Grasso: non abolite il Senato

30 Mar 2014

Liana Milella

I dubbi della seconda carica dello Stato nei confronti della riforma: “La gente si preoccupa giustamente dei costi della politica, però non bisogna indebolire la democrazia”. «Affidare a una sola camera anche le scelte sui diritti e sui temi etici potrebbe portare a leggi intermittenti, che cambiano ad ogni legislatura, su scelte che toccano profondamente la vita dei cittadini e che hanno bisogno di essere esaminate anche in una camera di riflessione, come ritengo debba essere il Senato».

procuratore grassoSINDACI e governatori nel nuovo Senato? «Ci sarebbe una sovrapposizione di poteri diversi ». Chi dovrebbe scegliere i futuri senatori? «Anche la gente». Il nome? «Sempre Senato». I rapporti tra Montecitorio e Palazzo Madama? «No al bicameralismo perfetto». La fiducia? «Solo alla Camera». L’obiettivo istituzionale? «La stabilità e la rappresentatività indicata dalla Corte costituzionale ». Nel suo studio le foto sono soprattutto quelle della vita da magistrato, anche se spicca l’ultima con Papa Francesco. Lui, il presidente del Senato Pietro Grasso, ragiona solo da politico.
QUANDO gli si dice che un accreditato gossip lo descrive come il futuro capo dello Stato, con aria visibilmente seccata, replica: «Non scherziamo. Io penso a fare bene il mio lavoro, e da presidente parlo della riforma del Senato, nel mio pieno ruolo istituzionale e super partes».
E come si sente come probabile ultimo presidente di questo Senato?
«Da fuori mi vedono come l’ultimo imperatore, io mi sento l’ultimo dei mohicani…».
Renzi è stato netto, ha detto «se il Senato non va a casa, vado a casa io». Domani esce il suo testo. Se vestisse i suoi panni che farebbe?
«Quello che sta facendo lui, lavorando con tutte le mie forze per superare il bicameralismo perfetto, diminuire il numero dei parlamentari, semplificare l’iter legislativo».
Ma da qui come la vede? Abolire il Senato è davvero necessario e indispensabile?
«Aldilà delle semplificazioni mediatiche nessuno parla di abolire il Senato, ma di superare il bicameralismo attuale. L’urgenza è prima istituzionale che economica: dobbiamo accelerare il processo legislativo, senza indebolire la democrazia ».
Che aria ha avvertito nei suoi incontri con la gente, ritengono il Senato un’inutile fonte di sprechi? Un duplicato della Camera? Una perdita di tempo? Un residuo del passato?
«Certamente la gente pensa, a ragione, che quasi mille parlamentari siano troppi, che la politica costi molto e produca poco, che sia venuto il momento di dare una sterzata. Ma avverto anche la forte preoccupazione di mantenere, su alcuni temi, la garanzia di scelte condivise. Con un sistema fortemente maggioritario, con un ampio premio di maggioranza e una sola Camera politica, il rischio è che possano saltare gli equilibri costituzionali e ridursi gli spazi di democrazia
diretta».
E sarebbe?
«Affidare a una sola camera anche le scelte sui diritti e sui temi etici potrebbe portare a leggi intermittenti, che cambiano ad ogni legislatura, su scelte che toccano profondamente la vita dei cittadini e che hanno bisogno di essere esaminate anche in una camera di riflessione, come ritengo debba essere il Senato».
Quindi il suo Senato ideale come si chiama e com’è fatto?
«Non rinuncerei mai a una parola italiana che viene usata in tutto il mondo. Lascerei il nome di Senato, e dovrebbe essere composto da rappresentanti delle autonomie e componenti eletti dai cittadini…».
Che fa, la stessa proposta del capogruppo di Forza Italia Romani? Ancora un Senato di eletti? Ma così crolla il progetto Renzi…
«Non è la stessa proposta, perché io immagino un Senato composto da senatori eletti dai cittadini contestualmente alle elezioni dei consigli regionali, e una quota di partecipazione dei consiglieri regionali eletti all’interno degli stessi consigli. Per rendere più stretto il coordinamento tra il Senato così composto e le autonomie locali, prevederei la possibilità di partecipazione, senza diritto di voto, dei presidenti delle Regioni e dei sindaci delle aree metropolitane ».
Renzi vuole come senatori sindaci e governatori regionali, lei perché è contrario?
«Perché ritengo che per una vera rappresentatività sia indispensabile che almeno una parte sia eletta dai cittadini, come espressione diretta del territorio e con una vera parità di genere. Una nomina esclusivamente di secondo grado comporterebbe una accentuazione del peso dei partiti piuttosto che di quello degli elettori ».
Quindi un fifty-fifty?
«Non si tratta di percentuali, su quelle vedremo. Credo sia utile la presenza di rappresentanti delle Assemblee regionali, proprio per rafforzare la vocazione territoriale del Senato, estendendo la funzione legislativa regionale a livello nazionale. Ma sindaci e presidenti di Giunte regionali, che esercitano una funzione amministrativa sul territorio, a mio avviso non possono esercitare contemporaneamente una funzione legislativa nazionale, ma soltanto consultiva e di impulso».
Altro che Senato delle autonomie, il suo assomiglia a quello di adesso, solo con meno poteri e competenze.
