Napolitano, gli F35 e i Marò

17 Feb 2014

Il presidente Napolitano ci sorprende, si può dire, quotidianamente per la gestione, che definiremmo simpaticamente creativa con cui interpreta il suo ruolo. In qualche caso l’originalità del suo pensiero giustifica la meraviglia, se non proprio sconcerto.

F35Il presidente Napolitano ci sorprende, si può dire, quotidianamente per la gestione, che definiremmo  simpaticamente  creativa con cui interpreta il suo ruolo.
In qualche caso l’originalità del suo pensiero giustifica la meraviglia, se non proprio sconcerto.
Così mi occorse, particolarmente, in due occasioni.
Nel luglio dell’anno scorso la camera decise di informarsi sull’acquisto degli F35. Il presidente, si lesse, convocò prontamente il Consiglio supremo di difesa. Un organo, che la Costituzione rammenta solo per dire che è presieduto dal presidente della Repubblica, senza chiarirne le funzioni. La dottrina stessa è profondamente perplessa sulle competenze di quest’organo, regolato da una legge del 1950,  della cui costituzionalità seriamente si dubita (vedasi Motzo, in Enc. Dir., punto 5).
In esito a tale convocazione, il presidente secondo quanto si apprese dalla stampa, affermò, in piena sintonia col governo e coi ministri interessati,  che il Parlamento non ha alcun potere di pronunciarsi su decisioni operative e provvedimenti tecnici che rientrano nelle responsabilità dell’esecutivo. In altri termini, di fatto proibì alle camere di discutere dell’argomento.
Ma l’articolo 78 della Costituzione dice che sono le Camere che “deliberano lo stato di guerra e conferiscono al governo i poteri necessari”.
Le camere dunque non hanno potestà di discutere delle armi di cui lo Stato si deve dotare per fare la guerra? E non hanno titolo per interrogarsi con quali armi la si vuol combattere, posto che loro, e non altri, debbono conferire al governo “i poteri”, tra cui gli stanziamenti finanziari, necessari? E non hanno, più che il diritto, il dovere di conoscere se gli strumenti bellici di cui il governo e lo stato maggiore dell’esercito vuol dotarsi, rispettano i principi dell’articolo 11 Cost? spetta al consiglio supremo stabilire se, per dire, l’esercito debba dotarsi di armi chimiche?
L’altra cosa riguarda i due marò, quegli sciagurati militari – siano o non responsabili della morte di due inermi pescatori su cui finora è buio fitto, e che comunque nel nostro ordinamento sarebbero punibili eventualmente per omicidio colposo ai sensi dell’articolo 47 codice penale   –  che, inguaiati da un insieme di follie politiche e di improvvisazioni pazzesche, specchio fedele della qualità della nostra dirigenza politica, sono tuttora in attesa di sapere quale sarà il loro destino.
Ebbene fu il presidente Napolitano che, per non venir meno alla parola data sul ritorno in India, sempre secondo notizie del tempo, chiese, o  impose,  che i due militari rientrassero in quel paese. È chiaro che questa iniziativa era diretta ad evitare una brutta figura internazionale. Solo che, trascurando il fatto che decisioni di questa natura dovrebbero  competere al governo e ai ministri interessati (quello della Giustizia, per l’appunto) , la decisione si presta a rilievi non banali. Di fatto, è stata attuata una forma del tutto anomala di estradizione passiva, per decisione del capo dello Stato. Ma l’articolo 26 Cost. dice che l’estradizione del cittadino può essere  consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Esiste una convenzione di tal natura tra Italia e India? Ancora:  In india c’è la pena di morte. E il codice di procedura penale – articolo 698 – dice che l’estradizione in uno Stato dove vige la pena di morte si può concedere solo se il “medesimo Stato dà assicurazioni, ritenute sufficienti, sia dall’autorità giudiziaria (italiana), sia dal Ministro di grazia e giustizia che tale pena non sarà inflitta”.
Di fatto, è stata attuata una forma di estradizione passiva “fai da te”,  in totale spregio di fondamentali garanzie che lo Stato dovrebbe assicurare ai propri cittadini, colpevoli o innocenti che siano.
Qualcuno dovrebbe forse chiedere scusa a questi marò, per questi due anni di detenzione domiciliare anticipata, che il nostro paese gli ha inflitto, laddove non riesce ad assegnare l’affidamento in prova neanche ai condannati definitivi.

L’autore è ex procuratore a Firenze e socio LeG

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