Mario Dogliani, professore di diritto costituzionale all’università di Torino, ha fatto parte della commissione dei 35 «saggi» che tra giugno e settembre scorso, mentre reggevano le larghe intese Letta-Berlusconi, ha ragionato su una vasta riforma costituzionale, poi uscita dall’orizzonte del possibile. Uno sforzo alla fine accademico, servito a passare in rassegna tutte le tesi in campo. «Ma una proposta sul bicameralismo come quella sentita da Renzi mai nessuno l’ha fatta», dice Dogliani.
Questo, professore, potrebbe non essere un problema. Nel merito la convince?
Il senato dei sindaci? L’espansione dei senatori di nomina presidenziale? Sono idee che giungono del tutto nuove e mi paiono sbagliate e irrealizzabili. Somiglia a un pasticcio. I sindaci non hanno funzioni legislative ma amministrative. È vero che sono eletti direttamente, ma per fare altro. Però prima di tutto mi paiono preoccupanti le motivazioni avanzate da Renzi.
Quali motivazioni?
La rinuncia all’elezione diretta in favore di un’elezione di secondo grado esce come Minerva dalla testa di Giove, e viene spiegata quasi esclusivamente con ragioni di risparmio economico. Questo senato costerebbe zero euro, dice Renzi. È una cosa avvilente. Come si fa a proporre che in cambio di trecento stipendi, che peraltro si potrebbero benissimo ridurre tutti, aboliamo una camera? È un modo di ragionare persino offensivo.
L’intenzione sarebbe quella di recuperare un po’ di consenso popolare all’istituzione.
Ma le regioni, in termini di produzione legislativa, e anche i sindaci, sono fortemente delegittimati, soprattutto dal punto di vista del personale politico. Ma poi, scusi, qui si aboliscono le province e l’elezione dei consigli provinciali, il senato non è più a elezione diretta, si abolisce il finanziamento pubblico dei partiti… tutto questo non va certo nel senso dell’incremento della democrazia.
Ma di un senato non eletto direttamente si era parlato anche nella commissione dei 35.
Con proposte diverse. E si può forse dire che la maggioranza di quella commissione era favorevole a una seconda camera che rappresentasse non genericamente i territori ma le Regioni sul modello del Bundesrat tedesco. Poi c’era chi proponeva che fossero i consiglieri ad eleggere all’esterno del consiglio i loro rappresentanti. E anche chi allargava il discorso ai rappresentanti degli enti locali, in una quota minore e in ragione della tradizione italiana dei comuni. Si parlava appunto di camera delle Regioni e delle autonomie. Mai del senato dei sindaci.
L’elezione indiretta è una delle caratteristiche della camera dei Lander tedesca.
Ma la Germania ha una storia diversa dalla nostra. Dal Reich bismarckiano ad oggi, tranne 12 anni sotto Hitler, è sempre stata uno stato federale. Ma ricordiamoci anche di quello che è successo in un altro stato federale, gli Stati uniti d’America. Lì il senato originariamente veniva eletto dalle assemblee rappresentative degli stati, quindi era eletto in secondo grado. Ma si dimostrò talmente una sentina di corruzione che decisero di passare all’elezione diretta.
Altre controindicazioni “nazionali”?
Ne vedo una fortissima, e cioè il rischio vista la situazione italiana che si crei uno scontro tra sindaci del nord e sindaci del sud. Si ha un bell’esaltare l’indipendenza degli amministratori dai partiti, ma per fortuna abbiamo ancora dei partiti nazionali in grado di assorbire queste tensioni. La rappresentanza moderna è una rappresentanza nazionale.
Qual è invece la sua proposta?
