Autoritarismo vs democrazia: il discorso del re? Paradossale

29 Lug 2014

Rossella Guadagnini Consiglio di Direzione Libertà e Giustizia

Certo che questi precetti calati dall’alto hanno trasformato la Presidenza della Repubblica in uno scudo conservativo del premier di turno; così avvenne per Monti, poi per Letta, ora per Renzi. E come cittadini dissenzienti (politici di segno diverso, magistrati in tema di giustizia, giornalisti in tema di libertà di stampa o comuni elettori) ci hanno abituato a sentirci in difetto per quanto pensiamo e per quanto percepiamo intorno a noi.

Giorgio NapolitanoChe cos’è l’autoritarismo? Semplice, il contrario della libertà. Autoritarismo viene da “autorità”. Il politologo Giovanni Sartori spiega che il termine è stato coniato dal fascismo in senso apprezzativo, per poi essere rovesciato – alla sconfitta dei nazifascismi – per denotare la “cattiva autorità”, cioè un abuso e un eccesso di autorità che schiacciano le libertà. “In tal caso – commenta Sartori – direi che oggi, più che rappresentare l’opposto di democrazia, il termine autoritarismo sta a significare il contrario di libertà” [1].

Nel discorso di Giorgio Napolitano in occasione della tradizionale cerimonia del Ventaglio, offerto dalla stampa parlamentare, che si è svolta al Quirinale, il Capo dello Stato – imprimendo una significativa spinta all’attuazione delle riforme istituzionali – lancia il seguente monito: non parlate di autoritarismo. Per la precisione la frase presidenziale è “non si agitino spettri di insidie e macchinazioni di autoritarismo”. Abbiamo appena detto dell’autoritarismo; ma che vuol dire questa frase, pronunciata dalla massima carica dello Stato?

E’ una tipica trappola della ‘comunicazione paradossale’ ci informerebbero gli psicolinguisti della Scuola di Palo Alto (California), che qui hanno sviluppato la teoria del ”doppio legame” a partire dagli studi di Gregory Bateson [2] e, quindi, di Paul Watzlawick, il quale ne ha portato avanti le ricerche. Ecco come descrivono la comunicazione paradossale: “una contraddizione logica che deriva dalla deduzione corretta da premesse coerenti”. Il paradosso pragmatico è caratterizzato da un’ambiguità sistematica e da una contraddizione complessa che, producendo un circolo vizioso, determina uno stato di indecidibilità o di stallo il quale, in un’interminabile oscillazione, finisce per bloccare la scelta tra alternative diverse. Il prototipo del messaggio paradossale è l’ingiunzione “sii spontaneo!”. “Chiunque riceva questa ingiunzione si trova in una situazione insostenibile, perché per accondiscendervi dovrebbe essere spontaneo entro uno schema di condiscendenza e non di spontaneità”, chiarisce Watzlawick [3].

Vediamo meglio come funziona. Per prima cosa ci sono due o più persone, coinvolte in una relazione intensa (con un alto valore di sopravvivenza fisica e/o psicologica), includendo in essa non solo legami familiari e di dipendenza materiale, ma anche amicizia, amore, fedeltà a una causa, a un’ideologia, contesti influenzati da norme sociali e dalla tradizione. In un simile ambito, viene promosso un messaggiostrutturato nel seguente modo: a) asserisce qualcosa; b) asserisce qualcosa sulla propria asserzione; c) queste due asserzioni si escludono a vicenda. Il che significa, in parole povere, che se il messaggio (nel nostro caso il monito presidenziale) è un’ingiunzione, l’ingiunzione deve essere disobbedita per essere obbedita. Il significato del messaggio è perciò indecidibile. Infine come terzo e ultimo punto, una proibizione: si impedisce al ricettore del messaggio di uscir fuori dallo schema stabilito, sia metacomunicando su di esso (ad esempio, commentandolo) che chiudendosi in se stesso (ad esempio col restare in silenzio).

