DIFFICILE pensare che un politico accorto, abituato a vincere, usi le parole a casaccio. Che si spinga fino a dire, come Renzi dopo l’incontro con Berlusconi al Nazareno, che nel colloquio è emersa «profonda sintonia». Sintonia si ha quando il suono che emetti s’accorda perfettamente con un altro. Se poi è addirittura profonda, ogni incongruenza diventa schiuma delle cose. Schiuma la condanna giudiziaria del Cavaliere; schiuma l’imperio della legge.
Armonia regna. La Grande Trattativa può iniziare. Se fosse una fiaba, e non un pezzo emblematico di storia italiana, le incongruenze sarebbero normali: la montagna che scali è in realtà una pianura, i sassolini bianchi che raccogli nel bosco ti fanno dimenticare che la madre ti ha scacciato e gettato nella notte. Stoffa delle fiabe è anche il ripetersi del perturbante, che risbuca uguale a se stesso finché l’incanto si spezza.
Non così in politica, dove il perturbante stride: per alcuni insopportabile, per altri incomprensibile. Quando la politica prescinde così platealmente dalla giustizia, quest’ultima evapora. Negoziare non solo la legge elettorale ma anche la Costituzione con un pregiudicato è difficilmente giustificabile perché gli italiani si diranno: ma come, Berlusconi non era interdetto? incandidabile? Che ne è, della maestà della Legge?
La fiaba, dice Cristina Campo, è una professione di fede; è «incredulità nella onnipotenza del visibile». Non fidarti di quel che vedi, credi piuttosto nell’invisibile, nel sotterraneo. Non è successo nulla nei tribunali, Berlusconi s’è candidato alle europee e nessuno inarca il sopracciglio. Quel che hai visto al Nazareno, la favola lo rende possibile: la politica più che autonoma è sconnessa dalla giustizia, Berlusconi ha milioni di elettori e solo questo conta. Lui l’ha sempre preteso.
La sintonia affiorò subito, quando il manager entrò in politica col suo enorme conflitto di interessi e gli fu condonato. A più riprese fu poi protetto; in momenti critici Napolitano gli diede tempo per rialzarsi; ogni volta lo scettro gli fu restituito. Lo stesso accade oggi, sei mesi dopo la sentenza: il condannato s’accampa sugli schermi come cofondatore, addirittura, di nuove Costituzioni. «La pacificazione che non è riuscita a Letta è andata in porto con Renzi», si compiace Forza Italia.
La pacificazione copre punti cruciali, a cominciare dalla legge elettorale. Per Berlusconi l’Italia deve essere bipolare, perfino bipartitica: sempre ha detto che l’esecutivo non va imbrigliato. Solo di recente ha accettato, per convenienza, larghe intese. Renzi gli fa eco: l’accordo «garantisce la governabilità, il bipolarismo, ed elimina il ricatto dei partiti piccoli». La rappresentatività neanche è menzionata. Forza Italia recupererà Alfano, ma il Pd chi recupererà? Non solo: Berlusconi ha sempre voluto Camere di nominati, e con le liste boccate (sia pur piccole) i nominati torneranno. Forse Renzi ci ripenserà. Al momento, anch’egli sogna deputati controllabili. Ha tirato fuori il doppio turno: che evita gli inciuci, non i parlamenti blindati.
Una minoranza del Pd s’indigna («Mi sono vergognato », ha detto Fassina, e Cuperlo si è dimesso da Presidente). Ma anche qui regna l’infingimento fiabesco. Chi s’offende ha fatto le stesse cose, per vent’anni, senza vergogna in eccesso. Agì nell’identico modo Veltroni, quando nel gennaio 2008 proclamò a Orvieto che il Pd rompeva le alleanze e «correva da solo» contro Berlusconi. Meno di quattro mesi dopo il governo Prodi cadeva, Berlusconi saliva al trono. Né furono meno corrivi D’Alema, Violante, che ignorarono la legge sul conflitto d’interessi aprendo le porte al capo d’un impero
televisivo. Dicono alcuni che Renzi può patteggiare, essendo «nato-dopo» questa storia di compromessi. Ma i nati-dopo sono responsabili della Storia (compresa la non elezione di Prodi e Rodotà al Quirinale, compreso il tradimento dei 101) anche se personalmente incolpevoli. Da quando guida il Pd, l’incolpevole risponde del passato, e di un’autocritica storica che tarda a venire.
