La ballata del 3%

06 Gen 2015

La vicenda della “clausola di non punibilità” scivolata dentro nel decreto approvato dal Consiglio dei Ministri la vigilia di Natale presenta sfaccettature divertenti. Come abbiamo letto, una apposita commissione, presieduta da un autorevolissimo fiscalista ed ex presidente della Corte Costituzionale, lavorava da mesi al testo della legge delega in materia fiscale, in coordinamento con il Ministero dell’Economia. Il testo licenziato dalla commissione non conteneva alcuna disposizione mirante a depenalizzare le condotte di evasione e frode fiscale la cui rilevanza si attestasse al di sotto del fatidico 3% del reddito del pertinente periodo di imposta. Una simile norma, come denunciato tra l’altro da Maria Cecilia Guerra, viceministro del lavoro, non troverebbe giustificazione, specie per le condotte di frode, privilegiando tra l’altro gli evasori ricchi rispetto a quelli poveri. Infatti, una evasione di 10.000 euro condurrebbe in galera un soggetto con un reddito inferiore a 300.000 euro, mentre sarebbe penalmente irrilevante per chi ha redditi superiori. Se davvero si voleva depenalizzare le violazioni meno gravi, non era più semplice e meno iniquo stabilire una soglia aritmetica al di sotto della quale escludere la sanzione penale?

La vicenda della “clausola di non punibilità” scivolata dentro nel decreto approvato dal Consiglio dei Ministri la vigilia di Natale presenta sfaccettature divertenti. Come abbiamo letto, una apposita commissione, presieduta da un autorevolissimo fiscalista ed ex presidente della Corte Costituzionale,  lavorava da mesi al testo della legge delega in materia fiscale, in coordinamento con il Ministero dell’Economia. Il testo licenziato dalla commissione non conteneva alcuna disposizione mirante a depenalizzare le condotte di evasione e frode fiscale la cui rilevanza si attestasse al di sotto del fatidico 3% del reddito del pertinente periodo di imposta. Una simile norma, come denunciato tra l’altro da Maria Cecilia Guerra, viceministro del lavoro, non troverebbe giustificazione, specie per le condotte di frode, privilegiando tra l’altro gli evasori ricchi rispetto a quelli poveri. Infatti, una evasione di 10.000 euro condurrebbe in galera un soggetto con un reddito inferiore a 300.000 euro, mentre sarebbe penalmente irrilevante per chi ha redditi superiori. Se davvero si voleva depenalizzare le violazioni meno gravi, non era più semplice e meno iniquo stabilire una soglia aritmetica al di sotto della quale escludere la sanzione penale?

L’inopinato inserimento della  disposizione del 3% nel decreto prenatalizio, attuativo della legge delega,  viene portato a conoscenza dell’opinione pubblica da un esponente di Scelta Civica e  immediatamente associato alle possibili ricadute sulla situazione personale di Berlusconi, notoriamente condannato in via definitiva per frode fiscale e decaduto dalla carica di parlamentare in forza della legge Severino, che quella condanna presuppone.

Da questo momento, il presidente del consiglio Renzi infila una serie di strabilianti dichiarazioni: anzitutto, si dice sorpreso che la disposizione in questione possa avere riflessi su condanne passate in giudicato. Basta tuttavia leggere l’art.2 del codice penale per verificare che nessuno può scontare una pena, né subire i conseguenti effetti penali,  per una condotta che non sia più prevista dalla legge come reato. Può Renzi ignorare uno dei principi cardine del nostro diritto penale?

Dopo di ciò,  dichiara che, non volendo essere responsabile di norme ad personam o contra personam (categoria, quest’ultima, peraltro ignota al panorama italiano recente), “congelerà” la disposizione sul 3% fino alla fine del periodo di affidamento di Berlusconi ai servizi sociali. Non è chi non veda la monumentale contraddizione insita in questa affermazione: se non era ad personam, che senso ha subordinarne l’emanazione alla fine dei servizi sociali di B?

Evidentemente, si tratta della conferma, dalla viva voce di Renzi, che la disposizione che depenalizzerebbe evasione e frode fiscale sotto il 3% del reddito è eccome ad personam; e infatti, la sua entrata in vigore, a prescindere dagli effetti sulla condanna e sui servizi sociali, avrebbe il ben più fondamentale risultato di eliminare le conseguenze derivanti dalla legge Severino e dunque l’esclusione di Berlusconi dalla scena politica.

Qui il ragionamento si biforca: anzitutto, ci si chiede perché mai – se si tratta di norma surrettiziamente infilata nel decreto del 24 dicembre e di cui nessuno rivendica la correttezza – Renzi, anziché dichiarare che il governo la espungerà dal decreto, dichiara che intende congelarla. Da quando in qua le norme sbagliate si congelano?

Soccorre qui l’interpretazione offerta dal difensore di Berlusconi, secondo il quale il congelamento servirebbe – come il simulacro della lepre nelle corse dei cani – a tenere B allineato con la maggioranza in vista dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Un’immagine davvero umiliante per l’intero paese. Che inoltre  presuppone che comunque la depenalizzazione “percentuale” prima o poi verrà introdotta.

In secondo luogo, c’è davvero da preoccuparsi circa il processo legislativo nell’Italia dei rottamatori: non si sa ancora chi sia ad aver commissionato e vergato la clausola depenalizzante, né con quale finalità. Qui le dichiarazioni si rincorrono, di pari passo ad assurde interpretazioni che attribuiscono al consiglio dei ministri sviste inverosimili: dal non aver notato l’inserimento della norma nel decreto, al non essersi resi conto delle conseguenze.

Ma  è possibile addebitare al consiglio dei ministri una così clamorosa sbadataggine? Una distrazione che avrebbe avuto quale conseguenza il venir meno della attuale preclusione all’attività politica di colui che è stato il più potente esponente politico dell’Italia dall’inizio degli anni 90?

Purtroppo il quadro che emerge dalla vicenda è un fosco quadro di intrighi, di partite giocate nell’ombra, all’insaputa dei cittadini e finanche di gran parte del Parlamento. Un quadro in cui gli interessi personali di Berlusconi giocano ancora un ruolo tale da condizionare scelte fondamentali per il paese: dall’elezione del Presidente della Repubblica, alla legge elettorale, alle modifiche costituzionali.

Nella nostra veste di cittadini ignorati e ingannati, chiediamo che la clausola del 3% venga subito espunta (e non “congelata”!) dal decreto attuativo della legge fiscale; che si chiarisca come è stato possibile che  un complesso di norme elaborate per mesi da una commissione di esperti venga stravolto  all’ultimo minuto per ragioni di bottega; che infine – come tante volte vanamente proclamato da Renzi – si cambi davvero verso, e il processo di produzione delle regole  si svolga alla luce del sole, nell’interesse esclusivo della collettività.

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