Dallo scandalo P2 a Renzi: la lunga marcia anti magistrati

19 Set 2014

Fu nel dibattito che precedeva la fiducia al primo governo laico della storia repubblicana, il 10 luglio 1981, che un pezzo del mondo politico, Psi, Psdi e mezza Dc iniziarono in Parlamento i processi alla magistratura italiana. Spadolini, incaricato da Sandro Pertini, aveva annunciato la sua determinazione a sciogliere la loggia P2, chiedendo uno “sforzo comune di rinnovamento e di pulizia morale”.

Tocco magistratiFu nel dibattito che precedeva la fiducia al primo governo laico della storia repubblicana, il 10 luglio 1981, che un pezzo del mondo politico, Psi, Psdi e mezza Dc iniziarono in Parlamento i processi alla magistratura italiana. Spadolini, incaricato da Sandro Pertini, aveva annunciato la sua determinazione a sciogliere la loggia P2, chiedendo uno “sforzo comune di rinnovamento e di pulizia morale”. Ma Longo, Piccoli e Craxi spiegano subito che le loro preoccupazioni riguardano non l’ansia di verità, ma la sorte di Roberto Calvi e degli altri iscritti alla P2. Il segretario del Psdi (affiliato con tessera n. 2223) accenna nel suo intervento a un “accordo” preciso che Spadolini avrebbe ignorato: un accordo, guarda caso, sulla “riparazione” degli errori giudiziari e su una “radicale revisione delle funzioni del Pm”. Poi si scatenò Craxi e attaccò i magistrati per aver messo le manette a Calvi che aveva cercato (o finto) di suicidarsi. Una reazione “prevedibile” sottolinea Craxi “quando si mettono le manette a finanzieri che rappresentano gruppi che contano per quasi metà del listino di Borsa”. Flaminio Piccoli, segretario della Dc, accusa il Pm di “appropriarsi di un processo come di un bottino, con iniziative frenetiche e spesso irresponsabili”. Chiede che siano dati al ministro di Grazia e Giustizia “poteri di indirizzo e di orientare l’attività”.   
A rivederla oggi, quella pagina di storia politica, dopo le dichiarazioni sprezzanti contro la magistratura pronunciate non da un segretario di partito e basta (come erano Craxi, Piccoli e Longo) ma da uno che è anche presidente del Consiglio si direbbe che niente è cambiato, se non peggiorato. Allora almeno ci fu chi dal Pci protestò e chiese conto di quei presunti accordi segreti. Si alzò Ingrao e disse: “Vogliamo veramente sapere come stanno le cose sulla giustizia perché quelle proposte di Longo non ci piacciono affatto”. Bei tempi, si fa per dire, quegli Anni 80 perché almeno non erano tutti o quasi
tutti d’accordo, e comunque, i parlamentari dissenzienti dalla linea dei loro segretari votavano come volevano e non venivano chiamati “gufi” e “rosiconi”. Non ricordo che venisse tollerata una politica dell’irrisione. E quando si ricorse al governo laico non destò scalpore il fatto che il partito di Spadolini avesse allora il 3 per cento.   
Oggi per portare sollievo alla mortificazione che stiamo vivendo, col riapparire di parole e personaggi di un’epoca storica che credevamo conclusa, occorre che la domanda di verità si trasformi in una esigenza imposta dai cittadini alla politica, un incoraggiamento formale e solenne alla magistratura affinché vada avanti: io voglio conoscere la ragnatela che collegava il colonnello Mori, il colonnello Marzollo, Mino Pecorelli, Licio Gelli. E Licio Gelli e Vito Ciancimino? Ricordiamo in molti l’attesa in un albergo sulla via Aurelia per l’arrivo del Venerabile, a un convegno con Vito Ciancimino. Gelli non venne. Ciancimino lo rividi quando era nel carcere di Rebibbia,
nell’agosto del 1995, in una cella vicina a quella di Calogero Mannino. La P2 in Sicilia: lo sapeva Giovanni Falcone, negli Anni 80 e cercava risposte, fino alla fine. Credo dunque che bisognerebbe pensare alla “trattativa” non come a qualcosa di straordinario, ma come il capitolo di una vicenda più grande che ha dunque un suo inizio e una fine, ma che è anche parte e conseguenza di una storia più lunga. Oggi quella storia si sta svolgendo in Sicilia perché alcuni magistrati cercano di portarla alla luce. La minaccia al giudice Scarpinato rientra a pieno titolo in quel “gioco grande del potere” che lui stesso evoca come espressione preferita da Giovanni Falcone. Un gioco che può aver luogo soltanto perché la politica è consenziente. E le parole sulla giustizia pronunciate da Renzi fanno paura: a cosa serve celebrare don Puglisi se poi non si sta con chi cerca e condanna gli assassini? Non ci sono mezze misure. Non possiamo consentircelo, troppi sono morti per cercare la verità.

 

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