I 5 Stelle e la democrazia del web

26 Feb 2014

La “rete” dopo aver decretato con il proprio voto l’espulsione della senatrice Gambaro dal M5S colpevole di un dissenso lesivo degli interessi del movimento, dovrà ora pronunciarsi sull’espulsione di quattro senatori proposta, con la medesima accusa, dall’assemblea dei gruppi parlamentari.

grilloLa “rete” dopo aver decretato con il proprio voto l’espulsione della senatrice Gambaro dal M5S colpevole di un dissenso lesivo degli interessi del movimento, dovrà ora pronunciarsi sull’espulsione di quattro senatori proposta, con la medesima accusa, dall’assemblea dei gruppi parlamentari. Eppure le critiche levate a Grillo dai quattro apparivano del tutto logiche poiché il loro leader si era, di fatto, sottratto a quel confronto con Renzi che la base del movimento, consultata in rete, aveva richiesto. La gestione del dissenso non sembra riguardare il solo M5S se è vero che Civati si è detto costretto a votare la fiducia al governo Renzi, nei confronti del quale non aveva certo risparmiato critiche, per non pregiudicare la sua permanenza nel PD, ma la questione così come si pone nel M5S presenta aspetti che vanno ben oltre alla pura opportunità politica investendo alcuni presupposti che sono alla base della democrazia rappresentativa. Hegel diceva che “Ciò che insegnano l’esperienza e la storia è che i popoli e i governi non hanno mai imparato nulla dalla storia e non hanno mai agito in base agli insegnamenti che se ne sarebbero dovuti trarre”. Così, il M5S, che pensa di costruire una “vera democrazia” sulla base della “intelligenza collettiva” che scaturirebbe dal Web, è probabilmente inconsapevole di riecheggiare l’utopia Roussoviana della “volonté générale”, elaborata nel “Contratto Sociale”, in cui si immagina il popolo come una comunità deliberante animata da una precisa volontà, quella generale, che va per sua stessa natura verso il bene della comunità. I legislatori, quindi, non possono avere interessi e posizioni contrarie alla stessa. Il Contratto sociale sulla base del quale si legittima il potere, infatti, “contiene implicitamente questo impegno, che solo può dar forza agli altri: chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale vi sarà costretto da tutto il corpo (politico), il che non significa altro che lo si forzerà a essere libero.”
Questi principi furono ripresi nella costituzione dell’URSS che, avendo sostituito alla volontà generale la dittatura del proletariato, affermava: “Il deputato ha l’obbligo di rendere conto del suo lavoro e del lavoro del Soviet agli elettori ed anche ai collettivi e alle organizzazioni sociali che l’hanno presentato come candidato a deputato. Il deputato che non si sia mostrato degno della fiducia degli elettori può essere revocato in qualunque momento, per decisione della maggioranza degli elettori, secondo la procedura stabilita dalla legge” (articolo 107). La legge applicativa del dettato costituzionale stabilì poi che la revoca era affidata alle strutture di base del PCUS (sindacati, komsomol, collettivi di lavoro, etc.). Se ai Komsomol e ai collettivi sostituiamo blog e meetup, il gioco è fatto e l’espulsione dei dissidenti sacrosanta. Aveva, dunque, ragione il costituente stalinista? Il parlamentare è solo l’impersonale terminale di una volontà popolare che si assume assoluta e univoca (mentre è un coacervo di interessi, spinte emotive, pregiudizi e approssimazioni) o è la persona che, culturalmente affine al nostro sentimento, consideriamo attrezzata per approfondire, confrontarsi e mediare in un contesto socio-economico-culturale che sappiamo essere eterogeneo? Possono i membri dell’assemblea dibattere al fine di arrivare a una determinazione maggioritaria data dalla somma di singole, autonome e libere determinazioni? Negare al parlamentare la libertà di valutare e definire una propria autonoma volontà (ovvero ammettere un vincolo di mandato imperativo in spregio dell’art 67 della Costituzione), non significa negare la ragione stessa di un organo assembleare e i fondamenti della rappresentanza? Ammetterlo, invece, non significa il dovere di accettare il dissenso e anche di tutelarlo da ogni possibile coercizione o ritorsione? In queste scelte è l’atto di nascita delle liberal-democrazie o la loro constatazione di morte. Allora il problema, di fronte alla crisi della rappresentanza che questi episodi denunciano, è: cosa vivrà al di là della loro morte? Il nazismo, il fascismo e il socialismo reale non si sono mai qualificati come movimenti antidemocratici bensì, paradossalmente, come democrazie più compiute e autentiche delle altre in quanto meglio delle altre incarnavano la “volontà popolare”. Non sembra sfuggire a questa drammatica degenerazione la democrazia del web.

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