Costituzione di palazzo Chigi

29 Apr 2014

palazzo-chigi1Fun­ziona così. Il pre­si­dente del Con­si­glio con­voca (di buon mat­tino) la pre­si­dente della com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali, che in quanto rela­trice ha in mano il pro­getto di riforma della Costi­tu­zione, e con lei il capo­gruppo del Pd che si sup­pone o si spera con­trolli le inten­zioni di voto di tutti i suoi sena­tori. La riu­nione serve a tro­vare un accordo, un com­pro­messo sulla riforma del bica­me­ra­li­smo. È una riu­nione in fami­glia. C’è anche la mini­stra Boschi, sono tutti di un solo par­tito (il Pd) ma hanno sul tavolo la legge che modi­fica 44 arti­coli, quasi un terzo, della Costi­tu­zione.
Il pre­si­dente del Con­si­glio è quello che ha detto che le riforme si devono fare con tutti. L’ha detto per difen­dere il suo patto obbli­gato con Ber­lu­sconi, senza i cui voti non avrebbe potuto imporre né la nuova legge elet­to­rale né que­sta riforma nem­meno al suo partito. A palazzo Chigi ieri erano in quat­tro. Il dibat­tito in com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali è durato dieci giorni, non dieci mesi, e l’89 per­cento degli inter­venti ha boc­ciato la riforma pro­po­sta dal governo. Ma la riforma si deve fare: Mat­teo Renzi ha minac­ciato altri­menti che lascerà non la carica ma addi­rit­tura la poli­tica.
Senza la riforma ci sarebbe «il sui­ci­dio del sistema demo­cra­tico», come da bat­ta­gliero parere della teo­rica mino­ranza interna al Pd. Renzi, che ha fir­mato in prima per­sona il pro­getto di riforma costi­tu­zio­nale, tra­sfe­ri­sce al governo anche il lavoro di media­zione che dovrebbe fare il par­la­mento. Il suo dise­gno di legge ha qual­cosa di più degli ultimi due ten­ta­tivi di orga­nica revi­sione della Carta, il Titolo V del cen­tro­si­ni­stra e la Costi­tu­zione di Loren­zago del cen­tro­de­stra: entrambi por­ta­vano forte l’impronta del governo dell’epoca ed entrambi sono fal­liti.
Mai era suc­cesso però che il pre­si­dente del Con­si­glio si tra­sfor­masse anche in rela­tore del testo di riforma, seguendo per­so­nal­mente anche le modi­fi­che. Accet­tando e respin­gendo emen­da­menti. Oggi lo farà davanti all’assemblea del gruppo Pd. La bozza di lavoro finale, il cosid­detto «testo base», par­tirà dun­que dal dise­gno di legge del governo. Lo fir­merà la pre­si­dente Anna Finoc­chiaro, ma con­terrà le varia­zioni che Renzi ha deciso di acco­gliere. In bella evi­denza quelle che erano già pre­vi­ste, ma lasciate al dibat­tito dei sena­tori per dare l’impressione di con­ce­dere qual­cosa.
I 21 sena­tori di nomina qui­ri­na­li­zia non saranno natu­ral­mente 21 (che vor­rebbe dire un forte par­tito del pre­si­dente della Repub­blica) ma molti di meno. I sena­tori del Molise (300mila abi­tanti) non saranno natu­ral­mente nello stesso numero di quelli della Lom­bar­dia (10 milioni di abi­tanti). Le com­pe­tenze del nuovo senato saranno allar­gate, il che farà pia­cere ai sena­tori che potranno per esem­pio occu­parsi delle diret­tive euro­pee, cioè di una mate­ria vastis­sima. Così sarà più insen­sato attri­buire la fun­zione legi­sla­tiva a chi non è eletto per que­sto, meno netta la dif­fe­renza tra le due camere. Basta che la riforma si approvi. Non più entro le ele­zioni euro­pee — «non ci impic­chiamo a una data», dice adesso chi quella sca­denza ha inven­tato e impo­sto fino alla penul­tima dichia­ra­zione — ma in modo che il pre­si­dente del Con­si­glio possa pre­sen­tare al mondo un suo suc­cesso, qual­siasi cosa ci sia den­tro. La grande esi­bi­zione di forza nasconde infatti una grande debo­lezza. Le argo­men­ta­zioni dei sena­tori con­trari — di tutti i gruppi — hanno già otte­nuto un arre­tra­mento di Renzi rispetto alle posi­zioni ini­ziali. Aveva pro­get­tato un senato quasi di soli sin­daci, adesso sin­daci e rap­pre­sen­tanti di regione si equi­val­gono, domani acco­glierà l’obiezione che gli ammi­ni­stra­tori comu­nali non pos­sono anche fare le leggi e ne lascerà una rap­pre­sen­tanza sim­bo­lica, per non capi­to­lare del tutto.
Sulla com­po­si­zione del nuovo senato però deve ancora lavo­rare. La solu­zione che ha in testa, l’elezione dei sena­tori all’interno dei con­si­gli regio­nali, lasciando la dop­pia fun­zione, è infatti total­mente illo­gica. L’elezione diretta in con­tem­po­ra­nea alle ele­zioni regio­nali, ma con una legge pro­por­zio­nale che in parte può bilan­ciare le distor­sioni dell’Italicum, sarebbe la con­clu­sione più ragio­ne­vole una volta accet­tato il prin­ci­pio che il senato non può essere un «dopo­la­voro» per il ceto poli­tico locale. L’ostacolo è il «paletto» fis­sato da Renzi: non vuole sena­tori diversi dai con­si­glieri regio­nali (e sin­daci). Per­ché, sostiene, affi­dare ai cit­ta­dini l’elezione dei rap­pre­sen­tanti in par­la­mento signi­fica «fre­nare il cambiamento».

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