«Niente affatto. Il Senato che immagino io, anche in parallelo con la riforma del Titolo V, è un luogo di decisione e di coordinamento degli interessi locali fra di loro e in una visione nazionale, e in questo senso dovrebbe sostituire la Conferenza Stato-Regioni».
E come la mette con i soldi? Questo suo Senato, sicuramente, avrà un costo maggiore rispetto a uno di sindaci e governatori perché gli eletti, proprio come quelli di illustri che siano adesso, dovranno necessariamente essere retribuiti. Quindi, con questo sistema, dove va a finire il risparmio previsto da Renzi?
«Possiamo ottenere risparmi maggiori diminuendo il numero complessivo dei parlamentari e riducendo le indennità, solo per iniziare. Poi mi faccia dire che non si può incidere sulla forma dello Stato solo con la calcolatrice in mano».
Questo suo Senato rispetto alla fiducia al governo che fa?
«Non dà la fiducia, non si occupa di leggi attuative del programma di governo, né di leggi finanziarie e di bilancio. Il rapporto col governo su questi punti deve restare solo e soltanto alla Camera».
Di quali leggi dovrebbe occuparsi?
«Oltre a tutte le questioni di interesse territoriale, delle leggi costituzionali o di revisione costituzionale, di legge elettorale, ratifica dei trattati internazionali, di leggi che riguardano i diritti fondamentali della persona».
Solo questo?
«Io immagino che una Camera prettamente ed esclusivamente politica debba essere bilanciata da un Senato di garanzia, con funzioni ispettive, di inchiesta e di controllo, anche sull’attuazione delle leggi. Chiaramente il Senato dovrà partecipare, in materia determinante, ai processi decisionali dell’Unione Europea, sia in fase preventiva che attuativa».
Prevede anche i senatori a vita o cittadini
«L’apporto di grandi personalità del mondo della cultura, della scienza, della ricerca, dell’impegno sociale non può che essere utile. In che modo e in che forma sarà da vedere».
Due questioni calde, la tagliola sulle leggi del governo che vanno a rilento e i poteri “di vita e di morte” del premier sui ministri. Progetto ammissibile e condivisibile?
«Un termine chiaro entro cui discutere le proposte del governo, in un sistema più snello, non può che accelerare e semplificare l’iter legislativo. La ritengo una buona proposta. La seconda ipotesi non mi sembra sia prioritaria in questo momento».
Praticabilità politica. Dopo il caos del voto sulle province, finito con la fiducia, che prevede per il voto su questa riforma?
«Se si vuole un’accelerazione e una maggioranza di due terzi non si deve procedere mostrando i muscoli, ma cercando proposte più possibili condivise e aperte alla riflessione parlamentare. I senatori non sono tacchini che temono il Natale, e sono pronti a contribuire al disegno di riforma del Senato».
Ne è davvero convinto o s’illude?
«Hanno compreso, credo, le aspettative dei cittadini: partecipazione democratica, efficienza delle istituzioni, diminuzione del numero di deputati e senatori, taglio radicale ai costi della politica. Diminuendo di un terzo il numero dei parlamentari tra Camera e Senato, e riducendo le indennità, si otterrebbe un risparmio ben superiore a quello che risulterebbe, bilancio alla mano, dalla sostituzione dei senatori con amministratori dei comuni, delle aree metropolitane e delle regioni».
Un prossimo voto di fiducia di questo Senato sul futuro Senato è ipotizzabile?
«Non penso che si possa riformare la Costituzione con un maxi-emendamento e senza alcun contributo delle opposizioni».
Il timing di Renzi prevede prima la riforma del Senato, poi quella elettorale, il famoso Italicum. Forza Italia dice già di no e vuole il contrario. Lei che tempistica prevede?
«Dal momento che la legge elettorale riguarda solo la Camera approviamo prima la riforma del Senato, per poi passare immediatamente all’Italicum».
Lei sta già riorganizzando gli uffici di questo Senato. Perché? Per mantenere lo status quo o in vista della riforma?
«Sto lavorando per proporre al Consiglio di presidenza una riorganizzazione che risponda ad alcune esigenze attese da anni. Questo non ostacola le riforme, anzi le anticipa: razionalizzando le strutture, eliminando quelle non necessarie, valorizzando la prospettiva regionale ed europea del Senato, tagliando dal 30 al 50% le posizioni apicali e andando a ricoprire i posti restanti con nomine a costo zero, senza alcun aumento in busta paga per nessuno. Inoltre è già stato deliberato l’accorpamento di molti servizi con quelli corrispettivi della Camera, e si va verso l’unificazione dei ruoli del personale di Camera e Senato. Voglio che il nuovo Senato parta già nella sua piena efficienza».
Politica e mafia. La polemica sul 416-ter. La sua proposta, appena eletto, è agli atti. Adesso? È d’accordo sull’ipotesi del decreto legge cambiando il testo uscito dal Senato?
«Come ho detto, la mia proposta è agli atti. L’ho presentata il primo giorno, ho ancora il braccialetto bianco al polso e spero che si faccia presto e bene».

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