No, questi non sono solo fantasmi. Il loro tempo è tutto al presente

22 Ott 2013

Nel suo nuovo libro “La stanza dei fantasmi” (Garzanti), Corrado Stajano racconta il Novecento. Un secolo lunghissimo, con troppe guerre, troppe violenze, troppe crudeltà, persecuzioni, liberazioni e rotture e svolte. In cui c’è la storia della sua famiglia e quella del mondo che la circonda. Eventi e personaggi veri; un libro come questo dimostra quanto avesse ragione Mark Twain dicendo che la verità è più fantastica della finzione.

Corrado StajanoNo, non sono fantasmi quelli che popolano questo libro subito indimenticabile di Corrado Stajano, anzi che vivono in esso. I fantasmi non vivono, sono morti, e questo è invece un libro assolutamente di vivi. Mi fa venire in mente un pomeriggio di molti anni fa a casa di Biagio Marin, a Grado; ero andato a trovarlo con Alberto Cavallari, da pochissimo non più direttore del «Corriere», e, guardando fotografie di comuni amici, alcuni dei quali caduti nella Resistenza o comunque passati a miglior vita, Alberto, in uno dei suoi momenti di umor nero, disse: «Siamo tutti morti», al che Marin gli replicò, con tranquilla e irrefutabile autorevolezza: «No, siamo tutti vivi». Anche Corrado Stajano, del resto, dice che quei fantasmi «possono diventare entità di carne, ossa, sangue, fonti battesimali di un tempo perduto e ritrovato».
Sì, carne ossa e sangue. La carne, la vita è peritura, esposta ad attacchi di ogni genere — alla fame, alla malattia, all’oppressione, alla violenza, alla disperazione, alla tortura, alla morte — come racconta, con straordinaria e pacata forza epica, questo libro che rievoca guerre mondiali, memorie famigliari, resistenze, abominevoli persecuzioni e feroci e ingiuste vendette, miserie, ingiustizie, disincanti, umiliati e offesi su cui la vita, la storia e la politica sono passate come un rullo compressore, terroristi che sono pure vittime ma restano assassini. E, contrariamente a ciò che dice l’autore, non è un tempo perduto e ritrovato, quello che fluisce nel libro. Nessuna madelein e proustiana, bensì il senso forte, malinconico, sanguigno e amaro della vita, degli affetti, dei buoni combattimenti mai combattuti invano, del presente di tutto ciò che ha valore. In questo libro tutto è presente, stagliato sullo sfondo dell’eterno. Come vuole Leopardi, citato da Stajano, l’oggetto delle «ricordanze» è «determinato»; forte, incisivo e, solo per ciò, pervaso di autentico sentimento.
In questo libro Corrado Stajano rivela la natura del vero scrittore che fonde il valore, il sentimento, l’ideale con la concreta, tangibile, fisica realtà delle cose; che sa narrare la propria vita attraverso gli altri e soprattutto intessendola nella storia grande e oggettiva del mondo. È questo che fa un vero romanzo; un secolo diventa l’esistenza di un uomo e viceversa. Vi sono scene memorabili, di emozioni e di orrori; esecuzioni, umiliazioni collettive, fiori di generosità, gesti di inconsapevole eroismo. Piccola storia individuale, epica e trepida storia di famiglia, grande terribile e orrenda storia del mondo che non rinuncia a cercare di essere storia della salvezza. Precisione del cronista e pietas del narratore, giudizio severo e insieme comprensione del «mondo stravolto da una catastrofe». Eventi e personaggi veri; un libro come questo dimostra quanto avesse ragione Mark Twain dicendo che la verità è più fantastica della finzione.

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