No agli aut aut sulla Costituzione

01 Apr 2014

Renzi non fa che ripetere che egli si gioca tutto, in nome del principio di responsabilità. Ma quella costituzionale non è materia di governo. Su di essa il mantra con il quale il premier annuncia solennemente che se non passasse esattamente la sua riforma costituzionale egli lascerebbe la politica non è una virtuosa prova di coraggio e di etica della responsabilità, ma un aut aut che inibisce una libera discussione.

renziNon ho votato Renzi alle primarie, ma neppure i suoi antagonisti. Ho nei suoi confronti un atteggiamento, come usa dire, laico. Di più: dopo la sua netta vittoria alle primarie e nonostante l’oggettiva forzatura con la quale egli è asceso a palazzo Chigi, ho espresso in più circostanze l’opinione che lo si dovesse sostenere con lealtà e convinzione. Che, per esempio, non si dovesse riaprire surrettiziamente il congresso PD, come da qualche parte si è provato a fare. Non tutte le molte, troppe proposte avanzate da Renzi mi hanno convinto. Soprattutto mi preoccupa lo smisurato carico di aspettative che egli va alimentando e il metodo sbrigativo – prendere o lasciare – da lui adottato su questioni straordinariamente complesse e controverse. E tuttavia non mi sfuggono tre decisive circostanze che suggeriscono di sostenerlo: il modo più efficace per contrastare il dilagante mix di qualunquismo e populismo è smentire in concreto l’opinione secondo la quale la politica è sterile e parassitaria; il consenso di cui egli gode può propiziare riforme da lungo tempo attese e che rappresentano la condizione e il presupposto per venire a capo di una crisi che è, insieme, economica, sociale e democratica; la convinzione che sia nostro dovere dare credito a una nuova generazione, della cui domanda di protagonismo Renzi si fa interprete. È questa la disposizione di spirito che mi anima. Ed essa fa premio sulle pur buone ragioni che suggerirebbero un certo scetticismo o comunque la diffidenza verso un eccesso di semplificazione e di impazienza, verso il mito del fare e del fare presto più che bene. Da mesi mi affanno a suggerire ad amici e colleghi sconcertati e critici verso gli azzardi di Renzi che essi devono vincere i loro pregiudizi e persino i loro argomentati giudizi. Che si debba dare modo a questa nuova classe politica di mettersi alla prova, che si debba concederle fiducia anche se non sempre a noi, più avanti negli anni, riesce di comprendere metodi e stile un po’ troppo baldanzosi. Lo suggerisco ad altri, ma anche a me stesso.

Non sarei onesto tuttavia se tacessi che talune ultime mosse del giovane premier mi mettono in grave difficoltà. Alludo alle riforme costituzionali. Prescindo dal merito, mi limito al metodo, che tuttavia è decisivo in tema di Costituzione. Esemplifico: come si può chiedere un sì cumulativo alla riscrittura della seconda parte della Costituzione a modo soluzione pacchetto? che si avalli la forzatura di un testo governativo su materia eminentemente parlamentare? che si condensi in una sola legge costituzionale titoli diversi a valle dei quali si prospetta un solo referendum confermativo dal sapore plebiscitario anziché pronunciamenti distinti per materie? come si possono liquidare con fastidio gli argomenti di una parte qualificata della nostra cultura costituzionalistica? che senso ha applicare la coppia conservatori-innovatori alla materia costituzionale, considerato che la durata nel tempo delle Costituzioni è spesso indizio della loro bontà (gli Usa insegnano)? come si può tacere a fronte di riforme di sistema di rango costituzionale (bicameralismo, titolo V, province) concepite e proposte sotto la voce pur popolarissima della riduzione dei costi e delle indennità?

Su altri fronti, compreso quello delicato e controverso delle riforme economico-sociali e della legislazione sul lavoro, può darsi che si debba concedere di più alla democrazia deliberativa, che si debbano sperimentare ricette audacemente liberiste. Ma personalmente faccio più fatica ad accedere all’idea che, per cambiare la Costituzione, la drastica semplificazione sia un valore, la competenza degli studiosi un impiccio, il confronto parlamentare un optional, la democrazia decidente un totem cui sacrificare gli equilibri di cui è intessuto il costituzionalismo democratico contemporaneo.

Renzi non fa che ripetere che egli si gioca tutto, in nome del principio di responsabilità. Ma quella costituzionale non è materia di governo. Su di essa il mantra con il quale il premier annuncia solennemente che se non passasse esattamente la sua riforma costituzionale egli lascerebbe la politica non è una virtuosa prova di coraggio e di etica della responsabilità, ma un aut aut che inibisce una libera discussione.

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