rendono una tortura la lettura dei maggiori giornali, nessuno escluso – mi era sfuggita, forse ce ne sono state altre. Al di fuori di questo piccolo cono di luce, nessuno tuttavia mi sembra aver detto che LA SOLA CONCLUSIONE COERENTE CON I PRINCIPI, TANTO VOLGARMENTE SBANDIERATI, DELLA NOSTRA COSIDDETTA CIVILTA’ SAREBBE STATA CHE I CRIMINALI FOSSERO STATI CATTURATI VIVI E SOTTOPOSTI A UN REGOLARE PROCESSO, CHE LORO FOSSE STATO FERMAMENTE RIFIUTATO IL MARTIRIO E ALTRETTANTO FERMAMENTE RIFIUTATI I TONI DA BOLLETTINO DI GUERRA VITTORIOSO. Comunque siano andate, o siano “dovute” andare le cose. Se quei principi tanto conclamati fossero stati veramente a cuore al presidente Hollande, 88.000 poliziotti non avrebbero veramente potuto, con calma, creare una situazione- trappola per gli asserragliati, fino a prenderli, magari far qualche giorno, per esaurimento, dopo aver tentato di offrire loro una via d’uscita pacifica? Ma di trattative non mi sembra ci sia stata l’ombra. Perché in fondo, di distinguere la vendetta dalla giustizia e la guerra dalla repressione del crimine importa ancora a qualcuno? A leggere i giornali dei giorni scorsi non sembrava davvero. E questo è il più grande regalo che le penne della democrazia potessero fare ai deliri teocratici.
Anch’io aspettavo, forse inconsapevolmente finchè non l’ho trovato, un punto di vista diverso, più ragionato, più saggio…
Sono ugualmente preoccupato, ma meno angosciato. C’è un altro modo di pensare ad un futuro di convivenze problematiche e in quello mi riconosco.