Sostiene Renzi che tutto è diverso, oggi: la sintonia è semplice accordo, obbligato e «fatto alla luce del sole». La consolazione è magra. Berlusconi esce dalla notte ed entra nel giorno, con lui si rifanno leggi elettorali e anche costituzioni. Smetterà d’essere considerato un pregiudicato e dunque infido. Già ha smesso: è il senso simbolico-fatato della Grande Trattativa.
Conta a questo punto sapere l’oggetto del patto. Per alcuni è la salvezza del boss dai giudici, vil razza dannata. Più nel profondo, è la consacrazione di nuovi padri costituenti. Tra loro ha da esserci chi, anche se condannato, s’ostina a definire desueta la Costituzione del ’48. L’ha ribadito l’11 gennaio: «Abbiamo fiducia, con una legge elettorale che dia il premio di governabilità del 15%, di arrivare da soli ad avere la maggioranza in Parlamento, per poter fare quello di cui l’Italia ha bisogno dal 1948 a oggi». Il ’48, in altre parole, fu un inizio nefasto. Non si sa se la sintonia profonda copra anche questo. Renzi parla solo di Senato e regioni, ma quel che succederà dopo non è chiaro.
Chiaro è però l’approdo: l’Italia deve essere bipolare, bipartitica, e i governi non destabilizzabili da coalizioni insidiose. Un’ambizione legittima, se l’Italia politica fosse davvero divisa in due. Ma è divisa in tre: la crisi ha partorito Grillo. Semplificare quel che è complesso è la molla di Berlusconi, di Renzi, di Letta, anche del Colle. Il fine è un comando oligarchico, non prigioniero delle troppo frammentate volontà cittadine. La soglia elettorale dell’8 per cento per i partiti solitari è una mannaia. Grillo non temerà concorrenti.
Nel suo ultimo libro, Luciano Gallino dà un nome alla nuova Costituzione cui tanti tendono: la chiama costituzione di Davos. Il termine lo coniò in una riunione a Davos Renato Ruggiero, ex direttore dell’Organizzazione mondiale per il commercio: «Noi non stiamo più scrivendo le regole dell’interazione tra economie nazionali separate. Noi stiamo scrivendo la costituzione di una singola economia globale». Un obiettivo non riprovevole in sé (anche Kant l’immaginò), se lo scopo non fosse quello di «proteggere un’unica categoria di cittadini, l’investitore societario globale. Gli interessi di altre parti in causa — lavoratori, comunità, società civile e altri i cui diritti duramente conquistati vennero finalmente istituzionalizzati nelle società democratiche — sono stati esclusi» (Gallino, Il colpo di Stato di banche e governi, Einaudi 2013).
Non stupisce che 5 Stelle (o altri movimenti alternativi) disturbino i semplificatori. Sia pure caoticamente, la società civile — quella vera — s’interessa alla politica perché vede minacciati non interessi di parte ma il pubblico bene, come definito da Machiavelli: proprio il bene ignorato dalla costituzione di Davos.
Non stupisce nemmeno che nelle mappe raffiguranti l’odierno Parlamento, lo spicchio di 5 Stelle perda spesso il nome: è occupato da «Altri». Era così nelle mappe del decimo secolo. Dove cominciavano terre sconosciute, specie asiatiche, si scriveva: Hic abundant leones, qui abbondano i leoni. Questo forse intendeva il capo dello Stato, dopo le amministrative del ‘12, quando di Grillo disse: «Non vedo boom».
I leoni sono ora in Parlamento, e ci torneranno. Possono dire qualcosa, difendere la Costituzione del ’48, la legalità. È grave che non agiscano, lasciando che la Sintonia sia ancor più vasta. Il loro sbigottimento di fronte all’incontro che ha rilegittimato un politico condannato lo si può capire. È vero, «l’Italia è in preda alle allucinazioni e ai déjà-vu». Ma lo stato di stupore non è sufficiente. Alla lunga paralizza. La Grande Trattativa non è scongiurata: davanti a tanti volti trasecolati, può proseguire nei più imprevedibili dei modi.
