Gustavo Zagrebelsky risponde su “La Stampa” di martedì 8 aprile all’appello/editoriale scritto due giorni fa dal suo collega dell’Università di Torino, il professor Gian Enrico Rusconi, in merito alla denuncia di Libertà e Giustizia contro le riforme istituzionali del governo Renzi. L’editoriale di Rusconi partiva con un elogio di Rodotà e Zagrebelsky, definiti “i migliori”, rimarcando però i limiti del loro appello contro la svolta autoritaria prefigurata dall’accordo tra l’attuale presidente del Consiglio e Berlusconi.
Il presidente di Libertà e Giustizia evidenzia come Rusconi abbia colto un punto vero del dissidio con Renzi, ovvero il conflitto generazionale tra i “giovani” ansiosi di cambiamento e i “vecchi” timorosi di modifiche sbagliate. Zagrebelsky definisce anche un po’ “tranchant” l’appello, anche se nel merito ne difende i contenuti. “E’ un insieme di elementi che formano un quadro inquietante: la riduzione del Senato ad un ibrido non politico; una legge elettorale che comprime il pluralismo con soglie “assurde”; deputati nominati dalle segreterie che faticano a mostrare la loro libertà di rappresentanti; il crollo dei partiti da cui emerge solo la leadership personale; una riforma strisciante, ma non dichiarata, della forma di governo”.
Il presidente di Libertà e Giustizia critica la presunzione del presidente del Consiglio, rimarcando di non intravedere alcun disegno generale su cui discutere. Un’ostilità al dialogo che per Zagrebelsky rende giustificato l’appello, anche perché per Renzi discutere con lui significa solo dirgli di sì. Per il presidente emerito della Corte Costituzionale dire sì a questa riforma significa assumersi una grande responsabilità, e Zagrebelsky non si dice per nulla imbarazzato dall’appoggio di Grillo all’appello di Libertà e Giustizia, rimarcando di vedere in questo giudizio un elemento di intolleranza.
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Gent. Prof. Zagrebelsky, ho letto l’appello suo e di altri intellettuali sulla svolta autoritaria. Ma la cosa che mi ha sbalordito è che si parla di un “Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza n°1 2014 della Corte Costituzionale”. Ma l’ha Letta la sentenza della Corte? O per amore di polemica si è inventato la “delegittimazione”? E pensare che Lei l’ha presieduta. Certe balle le racconti a Sandra Bonsanti, ma non in giro, perché ci fa solo brutta figura. Con la dovuta stima. Enrico Motta. Milano