La bozza licenziata dai saggi sulle riforme istituzionali suscita le preoccupazioni del giurista Gianni Ferrara e di Valerio Onida, che pure siede nel comitato guidato dal ministro Quagliariello.
Intervistati entrambi da Left, il settimanale distribuito il sabato con l’Unità, si soffermano soprattutto sulla forma di governo di cui i saggi hanno discusso.
Gianni Ferrara, nell’articolo titolato “Poteri abnormi al premier“, spiega che “Sembra che sia recessiva la sciagurata opzione per il semipresidenzialismo, ma non è detto che la soluzione prevalente riguardante il «governo parlamentare del primo ministro» possa soddisfare, perché si vuole configurare il premier in modo da realizzare il massimo della personalizzazione del potere. Si vuole infatti costituzionalizzare l’indicazione del candidato premier nelle liste per le elezioni della Camera dei deputati”.
“Rischiamo il leaderismo” dice Onida a Sofia Basso di Left. “Sì, il problema è la forma di governo. La relazione dà atto che ci sono diverse posizioni e ne elenca tre: semipresidenzialismo, sistema parlamentare “razionalizzato”, che ritengo la forma migliore, e governo “del primo ministro”, che si discosta dal secondo perché enfatizza la legittimazione individuale del premier. Una posizione che non ho condiviso, anche se è molto più morbida del semipresidenzialismo: non c’è l’elezione diretta vera e propria, però c’è in forma surrettizia, con la designazione del candidato premier e la regola che questi sia il leader della coalizione vincente”.
Reazioni a dir poco surreali.
Si stigmatizza il rischio autoritario del semipres, quando è invece dai sistemi parlamentari pervasi da partiti privi di maggioranza assoluta che la dittatura ha avuto storicamente gioco più facile.
Non è chi vuole il presidenzialismo che favorisce il populismo, bensì chi desidera mantenere la forma parlamentare.
Al punto in cui è giunta l’Italia, non si può rimanere chiusi dietro la propria ideologia, occorre (una volta tanto) far prevalere la ragione.
Non saprei dire, io diffido per principio dei “saggi”, chiunque essi siano.
Poi mi domando chi è che li ha nominati e ha dato loro l’incarico di studiare una “riforma della costituzione”. Io no, tanto per dire; e nemmeno conosco altre persone che possano averlo fatto.
Quindi il documento di quei cosiddetti saggi vale tanto quanto quel documento che ho stilato insieme a quattro amici l’altra sera al bar, tra una partita di briscola in cinque e una bottiglia di prosecco.
Pensate che non si parlava di premi di maggioranza né di premierato o semipremierato che non sappiamo nemmeno cosa sia; c’è stato solo uno che si è messo a parlare in inglese e ha detto una roba che suonava come: “Uàn mèn uàn vòt” Non è che io mastichi l’inglese, ma mi sembrava ragionevole e nemmeno tanto astruso.