L’Europa ci chiede tanto, ma non la riforma del Senato

30 Giu 2014

Una perfetta narrativa del nuovo corso. Se non fosse per un dubbio: davvero l’Europa vuole da noi le riforme istituzionali, e lasciamo pur stare il prima di tutto? Davvero i governi fratelli si sentiranno rassicurati, tireranno un sospiro di sollievo dal passaggio della riforma del Senato?

18desk1f01-senato-emiciclo3Il Guerriero torna in Italia dopo una grande tenzone, in cui ha ottenuto molto o poco (si vedrà, e se ne discute molto) ma che è comunque la più grande partita politica in corso, e sapete di cosa si occuperà in Italia per prima cosa? Ebbene sì, della riforma del Senato.

Un progetto che, secondo gli spinner di Palazzo Chigi, il Premier vede come la prima di tutte le riforme che ci chiede l’Europa, “la prima dei mille giorni, quella più attesa dal paese, e la più temuta della Casta”.
Inizia così una settimana in cui questo legame sarà sottolineato dagli eventi stessi: lunedì il Senato vota sulla riforma di se stesso, e mercoledi il Premier aprirà con un discorso il semestre europeo a guida italiana.

Una perfetta narrativa del nuovo corso. Se non fosse per un dubbio: davvero l’Europa vuole da noi le riforme istituzionali, e lasciamo pur stare il prima di tutto? Davvero i governi fratelli si sentiranno rassicurati, tireranno un sospiro di sollievo dal passaggio della riforma del Senato?
L’Europa in effetti vuole da noi molte cose, tantissimi impegni di gestione economica virtuosa – soprattutto il pareggio di bilancio (inflessibili non a caso nel confermarne la scadenza già per l’anno prossimo) e la riduzione della spesa pubblica. Le riforme di cui si parla nei documenti ufficiali riguardano poi sostanzialmente il mercato del lavoro, la giustizia, la pubblica amministrazione, ai fini di creare, semplifichiamo, condizioni per una gigantesca deregulation – meno rigidità nelle assunzioni e nei licenziamenti, meno regole che rallentano gli investimenti e creano complessità alle gestione delle aziende, e più sicurezza e trasparenza nelle azioni giudiziarie.

Insomma, l’Europa di oggi , non a caso da anni a guida conservatrice, vuole che l’Italia diventi come gli altri paesi, una nazione dove un imprenditore straniero possa con sicurezza e velocità investire, partecipando a bandi che non siano “corrotti”, con la possibilità di gestire la mano d’opera con il minimo di condizionamenti sindacali e legali, con tasse credibili e velocità di attuazione delle regole. Una sintesi un po’ brutale ma veritiera di quel che si intende per riforme in Europa.

Fra queste riforme non c’e’ di sicuro quella delle istituzioni, ancor meno quelle specifiche del bicameralismo . Ne’ l’Europa potrebbe farlo – per ovvie ragioni di sovranita’ nazionale.
L’Unione Europea, ma anche I governi vari, e i mercati, e le istituzioni sovranazionali, valutano, questo sì, se il paese sia governabile, sia cioè stabile, dunque affidabile. Nella lunga crisi in cui siamo immersi questa richiesta di funzionamento politico dell’Italia è stato il “problema” indicato come la base della disfunzionalita’.
Ma non si tratta di richiesta, ancor meno di una richiesta di riforma.

Quel che vale la pena notare è che, a fronte di questa generica indicazione, vari governi italiani, e non solo l’attuale, hanno invece usato negli ultimi anni proprio questo argomento come uno dei principali strumenti di formazione della politica.
E’ stato in nome della governabilità chiestaci dall’Europa che abbiamo infatti avuto prima il governo Monti, poi il governo Letta.

Anche Renzi il cambia-verso si allinea a questa metodologia, senza cambiare affatto verso.
La riforma accelerata del Senato, come prima casella per la trasformazione del nostro sistema istituzionale, è anche da lui brandita come necessaria per la governabilità, e anche da lui in chiave “lo vuole Bruxelles “. Vi aggiunge un po’ di colore anticasta, ma siamo li’. Come per tutti i suoi predecessori, anche da lui questa nuova Europa finisce giocata in chiave squisitamente interna.

Alla vigilia di una “settimana decisiva per le riforme”, questo elemento di continuità con il passato è forse il punto più debole dell’operazione riforme del rivoluzionario Renzi. Al di la’ dei sospetti di autoritarismo che solleva, il Premier attuale si allinea qui a una lunga linea di predecessori che appena arrivati a Palazzo Chigi hanno cominciato a brigare intorno all’assetto istituzionale per poter consolidare la “governabilità del paese”, ma anche il loro personale destino politico. Prima di lui lo ha voluto fortemente Silvio Berlusconi, e ancora prima Bettino Craxi ma ne sono stati sempre tentati anche la vecchia Dc in fase di passaggio politico, vedi De Mita, e il vecchio Pd, uno per tutti D’Alema.

A nessuno di loro e’ riuscito. Anzi per tutti loro le riforme sono state il filo elettrico su cui si sono spesso arrestati. Forse il giovane Fiorentino, che è indubbiamente leader di grande abilità, riuscirà dove i suoi predecessori non sono riusciti .

Ma per favore, Renzi, almeno tu, consapevole di tutto quello che e’ venuto prima di te, non venderci questo progetto politico istituzionale, squisitamente italiano nel nome dell’Europa. Che poi anche per cose come queste l’Europa finisce spesso per risultarci incomprensibile, irritante. Ingiustamente.

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