Doppia ricetta soft e radicale per convincere il nuovo leader

09 Dic 2013

Il nuovo segretario non avrà tempo di festeggiare. Lo aspettano con urgenza al tavolo di Palazzo Chigi per decidere quanto deve e può durare questo governo e, nel caso, di che cosa si deve occupare nei prossimi mesi. Se solo di legge elettorale o anche di molto altro, a cominciare dalle riforme istituzionali.

renziDal governo filtrano ipotesi di riforme su taglio ai parlamentari, fine del bicameralismo e sistema di voto. “Pronti a rispondere sui suoi temi”.
Il nuovo segretario non avrà tempo di festeggiare. Lo aspettano con urgenza al tavolo di Palazzo Chigi per decidere quanto deve e può durare questo governo e, nel caso, di che cosa si deve occupare nei prossimi mesi. Se solo di legge elettorale o anche di molto altro, a cominciare dalle riforme istituzionali. Da oggi cambiano i temi, i tempi e i toni. Roba che le primarie sembreranno in poche ore lontane e quasi un gioco da ragazzi. “Ho pronte nel cassetto una serie di proposte sulle riforme istituzionali che non ho ancora tirato fuori visto che mi sembra corretto aspettare l’elezione del nuovo segretario politico del principale partito di questa maggioranza”, ha ripetuto in queste ore di vigilia il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello (Ncd). Da stamani il percorso è obbligato per tutti, partiti della maggiornaza e ministri, ma anche il Parlamento nella sua interezza visto che le riforme potrebbero anche essere di natura costituzionale e – questo è certo – dovranno essere affrontate con il vecchio sistema (doppia lettura con tre mesi di attesa tra una camera e l’altra) visto che la commissione costituente con poteri speciali è stata seppellita dalla Consulta e dall’uscita di Forza Italia dal governo. Anche i tempi sono obbligatori: mercoledi il premier Letta andrà a chiedere nuovamente la fiducia (la quinta dal 27 aprile) con numeri e compagni di strada diversi dopo l’addio di Forza Italia; tra fine e inizio anno nuovo la Corte Costituzionale spiegherà come va applicata la sentenza di mercoledi scorso che ha cassato il Porcellum sgomberando il campo da interpretazioni fantasiose e sfaciste, coem quella di Grillo che vorrebbe non fare più entrare a Montecitorio i 148 deputati eletti con il premio di maggioranza e che devono ancora essere convalidati. Per quella data è tassativo che esecutivo e Parlamento non solo sappiano già cosa devono fare ma anche come. In caso contrario a rischio ci sarebbe non solo la legislatura ma la continuità stessa dello Stato. Decisamente più grave. Gli uffici dei ministri Quagliariello e Franceschini hanno preparato i dossier caldi, quelli più urgenti. Che devono rispondere alle parole chiave monocameralismo, riduzione dei parlamentari, nuova legge elettorale (anche se su questo punto Renzi ha avvisato il governo di fare un passo di lato perchè “è faccenda di cui si deve occupare il Parlamento”). Sistema di voto che deve essere sottratto alla pastoia proporzionale a cui l’ha consegnato la Consulta e dove tutto sommato a molti (partiti più piccoli e meno forti sul territorio) non dispiacerebbe che rimanesse. Sull’abolizione del Senato il governo si presenta al nuovo segretario del PD con una “doppia opzione, una più hard e una più soft” perchè non si pensi che “ci facciamo schiacciare nell’angolo delle sue radicalità”. Il sindaco di Firenze infatti vorrebbe abolire di netto la camera alta riducendola nei fatti solo a una camera delle Autonomie che non deve esprimere la fiducia e con rappresentanti a livello regionale. Una posizione radicale che nei fatti impone a questo Senato di “suicidarsi”. Legittimo chiedersi se abbia voglia di farlo. Saggio allora prevedere, come ha fatto Palazzo Chigi, una mediazione, “un’ipotesi più soft” che prevede “un’assemblea elettiva di 200 senatori integrati da una quota di consiglieri regionali”. Ipotesi questa decisamente più digeribile dall’attuale Parlamento. Il taglio dei parlamentari dovrebbe essere più semplice anche se, nell’ipotesi renziana che cassa del tutto i senatori, i deputati resterebbero 630 (diventerebbero 480 nella versione soft). Sulla legge elettorale il premier Letta, sulla scorta anche delle parole del presidente Napolitano, si è già espresso: impossibile tornare a prima del referendum del 1993 che decise il passaggio al sistema maggioritario e al bipolarismo. Paletti che delimitano con precisione il campo di azione. Su cui Renzi si è espresso in modo chiaroma non dettagliato. “Voglio un sistema di voto per cui la sera sappiamo chi ha vinto così che chi ha vinto governa” è stato il refrain di questi mesi. Sul modello “sindaco d’Italia” riveduto e corretto su scala nazionale, ha aperto anche il segretario di Ncd Angelino Alfano. Perchè palazzo Chigi avrebbe pronta una soluzione che potrebbe mettere d’accordo un pò tutti: un doppio turno temperato, con microliste di 2-3 candidati per ogni collegio (facendo così salvo l’obbligo dell’alternanza di genere) e un ballottaggio per distribuire alla coalizione vincente un premio di maggioranza. Da oggi in poi questa è l’agenda. Oltre a lavoro, Europa, immigrazione.

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