Grazie come sempre, Barbara Spinelli. La “sintonia” per quella gente significa losco patto, complotto. C’e’ sempre modo di intendersi tra chi preferisce il Buio alla Luce. E allora ecco che tornano. Tornano sempre alla ribalta i soliti bui protagonisti della triste storia italiana, con il cappotto o la giacca sempre uguali, il pelo pure. Le occhiate affilate come stiletti. Il labbro teso a nascondere un ghigno. Si tengono a debita distanza. Pare a volte che siano stati sconfitti da chissa’ chi. Ma tornano nei momenti che contano, per cresimare i nuovi picciotti, per portare loro il viatico della Grande Famiglia, segnare con il sacro olio la loro giovane fronte madida dopo il compimento di losche e perigliose azioni, segretamente comandate dal Buio. Il cipiglio da astuto ragazzino democristiano di Renzi, ebbro della vittoriosa missione compiuta baciando il pregiudicato Berlusconi Silvio, e’ ora rinvigorito dal Si’ prudentissimo e pelosissimo di D’Alema Massimo, dal cenno di capo del pacioso Veltroni Walter, dai balbettii diffusi di una pletora di cadreghisti che vuole ancora esserci, ad ogni costo. Guai a non stare al gioco. Se fosse ancora vivo, potrebbe darsi che per una simile occasione, per celebrare questo matrimonio contro natura tra un ormai inesistente Sinistra e il Mercante di Arcore, si sarebbe scomodato pure Andreotti Giulio, ma anche Fanfani Amintore, anche Cossiga Francesco, anche… E’ consequenziale che la Mafia sia. Questa e’ la “Sintonia”. Codesto e’ il campo di un’ipotetica battaglia. Nessuno stupore.
Acutissima, come al solito, l’ analisi della Spinelli che ci ricorda il pensiero di Luciano Gallino sulla modificazione genetica dei cittadini/elettori – ora considerati investitori societari globali – cui si rivolge il potere delle moderne oligarchie. Potremmo dire, allora, che Renzi e Berlusconi – al di là dei discutibili aspetti…etici di questo loro ‘ storico ‘ incontro nella sede del Pd – si sono regolati in fondo come due manager, due amministratori delegati di due società concorrenti. Concorrenti perché producono e vendono lo stesso prodotto, la ‘ Costituzione di Davos ‘, appunto, scritta per proteggere ‘ un’ unica categoria di cittadini, l’ investitore societario globale ‘ e dalla quale sono inesorabilmente esclusi ‘ gli interessi di altre parti in causa : lavoratori, comunità, società civile e altri i cui diritti duramente conquistati vennero finalmente istituzionalizzati nelle società democratiche ‘. Le parti in causa – lo rilevo con grande amarezza – che dovrebbero stare particolarmente a cuore della sinistra e che, invece, contano solo come clienti/elettori. Logica di mercato e demagogia populista che ha fatto dire per anni, a Berlusconi, che erano i voti di tot milioni di cittadini a legittimarne l’ azione politica, a prescindere dai contenuti, dai programmi, dalla democrazia interna al proprio partito, dal respiro etico e culturale delle scelte che si andavano operando. Tormentone che stiamo, oggi, ascoltando di nuovo nelle dichiarazione di Renzi e del suo staff. Senza significative differenze. In nome di quell’ efficientismo di tipo aziendalista che fa a pugni con i tempi e con la complessita della democrazia.
Giovanni De Stefanis
Questa profonda sintonia è forse, assieme alla difesa della Cancellieri, uno dei più grandi scandali della politica italiana di questi decenni. Berlusconi, che molti si affannano a chiamare pregiudicato, in realtà NON è un pregiudicato: è UN CONDANNATO a 4 anni di galera in via definitiva. Il fatto che sia a piede libero è già una gravissima lesione alla legalità. Il fatto che Renzi lo abbia invitato alla sede nazionale del PD e che dichiari che c’è con lui una profonda sintonia, significa solo che per Renzi la legalità è un optional che deve essere usata solo per come e quanto piace a lui e ai suoi interessi. Per questo io mi sono sentito offeso nella mia dignità di persona seria, e non ritengo giusto e opportuno rimanere in un partito nel quale la legalità non sia rispettata al di sopra di ogni altra considerazione. Per questo ho restituito la tessera.