Dunque, anche se il messaggio – dal punto di vista logico – è privo di significato, è tuttavia una realtà pragmatica. Non si può non reagire ad esso, ma non si può nemmeno reagirvi in modo adeguato, cioè non paradossale, perché il messaggio stesso è paradossale. “Questo – sottolinea ancora Watzlawick – spesso si ha quando si impedisce in modo più o meno evidente di mostrare una qualsiasi consapevolezza della contraddizione (in atto, ndr.) o del vero problema in questione. Una persona in una situazione di doppio legame è quindi probabile che si trovi punita (o, almeno, che le si faccia provare un senso di colpa) per aver avuto delle percezioni corrette, e che venga definita ‘cattiva’ o ‘folle’ per aver magari insinuato che esiste una discrepanza tra ciò che vede e ciò che ‘dovrebbe’ vedere”. Il riferimento ai rapporti parentali e ai toni paternalistici della coppia formata dallo stereotipo ’genitore saggio-figlio irresponsabile’ è evidente.

La sostanza del doppio legame, piuttosto comune nella comunicazione quotidiana, è un paradosso irresolubile, non una banale contraddizione. In quest’ultimo caso, infatti, si ha pur sempre la possibilità di scegliere un’alternativa praticabile, tra ‘a’ e ‘non-a’. Ad esempio, per collegarsi all’attualità politica, esiste una chiara scelta tra una democrazia autoritaria e una democrazia partecipata. Ma non esiste alcuna opzione rispetto a una democrazia autoritaria che si finge partecipata imponendoci di non discuterne. Tanto che forse non è più il caso nemmeno di chiamarla democrazia. Quando Napolitano chiosa “non parlate di autoritarismo” lancia un messaggio inevitabilmente autoritario, espresso per giunta dalla più alta carica dello Stato, che svela la vera natura del doppio legame comunicativo, incongruo e senza via d’uscita.

Da quando questo concetto è stato formulato (nei lontani anni Sessanta) è divenuto oggetto di attenzione prima in psichiatria rispetto alle manifestazioni schizofreniche, quindi nella scienze comportamentali, in ultimo nel linguaggio della politica. Un modo per non dire niente, infatti, è contraddirsi. E se qualcuno riesce a contraddirsi dicendo che non sta dicendo niente, allora – alla fine – non si contraddice affatto. E salva capra e cavoli. Come sanno bene gli esperti di comunicazione, l’uso di messaggi indecidibili, che dicono di se stessi che non stanno dicendo niente, è la soluzione perfetta di chi sta tentando di non comunicare. Di chi avverte un effettivo ‘disagio della comunicazione’ che inevitabilmente trasferisce sul proprio interlocutore che quella stessa comunicazione deve ricevere.

Sul sistema correlato dei moniti presidenziali, che sono e sono stati i veri e propri contrappesi della vita istituzionale italiana, Napolitano ha fondato (e firmato) gli ultimi anni del primo settennato e l’esordio del successivo, come già avvenne con le esternazioni di Cossiga prima di lui, sebbene attraverso una cifra completamente diversa. Servono a governare una transizione morbida verso la forma del presidenzialismo auspicata da molti? Può darsi. Il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, ha sostenuto che, appena approvato il nuovo Senato, “possiamo mettere a tema il presidenzialismo”.

Certo che questi precetti calati dall’alto hanno trasformato la Presidenza della Repubblica in uno scudo conservativo del premier di turno; così avvenne per Monti, poi per Letta, ora per Renzi. E come cittadini dissenzienti (politici di segno diverso, magistrati in tema di giustizia, giornalisti in tema di libertà di stampa o comuni elettori) ci hanno abituato a sentirci in difetto per quanto pensiamo e per quanto percepiamo intorno a noi. Prigionieri di una comunicazione paradossale a cui non si può ubbidire se non trasgredendo.

[1] “La democrazia in 30 lezioni“, Giovanni Sartori, Oscar Mondadori..

[2] “Verso un’ecologia della mente“, Gregory  Bateson, Feltrinelli.

[3] “Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi“, Paul Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, Astrolabio.

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Giornalista e blogger, si occupa di hard news con particolare interesse ai temi di politica, giustizia e questioni istituzionali; segue vicende di stragismo, mafia e terrorismo; attenta ai temi culturali e sociali, specie quelli riguardanti le donne.

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