Il Cavaliere e il caso Cancellieri. Come il privato diventa pubblico

07 Nov 2013

Chissà perché Berlusconi ci tiene tanto a conservare il suo seggio rosso di Palazzo Madama. Chi ha avuto la ventura di vederlo in quell’aula, seduto al banco del governo, conserva il ricordo della sua noia infinita.

cancellieriChissà perché Berlusconi ci tiene tanto a conservare il suo seggio rosso di Palazzo Madama. Chi ha avuto la ventura di vederlo in quell’aula, seduto al banco del governo, conserva il ricordo della sua noia infinita. Sembrava capitato là dentro per caso, la diligenza non era il suo forte e le poche volte che era presente fingeva talvolta un’attenzione spasmodica, ma si distraeva volentieri, guardava le tribune, il soffitto ottocentesco con i fregi pompeiani, le decorazioni neoclassiche, le quattro figure agli angoli, il diritto, la fortezza, la concordia e, ahimè, la giustizia. Un incubo, un’ossessione, una persecuzione dei pittori comunisti d’epoca. Dava l’impressione, nel palazzo del Senato, di uno che ha ben altro da pensare e da fare fuori, dove corre la vita, costretto a sorbire, invece, le inutili chiacchiere della democrazia.
E allora, vista la disaffezione manifesta in questi vent’anni per il palazzo dove abitò anche il Caravaggio, come si spiega l’attaccamento suo e dei suoi falchi al laticlavio, con il solito ricatto agli alleati del Pd, se non votate per lui cade il governo? Soltanto perché perdere il diritto di indossare la simbolica tunica ornata da una striscia di porpora degli antichi romani è una inaccettabile caduta di prestigio?
Come si può solo pensare che un condannato a quattro anni per frode fiscale con una sentenza definitiva rimanga inchiodato al seggio di Palazzo Madama? Il mondo ride. La giunta per il regolamento ha deciso che il voto in assemblea per la decadenza di B. sia palese e si grida allo scandalo perché non si è sottoposto alla Consulta il problema dell’interpretazione, ineccepibile, della legge Severino. Il rispetto delle regole, per coloro che approvarono senza batter ciglio le leggi ad personam e dissero sì, Ruby è proprio la nipote di Mubarak, dev’essere innato.
È un gran garbuglio giudiziario quel che pesa sul capo del leader di Forza Italia-Pdl, indipendentemente dalla decisione del Senato il prossimo 27 novembre. La Corte d’appello di Milano ha fissato in due anni il periodo d’interdizione dai pubblici uffici. Finora non si ha notizia di un appello in Cassazione, rischioso perché la Suprema Corte potrebbe anche giudicarlo inammissibile. Sembra che azzeccagarbugliando si punti piuttosto sulla Corte di Strasburgo o su qualche carta segreta dell’ultima ora.
Il Tribunale di sorveglianza di Milano, nel frattempo, deve valutare quale sarà la sorte del pregiudicato. Agli arresti domiciliari o ai servizi sociali? ( È qui che potrebbe saltar fuori il genio italico dell’eterna compromissione, condivisa, naturalmente. Perché non affidare Berlusconi ai questori del Senato con il compito di rieducarlo alla politica della democrazia, al rispetto della Costituzione?).
L’Italia è il paese dei casi amati dalla sociologia. Ce n’è uno al giorno. Nascono, scadono, non se ne sa più nulla. Com’è finita, per esempio, la vicenda di Alma Shalabayeva e della sua bambina sequestrate e condotte come in un giallo di terz’ordine su un aereo privato in Kazakistan? Il ministro degli Interni non sapeva nulla, tutto colpa dell’amministrazione? Come ha fatto e come fa Alfano, perdonato per non far cadere il governo delle larghe intese, a coprire quel delicatissimo incarico?
Il caso, poi, del ministro Cancellieri, risolto anch’esso, più o meno, in nome della tenuta del governo. Non sarà Grillo a far cadere il castello di carta.
Nella disavventura del ministro della Giustizia, amica della non specchiata famiglia Ligresti, colpisce la mescolanza tra pubblico e privato. Il figlio, che ha lavorato come manager nell’azienda ligrestiana, ha fatto le pulci ai conti di casa e deve aver spezzato un’antica consuetudine. Non è da Guardasigilli quella telefonata fatta a Gabriella, detta Lella, la compagna di Salvatore, il gran capo: “Senti, non è giusto, non è giusto (…) Guarda, qualunque cosa io possa fare conta su di me (…) qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti, guarda, non è giusto, non è giusto”. Il Guardasigilli sembra voler ricomporre una rottura, risolvere un suo problema. Lo fa capire la signora Lella il giorno dopo parlando con la figlia, alla quale riferisce della telefonata ricevuta: “Ma non ti vergogni — le ho detto — a farti vedere adesso? Ma tu sei lì perché ti ci ha messo questa persona…”. Chi è l’uomo in nero? Chissà.
Sono sufficienti quelle parole, di cui Annamaria Cancellieri si è detta rammaricata, per far capire come il vero problema in Italia sia quello della classe dirigente; il suo senso dello Stato; la sua cultura; i criteri di selezione. Affiorano di continuo gli antichi mali nostrani, dal rifiuto dell’etica al trasformismo ai corposi interessi del potere usato non come strumento del fare, ma come fine. In questo caso e in altri non sono stati commessi reati, ma sembra che ci si sia dimenticati dell’opportunità dell’agire e non si dia alcuna importanza al decoro e alla dignità politica e personale. «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore», recita l’articolo 54 della nostra maltrattata Costituzione.

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