Il nuovo senato traballa

27 Giu 2014

Con la pre­sen­ta­zione dei sub-emendamenti, sca­duta ieri mat­tina alle 11, la corsa delle riforme di Mat­teo Renzi parte dav­vero, e se il Pd è diviso Forza Ita­lia rischia una ben più cla­mo­rosa spac­ca­tura. Che il clima non sia per nulla ras­se­re­nato, da quelle parti, lo si è capito ieri mat­tina, nell’assemblea dei sena­tori.
Leggi anche “La fronda di Palazzo Madama” di Luca De Carolis sul Fatto Quotidiano.

chitiCon la pre­sen­ta­zione dei sub-emendamenti, sca­duta ieri mat­tina alle 11, la corsa delle riforme di Mat­teo Renzi parte dav­vero, e se il Pd è diviso Forza Ita­lia rischia una ben più cla­mo­rosa spac­ca­tura. Che il clima non sia per nulla ras­se­re­nato, da quelle parti, lo si è capito ieri mat­tina, nell’assemblea dei sena­tori. Ordine di scu­de­ria: ono­rare il patto del Naza­reno. Risul­tato con­creto: quat­tro inter­venti nella riu­nione di ieri mat­tina, tutti con­tro il senato non elet­tivo di Renzi. Il più secco Augu­sto Min­zo­lini, ma non è che gli altri, fede­lis­simo Razzi incluso, ci siano andati più leggeri.

L’elenco dei dis­sen­zienti si è fer­mato lì solo per­ché la riu­nione è stata aggior­nata a mar­tedì pros­simo (ma potrebbe slit­tare a gio­vedì per impe­gni del Cava­liere e forse anche essere can­cel­lata). Ma non sarà solo un’assemblea dei sena­tori. Il capo­gruppo alla Camera Renato Bru­netta, un altro falco anti-riforma, ha insi­stito e otte­nuto una riu­nione con­giunta dei gruppi par­la­men­tari con la par­te­ci­pa­zione straor­di­na­ria di Sil­vio Ber­lu­sconi. Dovrebbe essere quello il momento della verità. Non solo sulle riforme: quel tema, già vasto, nasconde un pro­blema ancora più strut­tu­rale, quello della falsa oppo­si­zione che il capo e Denis Ver­dini hanno impo­sto al par­tito.
Così se un sena­tore ammette senza remore che «non stiamo varando una riforma isti­tu­zio­nale ma un jac­k­pot: chi vince prende Camera e Senato, dun­que elegge il capo dello Stato e così decide anche sulla Corte costi­tu­zio­nale e sul Csm», un altro allarga lo spet­tro: «La verità è che sup­por­tiamo il governo più noi che l’Ncd. Non solo sulle riforme: anche nella poli­tica economica».

La sof­ferta scelta sarà in agenda non prima di mar­tedì. Pec­cato che le vota­zioni sugli emen­da­menti ini­zino invece lunedì pome­rig­gio che Fi debba dun­que affron­tarle senza uno strac­cio di orien­ta­mento. Tra il capo dei depu­tati Bru­netta e la vice­pre­si­dente dei sena­tori Anna Maria Ber­nini ieri ci sono stati attimi di vera ten­sione.
«Lunedì non dovete votare pro­prio niente», ha inti­mato il depu­tato. «Impos­si­bile», ha repli­cato la sena­trice. Con­clu­sione: lunedì i for­zi­sti cer­che­ranno di allun­gare quanto più pos­si­bile il brodo, evi­tando di pro­nun­ciarsi almeno sui punti spi­nosi.
Deci­sione rin­viata, dun­que. Si trat­tasse di un altro par­tito, la que­stione sarebbe già defi­nita. Due terzi dei sena­tori la pen­sano come i quat­tro che hanno par­lato ieri mat­tina. Una ven­tina almeno su 59 sono decisi a por­tare la sfida fino in fondo, anche a costo di votare con­tro la riforma del Naza­reno.
Ma Forza Ita­lia non è un par­tito come tutti: è una pro­prietà pri­vata. Dun­que, quasi cer­ta­mente, pas­serà la linea del pro­prie­ta­rio, a tutt’oggi con­vinto che «dal pro­cesso delle riforme noi non pos­siamo asso­lu­ta­mente stare fuori». Molti lo segui­ranno. Ma molti, sta­volta, pro­ba­bil­mente no.

Sul fronte oppo­sto, ieri, una folta con­fe­renza stampa ha pre­sen­tato gli emen­da­menti fir­mati da un fronte tra­sver­sale che va dai dis­si­denti del Pd (Van­nino Chiti e Felice Cas­son) a Sel (la capo­gruppo Lore­dana De Petris), agli ex gril­lini (Cam­pa­nella), all’ex mini­stro Mauro. Qual­cuno di loro fa parte della mag­gio­ranza, qual­cuno è all’opposizione, ma sulla neces­sità di cor­reg­gere la riforma con 15 emen­da­menti mirati con­cor­dano tutti.

I punti chiave sono anche qui la richie­sta di un Senato elet­tivo, con sena­tori eletti da ogni regione in misura pro­por­zio­nale alla popo­la­zione della regione stessa, e quella di dimez­zare o in subor­dine dimi­nuire dra­sti­ca­mente anche il numero dei depu­tati. Poi l’eliminazione dell’immunità per tutti i par­la­men­tari, oppure, se si rive­lerà impos­si­bile, l’introduzione di una regola per cui, in caso di voto par­la­men­tare con­tra­rio alle auto­riz­za­zioni, la deci­sione finale ver­rebbe dele­gata alla Corte costituzionale.

Ma que­sto fronte tra­sver­sale, che conta 38 sena­tori, mette in discus­sione anche le fun­zioni del nuovo Senato. Benis­simo che non voti la fidu­cia, nes­suno vuole man­te­nere il bica­me­ra­li­smo per­fetto. Ma ci sono que­stioni che non pos­sono essere lasciate nelle mani di una Camera in cui, gra­zie al pre­mio di mag­gio­ranza, un par­tito solo sarà padrone: i rap­porti con la Chiesa e con tutte le con­fes­sioni.
La libertà per­so­nale e di pen­siero. Le garan­zie giu­ri­di­che e la tutela della salute. I nodi delle incan­di­da­bi­lità o dei con­flitti di interesse.

Ma se que­sti emen­da­menti non pas­sas­sero, cosa fareb­bero i “ribelli” del Pd? Chiti la mette giù diplo­ma­tica. Biso­gnerà vedere cosa passa e cosa no. Comun­que saranno scelte indi­vi­duali. Non siamo mica una cor­rente! Cas­son è più espli­cito: «Anche Renzi ha detto che in aula cia­scuno vota secondo coscienza. E comun­que lo garan­ti­scono i rego­la­menti del Senato».

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