La politica vince sul cabaret

26 Giu 2014

Non è stato un caba­ret, e si è discusso di poli­tica. Che ci sia stato l’incontro Pd-M5S è posi­tivo, anche se si può temere che sia fuori tempo mas­simo. Un con­fronto inte­res­sante, che ovvia­mente inner­vo­si­sce Fi. Si vedrà nel pros­simo round.

Scheda elettoraleNon è stato un caba­ret, e si è discusso di poli­tica. Che ci sia stato l’incontro Pd-M5S è posi­tivo, anche se si può temere che sia fuori tempo mas­simo. Un con­fronto inte­res­sante, che ovvia­mente inner­vo­si­sce Fi. Si vedrà nel pros­simo round.

Della pro­po­sta di legge elet­to­rale M5S è soprat­tutto apprez­za­bile la scelta del pro­por­zio­nale. Qui è il punto di più radi­cale con­tra­sto con il Pd. Lo mette in chiaro Renzi, quando afferma che la pro­po­sta Pd è il sistema dei sin­daci, sem­plice, per cui chi vince vince, e chiede a M5S se è dispo­sto ad accet­tare un cor­ret­tivo che con­senta a chi vince di governare.

Penso – da molti anni – che que­sto paese abbia biso­gno di un bagno di pro­por­zio­nale per risco­prire che poli­tica e isti­tu­zioni devono essere nel loro com­plesso rap­pre­sen­ta­tive di con­sensi reali. Smet­tia­mola di cele­brare mag­gio­ranze di seggi fan­ta­sma cemen­tati da un pre­mio, o vit­to­rie epo­cali in bal­lot­taggi dove vota meno della metà degli elet­tori. Alla fine, som­mersi dalle chiac­chiere, finiamo col dimen­ti­care che se un elet­tore su quat­tro in carne e ossa sostiene un lea­der o un indi­rizzo di governo, tre elet­tori su quat­tro non lo sosten­gono, sono con­trari, o non votano affatto. Col tempo, pos­siamo esser certi che gli equi­li­bri reali si faranno sentire.

La rap­pre­sen­ta­ti­vità delle isti­tu­zioni è la chiave per cogliere in modo con­ti­nuo e rav­vi­ci­nato i biso­gni, e con­so­li­dare le fra­gi­lità del sistema poli­tico. Far entrare nelle isti­tu­zioni le mol­te­plici voci del paese e farle con­tare nella for­mu­la­zione e attua­zione dell’indirizzo poli­tico è l’unica vera via per un governo forte.

Dovremmo abo­lire o ridurre al minimo soglie, sbar­ra­menti, premi. La Mer­kel esce da una vittoria-non vit­to­ria, ed è a capo di un governo di lar­ghe intese frutto di una gesta­zione fati­co­sis­sima. Non ha stra­vinto nem­meno nelle europee.

Eppure, tra lei e Renzi, Mer­kel è il pos­sente cen­troat­tacco, e Renzi l’abatino. La ragione è nel fatto che il paese che la esprime è sta­bi­lis­simo e soli­dis­simo, con par­titi e isti­tu­zioni forti e rap­pre­sen­ta­tivi, senza arti­fici nei voti e nei seggi, con un sistema elet­to­rale dall’esito pro­por­zio­nale. In Fran­cia e GB si discute ampia­mente di cor­ret­tivi in chiave proporzionale

Quest’ultimo paese, in spe­cie, con la legi­sla­tura in corso esce per la prima volta in 70 anni dal single-party govern­ment dato da un sistema elet­to­rale per cui – come vor­rebbe Renzi – la sera del voto si sa chi vince. Eppure, nes­suno grida alla cala­mità nazio­nale, e nella camera dei comuni sie­dono anche par­la­men­tari eletti con poche migliaia di voti. Vogliamo imparare?

Meno bene M5S sulla pre­fe­renza nega­tiva. M5S la defi­ni­sce uno stru­mento per gli elet­tori di opporsi a can­di­da­ture indi­ge­ri­bili. È giu­sto. Ma a quali costi e con quali peri­coli? Renzi esprime dubbi, per­ché si corre il rischio di far con­trol­lare il voto in alcune zone del Paese. E c’è del vero. Ma il rischio mag­giore è piut­to­sto che la pre­fe­renza nega­tiva sia uti­liz­zata den­tro le forze poli­ti­che – in ogni ter­ri­to­rio – per una com­pe­ti­zione interna sre­go­lata e senza limiti.

Già la costru­zione dei pac­chetti di con­sensi per­so­nali indi­spen­sa­bili nelle orda­lie pri­ma­riali e nelle com­pe­ti­zioni elet­to­rali a pre­fe­renza unica hanno for­te­mente con­tri­buito al dis­sol­vi­mento dei par­titi come sog­getti sta­bil­mente orga­niz­zati. Aggiun­gere la pre­fe­renza nega­tiva non potrebbe che peg­gio­rare le cose. La rico­stru­zione di par­titi che non siano liquidi, eva­ne­scenti, feu­da­liz­zati nella obbe­dienza a capi e capetti, è via neces­sa­ria per rin­sal­dare e ripu­lire la poli­tica, le isti­tu­zioni, e tutto ciò che ne dipende. E dun­que non si può essere favo­re­voli. Per­ché non pen­sare a un sistema fon­dato su col­legi uninominali?

Infine, una parola sull’emendamento — richia­mato da Renzi — che sot­to­pone la legge elet­to­rale a uno scru­ti­nio pre­ven­tivo da parte della Corte costi­tu­zio­nale. Pro­po­sta inte­res­sante. Ma per­ché a que­sto punto non adot­tarla per uno spet­tro più ampio di leggi su ini­zia­tiva di una quota di par­la­men­tari suf­fi­cien­te­mente alta da espri­mere un ampio con­senso nel paese? Ad esem­pio, per tutte le leggi che in qual­siasi modo toc­chino diritti e libertà. Capiamo bene che i patiti della gover­na­bi­lità vedano come il dia­volo l’acqua santa che un’opposizione par­la­men­tare possa ricor­rere alla Corte.

Ma è quanto accade in Fran­cia senza alcun par­ti­co­lare scon­quasso. Eppure, la tra­di­zione poli­tica e dot­tri­na­ria fran­cese era stata per lungo tempo ostile al giu­di­zio di costi­tu­zio­na­lità sulle leggi come tale. Da noi, una simile inno­va­zione potrebbe tem­pe­rare in qual­che misura l’evidente defi­cit di con­trollo demo­cra­tico che viene dall’insieme delle riforme – elet­to­rale e isti­tu­zio­nali – pro­po­sto dal governo.

Per inno­vare biso­gna avere corag­gio, senza improv­vi­sare. Sapremo abban­do­nare i luo­ghi comuni e guar­dare più lon­tano, a par­tire dal totem della gover­na­bi­lità? I rifor­ma­tori ita­liani che vanno per la mag­giore assu­mono le parole d’ordine degli altri quando gli autori le hanno già supe­rate. Forse, smet­tono troppo pre­sto di stu­diare. Anche i cinesi copiano, e magari fanno cose bel­lis­sime, quasi uguali agli ori­gi­nali. Ma que­sto è il punto: quasi.

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