Riforme, il rinvio è un addio

14 Mag 2014

Requiem per la riforma costi­tu­zio­nale. Rin­viata a molto dopo le ele­zioni euro­pee, altro che 10 giu­gno, sem­pre che Renzi rie­sca a ripor­tare in vita il patto con Ber­lu­sconi che la regge. Intanto la mag­gio­ranza che voleva cor­rere si rifu­gia nel clas­sico metodo del rin­vio. Nove giu­ri­sti hanno par­lato sul dise­gno di legge costi­tu­zio­nale del governo e uno, Gustavo Zagrebel­sky, ha man­dato un testo scritto (pre­ve­di­bil­mente sfa­vo­re­vole). In netta pre­va­lenza, anche nume­rica, i cri­tici.

Commissione_parlamentareRequiem per la riforma costi­tu­zio­nale. Rin­viata a molto dopo le ele­zioni euro­pee, altro che 10 giu­gno, sem­pre che Renzi rie­sca a ripor­tare in vita il patto con Ber­lu­sconi che la regge. Intanto la mag­gio­ranza che voleva cor­rere si rifu­gia nel clas­sico metodo del rin­vio. Sca­denza degli emen­da­menti spo­stata al 28 mag­gio. E nes­suna deci­sione nella giunta per il rego­la­mento sull’affaire Cal­de­roli, cioè sulla for­za­tura impressa dalla pre­si­dente della prima com­mis­sione Finoc­chiaro nella seduta not­turna del 6 mag­gio scorso. Quando, mal­grado l’approvazione a sor­presa dell’ordine del giorno Cal­de­roli che impe­gna la com­mis­sione a man­te­nere l’elezione diretta anche per il nuovo senato, ha suc­ces­si­va­mente fatto appro­vare come testo base la pro­po­sta del governo che va in dire­zione oppo­sta, ed esclude l’elezione diretta. In giunta Forza Ita­lia, mal­grado quella notte in com­mis­sione avesse con­te­stato la mossa, ha deciso di assi­stere ancora il governo, ma non fino al punto da boc­ciare il ricorso di Cal­de­roli. Il pre­ce­dente sarebbe stato assai ingom­brante, così il pre­si­dente Grasso con il con­senso dei ber­lu­sco­niani ha pre­fe­rito accan­to­nare. Pro­ba­bil­mente augu­ran­dosi che pas­sate le ele­zioni la que­stione esca dai riflet­tori. Com’è pro­ba­bile se a quel punto il pro­blema di Renzi, e di Ber­lu­sconi, sarà la legge elet­to­rale. Per cam­biarla, gra­zie a quel bica­me­ra­li­smo pari­ta­rio che il governo vuole fra­go­ro­sa­mente eli­mi­nare, ma nel quale dovrà rifu­giarsi per la terza volta in tre mesi.

Non giova allo stato di salute della riforma ren­ziana, alla quale il pre­si­dente del Con­si­glio ha legato la sua «car­riera» poli­tica, il turno di audi­zioni che si è svolto ieri in prima com­mis­sione. Nove giu­ri­sti hanno par­lato sul dise­gno di legge costi­tu­zio­nale del governo e uno, Gustavo Zagrebel­sky, ha man­dato un testo scritto (pre­ve­di­bil­mente sfa­vo­re­vole). In netta pre­va­lenza, anche nume­rica, i cri­tici. In soste­gno del testo fir­mato Renzi-Boschi solo Ste­fano Cec­canti, Ida Nico­tra e Roberto Zac­ca­ria, che pure hanno sot­to­li­neato l’esigenza di alcune modi­fi­che. Non ostile nean­che l’amministrativista Gian­do­me­nico Fal­con, ma ha sostan­zial­mente chie­sto di riscri­vere la parte dedi­cata al Titolo V. Con­trari, da sponde poli­ti­che oppo­ste, i pro­fes­sori Ste­lio Man­gia­meli e Fran­ce­sco Cer­rone, che ha par­lato di «popu­li­smo» e «pul­sioni auto­ri­ta­rie» dell’esecutivo. Men­tre sono andati più in pro­fon­dità gli inter­venti di Ste­fano Rodotà e Ales­san­dro Pace, fir­ma­tari di quell’appello «Verso la svolta auto­ri­ta­ria» che ha fatto imbiz­zar­rire Renzi, e di Luigi Fer­ra­joli.
Rodotà non ha girato attorno alla sua pole­mica con il pre­si­dente del Con­si­glio. «Gli inno­va­tori del 2014 sono più indie­tro dei con­ser­va­tori del 1985», ha detto, ricor­dando (e riven­di­cando) l’antica pro­po­sta per il mono­ca­me­ra­li­smo. «Il vero con­ser­va­to­ri­smo — ha detto — è quello di chi pro­pone una legge elet­to­rale in con­ti­nuità con la pre­ce­dente, col­pita dalla Con­sulta, utile solo agli inte­ressi dei con­traenti del patto», Renzi e Ber­lu­sconi. Nel testo del governo, ha chia­rito, non c’è solo il bica­me­ra­li­smo in discus­sione, ma la forma di governo. E in senso auto­ri­ta­rio, nel solco della linea di pen­siero che sca­rica sulle isti­tu­zioni le inca­pa­cità della poli­tica. Spa­zio anche per un avver­ti­mento ex cathe­dra a Renzi, che aveva detto che l’ordine del giorno Cal­de­roli «vale zero». «La demo­cra­zia, spe­cie nel caso della revi­sione costi­tu­zio­nale, è anche pro­ce­dura. Non si può qua­li­fi­care come irri­le­vante un atto par­la­men­tare che insi­ste nel pro­ce­di­mento pre­vi­sto dall’articolo 138».

Altro «pro­fes­so­rone», Ales­san­dro Pace ha esor­dito sul filo dell’ironia — «spero di non irri­tare nes­suno ma fac­cio il mestiere di costi­tu­zio­na­li­sta» — poi ha sol­le­vato ben tre obie­zioni pre­giu­di­ziali al testo gover­na­tivo. 1: il par­la­mento dopo la sen­tenza della Con­sulta sul Por­cel­lum non è legit­ti­mato a cam­biare la Costi­tu­zione. 2: il dise­gno di legge non è omo­ge­neo per­ché mette insieme forma par­la­men­tare e titolo V, così da limi­tare la libertà di voto in caso di refe­ren­dum con­fer­ma­tivo. 3: non com­pete al governo l’iniziativa legi­sla­tiva costi­tu­zio­nale. «Se que­sta pro­po­sta venisse accolta — ha detto — e diven­tasse legge anche l’Italicum, avremmo un sostan­ziale mono­ca­me­ra­li­smo domi­nato da una coa­li­zione non legit­ti­mata dalla mag­gio­ranza degli elet­tori e privo di con­tro­po­teri».
Mono­ca­me­ra­li­smo — ha aggiunto Fer­ra­joli — che potrebbe in teo­ria essere un fat­tore di raf­for­za­mento del par­la­mento. Ma alla con­di­zione che l’unica camera venisse eletta con una legge «per­fet­ta­mente pro­por­zio­nale». Vice­versa, ed è la situa­zione che pro­pone l’esecutivo, la camera si avvia a essere «stru­mento di mera rati­fica della volontà gover­na­tiva». Sem­pre che que­sta riforma abbia un futuro.

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