La denuncia di eretici Pd e costituzionalisti

09 Lug 2014

In Piazza Capranica, di fronte a Montecitorio e a metà strada con Palazzo Madama, si discute di riforme istituzionali. L’incontro è promosso da Libertà e Giustizia e da una galassia di associazioni che contestano nel metodo e nel merito la volontà del governo di Matteo Renzi di mettere mano all’architettura costituzionale. Partecipano alcuni senatori “eretici” del Partito democratico (Felice Casson, Vannino Chiti, Corradino Mineo e Walter Tocci) e poi ci sono i giuristi; studiosi, amanti e sentinelle della Costituzione: Lorenza Carlassare, Gaetano Azzariti , Alessandro Pace, Massimo Villone.

Carlassare_LorenzaIn Piazza Capranica, di fronte a Montecitorio e a metà strada con Palazzo Madama, si discute di riforme istituzionali. L’incontro è promosso da Libertà e Giustizia e da una galassia di associazioni che contestano nel metodo e nel merito la volontà del governo di Matteo Renzi di mettere mano all’architettura costituzionale. Partecipano alcuni senatori “eretici” del Partito democratico (Felice Casson, Vannino Chiti, Corradino Mineo e Walter Tocci) e poi ci sono i giuristi; studiosi, amanti e sentinelle della Costituzione: Lorenza Carlassare, Gaetano Azzariti , Alessandro Pace, Massimo Villone.
Non portano solo la conoscenza e l’interpretazione del diritto, ma la memoria storica. Per capire quanto profondo possa essere l’impatto del disegno del governo sugli equilibri costituzionali, infatti, si affidano a due citazioni della storia del ‘900 italiano. La prima è nell’introduzione di Domenico Gallo (giudice della Corte di Cassazione e presidente di “Associazione per la Democrazia Costituzionale”), che apre il dibattito ricordando una vecchia frase di Berlusconi, pronunciata nel 2007 durante la presentazione di un libro di Bruno Vespa: “Tra tutti i primi ministri di cui si parla in questo volume – disse allora l’ex premier – c’è un solo uomo di potere: Benito Mussolini. Tutti gli altri potere non ne hanno avuto. Credo che se non cambiamo l’architettura della Repubblica, non avremo mai un premier in grado di decidere, di dare modernità e sviluppo al Paese”. Come Berlusconi pochi anni fa – secondo Gallo – anche Matteo Renzi insegue lo stesso modello: quello di un solo uomo al comando, capace di decidere sciolto dai vincoli, i condizionamenti e gli ostacoli che hanno afflitto i capi politici durante la storia della Repubblica.
ANCHE Lorenza Carlassare si affida alle parole del passato, “ripetute ossessivamente nel corso della storia del nostro Paese”. Ma torna ancora più indietro e cita direttamente Benito Mussolini, nel discorso pronunciato in occasione dell’approvazione della legge truffa: “Una cosa sola va rigidamente affermata – disse allora il Duce, come ricorda Carlassare – : che la massa dei cittadini intende che l’assemblea eletta sia la più capace a costituire un governo, atto a risolvere nel modo più rapido, fermo e univoco tutte le molteplici questioni che nella vita quotidiana si presentano; non impacciato da preventive compromissioni, non impedito da divieti insormontabili: la rappresentanza è destinata a un ruolo del tutto secondario”.
La stessa assenza di freni e di contrappesi al potere dell’esecutivo, secondo i professori di diritto costituzionale che prendono la parola, ispira le riforme istituzionali di Matteo Renzi. “Quella che è in gioco – sostiene Carlassare – non è solo la democrazia costituzionale, ma forse la democrazia nel suo complesso”.
Le riforme di Renzi, sostiene Alessandro Pace, produrrebbero una concentrazione di potere senza precedenti nella storia della Repubblica: “Con l’Italicum – spiega Pace – avremmo come risultato un monocameralismo dominato dal Partito democratico o dall’attuale coalizione di partito, completamente privo di contropoteri. Una maggioranza sufficiente per decidere in totale autonomia sia il Presidente della Repubblica che i cinque i giudici costituzionali di nomina parlamentare”.
Per Massimo Villone, ex senatore del Pds e docente di Diritto Costituzionale alla Federico II di Napoli, nella riforma di Matteo Renzi c’è l’idea di un “primo ministro assoluto”: “Un Senato debole, come lo vuole il premier, non è solo sbagliato: è anche pericoloso. Il senatore è sotto ricatto, non ha una voce autonoma rispetto al governo, ma diventa decisivo, nella sua debolezza, nei processi di riforma della Costituzione. Quando un governo ha in mano tutto e ha sotto di sé una maggioranza garantita e inerte in Parlamento, ha accesso ai diritti costituzionali: sono in pericoli i diritti di libertà”.

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