“Il governo non copra i manager corruttori”

18 Set 2014

Il prof. Vannucci, esperto di corruzione, a proposito della vicenda Eni: ” Di fronte a una vicenda così intricata forse Renzi dovrebbe essere più cauto nel difendere le recenti nomine governative, tra l’altro realizzate in perfetta continuità con la gestione precedente. Il che è tutto dire, basta pensare al coinvolgimento dell’Eni proprio negli ultimi anni in altre vicende di corruzione in Algeria e Nigeria. Ci dica allora il premier: quand’è che il quadro probatorio sarà sufficiente a fargli cambiare idea?”

Vannucci-ModenaAscoltando il premier alla Camera mi pareva di vedere un padre che si lamenta di un piccolo rimbrotto della maestra: ‘Non me la posso mica prendere con mio figlio solo perché viene sgridato’. Ma se Renzi vuole essere credibile – spiega il professor Alberto Vannucci, esperto di corruzione – deve pubblicamente rassicurare la maestra, cioè la magistratura e noi cittadini. E deve garantire che gli amministratori pubblici coinvolti nella vicenda Eni-Nigeria non verranno coperti per l’ennesima volta”.   
Quand’è che il rimbrotto della maestra diventa un’accusa grave abbastanza da far saltare le poltrone?   
È proprio questo il punto. Come dice Piercamillo Davigo, la presunzione d’innocenza c’è fino alla Cassazione, ma se il mio vicino di casa viene indagato per pedofilia io gli affiderei mia
figlia? Ecco, di fronte a reati gravissimi come la corruzione vogliamo davvero lasciare la gestione della principale impresa pubblica di questo Paese nelle mani di soggetti coinvolti in vicende opache?   
Anche perché i tempi della giustizia italiana sono interminabili.   
Infatti parliamo di un mandato di fiducia, di una responsabilità politica prima ancora che penale, e che per questo non può aspettare la Cassazione, o peggio ancora la prescrizione.   
Invece il premier non ha messo paletti.
Infatti riecheggia un discorso già sentito: non sarà la magistratura a dettare le nostre scelte, o a decidere i nostri candidati .   
Dicono: le vicende sono complesse.   
Però alcuni fatti sembrano appurati: sappiamo che era stata creata una riserva di fondi neri e un faccendiere nigeriano sostiene che serviva anche a pagare
commissioni a referenti italiani dell’Eni. E uno di questi, ipotizza la magistratura, potrebbe essere l’attuale amministratore delegato.   
Claudio Descalzi, nominato proprio da questo governo.   
Di fronte a una vicenda così intricata forse Renzi dovrebbe essere più cauto nel difendere le recenti nomine governative, tra l’altro realizzate in perfetta continuità con la gestione precedente. Il che è tutto dire, basta pensare al coinvolgimento dell’Eni proprio negli ultimi anni in altre vicende di corruzione in Algeria e Nigeria. Ci dica allora il premier: quand’è che il quadro probatorio sarà sufficiente a fargli cambiare idea?    Secondo lei?  
Magari basterebbe prendere alla lettera il codice etico dell’Eni, che prevede provvedimenti disciplinari contro chiunque pone in essere ‘pratiche di corruzione, favori illegittimi, comportamenti collusivi’. Ma se i vertici dell’azienda fanno orecchie
da mercante, allora toccherebbe al governo intervenire, magari prima della Cassazione. O della prescrizione.   
Altrimenti?   
C’è una sensazione sgradevole che emerge: una sorta di rassicurazione che certe prassi – secondo le inchieste piuttosto diffuse, vedi i casi Finmeccanica, Eni, Saipem e così via – continueranno a essere considerate
giustificabili, che ci sarà ancora una protezione politica. In cambio di cosa? È un pessimo segnale.   
Si giustificano: dobbiamo reggere la concorrenza con gli altri Paesi.   
Invece questi atti sono profondamente distorsivi, impoveriscono l’economia, rafforzano élite antidemocratiche. È vero che la corruzione nell’immediato
sembra avvantaggiare le imprese italiane, ma in realtà trasferisce i danni sui Paesi dove andiamo a corrompere, e nel lungo periodo fa male anche a noi. Perché abituandoci a vincere solo con questi mezzi sleali, investiamo sempre meno in innovazione, qualità del prodotto e dell’organizzazione aziendale. Così saremo sempre meno competitivi, e più vincolati al ricorso alle tangenti.   
Ma è vero che all’estero fanno più “squadra” rispetto a noi?   
Per nulla. Ricordiamo che nell’Italia dell’economia sommersa e della creatività contabile è molto, molto più facile creare fondi neri. E poi in Italia non abbiamo ancora reintrodotto il reato di falso in bilancio. Quello delle imprese italiane corruttrici è un gioco sporco: non è giustificabile dicendo che se non lo facciamo noi lo fanno gli altri perché non è così. O almeno: negli altri Paesi rischierebbero molto di più, e non troverebbero coperture politiche.

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