Io, come una minoranza all’interno della commissione, sono per mantenere l’elezione diretta. E per ridurre il numero dei senatori. Penso che il senato non deve essere una camera secondaria, ma una seconda camera. Cioè una camera alta alla quale affidare funzioni di controllo, ispettive, d’inchiesta. Deve avere legami con le autorità indipendenti e con la Corte dei conti. Deve arbitrare in sede politica i conflitti tra stato e regioni, che adesso intasano la Corte Costituzionale. Per me un senato del genere dovrebbe avere la cura della manutenzione dell’ordinamento. Delegificare è importante quanto e più di fare le leggi. Il senato potrebbe farsi carico dei testi unici, dei codici in cui accorpare la legislazione, tutte funzioni elevate che possono benissimo stare in una camera che non dà la fiducia al governo ma che ha di mira gli interessi di lungo periodo del paese. In cui non si deve combattere per la sopravvivenza politica, per strappare i voti.
La proposta di una seconda Camera alta sarebbe interessante se si uscisse con onestà intellettuale dall’equivoco populista di comporla mediante il voto popolare. Non si tratta di sovranità, ma di eticità e merito. Coloro che governano un popolo, ancora di più se si tratta di controllori, devono essere migliori del popolo. La democrazia deve diventare il governo dei migliori, altrimenti con la distribuzione uniforme della corruzione è destinata a perire, come muore secondo le leggi della termodinamica un universo isolato.
Io personalmente sono sempre più sfiduciata. Trovo davvero deprimente soffermarsi a pensare alle proposte di chi, al culmine della crisi economica e morale più devastante del dopoguerra, non aveva di meglio da fare che prestarsi al gioco di quanti hanno approfittato dello stallo politico derivante dal terremoto elettorare per assestare il colpo di grazia alla Repubblica parlamentare.
Sarebbe stata sufficiente una media dose di saggezza popolare per capire che l’unico suggerimento che i costituzionalisti avrebbero potuto dare in quel momento, era non l’affossamento ma il rispetto della Costituzione del 48 da parte di un Parlamento di nominati e del Presidente della Repubblica da essi eletto: Parlamento marchiatodalla diserzione elettorale di milioni di italiani e caratterizzato dalla scelta di un terzo dei votanti contrari alla casta.
Invece i “saggi” napolitaneschi hanno creato un utile diversivo e dopo aver fatto il danno, invece di chiedere scusa agli italiani, ogni tanto scrivono lettere allarmate sulla “degenerazione” del progetto di riforma costituzionale: ma che cosa credevate? Se apri una cassaforte con arsenio lupen, non puoi certo pretendere che lui si limiti ad aiutarti ad inventariare e lucidare i gioielli! Si sono prestati al gioco dei peggiori, mettendoci nei guai, e ora come tante cassandre ci annoiano pure con gli alti lai: è troppo tardi e comunque loro non sono più credibili.
La proposta del proff. Dogliani sulla revisione delle funzioni del senato mi sembra una delle poche cose intelligenti che ho letto in questi giorni. Ma immaginarsi se và in porto. alfredo
Queste considerazioni e questa proposta di Senato mi trovano pienamente d’accordo.
Personalmente sarei per il “monocameralismo secco” per le ovvie ragioni dei tempi decisionali, per riduzione conseguente del numero dei parlamentari e della riduzione delle spese con la liberazione di palazzi ed uffici e azzeramento servizi relativi, ecc. E per ridurre di un grosso anello, la catena del potere che schiaccia il cittadino.
Ma anche perchè una camera “fotocopia” è chiaramente inutile oltre che dispendiosa e la copertura territoriale è cmq garantita dai 630 deputati.
Mantenerla per assegnarle compiti diversi (delegificazione in primis) sarebbe cmq funzionale.
Resta discriminante la “qualità delle persone”, poichè fossero anche 3 le camere, con dentro persone del livello di razzi e scilipoti, cuffaro e cosentino, sarebbero disastri cmq!
Ad oggi, proprio per la qualità delle persone selezionate dai partiti, resto per il monocameralismo secco. Forse ridurre il numero migliora la qualità media.