Maurizio Landini in marcia con Stefano Rodotà verso un nuovo soggetto: “Se serve, occupiamo le fabbriche”

09 Set 2013

Maurizio Landini non li chiama gesti estremi, perché sa che l’espressione potrebbe dar adito a un mare di polemiche. Ma ci tiene a far capire che la crisi morde e qui bisogna far sul serio. Occupare le fabbriche, dunque, è un’idea da prendere in considerazione.

“Non siamo più disponibili a firmare accordi che chiudano le fabbriche. Metteremo in campo gesti di difesa totale delle fabbriche e dei posti di lavoro. Se necessario, anche con l’occupazione delle fabbriche”.

Maurizio Landini non li chiama gesti estremi, perché sa che l’espressione potrebbe dar adito a un mare di polemiche. Ma ci tiene a far capire che la crisi morde e qui bisogna far sul serio. Occupare le fabbriche, dunque, è un’idea da prendere in considerazione. L’affollata assemblea al Centro Congresso Frentani, convocata dal segretario Fiom insieme a Stefano Rodotà, si carica e applaude. Forse ripensa all’occupazione e autogestione delle fabbriche in Argentina nei primi anni duemila. Oppure al ‘biennio rosso’, proprio qui in Italia, dopo la prima guerra mondiale, quando occupare fabbriche e terre era pratica comune di lotta, armi in pugno, all’occorrenza. Ora non è questione di armi: no violenza, sa va sans dire, ci mancherebbe. Anzi l’assemblea si scioglie con l’impegno a preparare la manifestazione del 12 ottobre a Roma anche contro la guerra in Siria, se sarà il caso. Ma, bastonato dalla frustrazione di non sentirsi rappresentato, deluso dai grillini o dagli altri partiti del centrosinistra, tutto questo mondo – un po’ di sinistra, un po’ noglobal post-Genova 2001, un po’ anti-berlusconiano, tanto Fiom e operaista, un po’ intellettuale – ora si rimette in marcia per “preparare il terreno ad un soggetto politico: perché la domanda c’è, le modalità le vedremo man mano”, ci spiega Rodotà.

Platea stracolma, al Frentani aprono la galleria e poi ancora un’altra sala. Roba da eventi speciali per questo centro congressi abituato ai ‘comitati politici nazionali’ (proprio così) di Rifondazione, frequentati dai soli diretti interessati. Tutto ruota intorno al documento ‘La via maestra’, cioè la Costituzione, firmato oltre che da Landini e Rodotà, da don Luigi Ciotti di Libera e dai costituzionalisti Gustavo Zagrebelsky e Lorenza Carlassarre, lei che già a luglio si è dimessa polemicamente dal comitato dei saggi scelti dal governo per studiare le modifiche alla Costituzione. E’ la stessa rete che il 2 giugno ha manifestato a Bologna in difesa della Costituzione, “perché – ci spiega Rodotà criticando il governo – derogare all’articolo 138, anche solo per una volta, vuol dire sospendere la Carta e questo è tipico solo di certi regimi…”. Da giugno la rete si è allargata e ora si punta alla manifestazione di ottobre. Chi ci sta? Al Frentani girano volti noti del movimento anti-G8 di Genova 2001, da Vittorio Agnoletto a Luca Casarini, che ora si occupa di ‘co-working’ a Palermo, “nuova frontiera di rivendicazione dei diritti”, ci dice. Si affacciano Nichi Vendola e dirigenti di Sel, del Pd ci sono solo Vincenzo Vita con Art.21 e Corradino Mineo (“Sono solo eletto, non sono iscritto…”, si difende quest’ultimo), ci sono Antonio Ingroia e Paolo Ferrero, per stare ai politici. Ma c’è tanta altra gente: attivisti della rete referendaria per l’acqua pubblica, gente normale attratta da Rodotà, fans di Landini, gente che semplicemente cerca una speranza di voto o di militanza a sinistra, decisa però a muoversi per piccoli passi per non ripetere gli errori del passato. Sono tanti e pesano.

Ora: il problema più complicato da risolvere ce lo spiega Rodotà: “Non vogliamo ripetere gli errori di esperienze negative come la Sinistra Arcobaleno o Rivoluzione Civile”. Lo dice chiaro e tondo Rodotà: i rispettivi leader sono avvisati. “Servire su un piatto la struttura organizzativa sarebbe letale, intempestivo e autoreferenziale – continua – ora si tratta di creare una massa critica: questa non è un’operazione di minoranza e non è la zattera che offre rifugio ai fuoriusciti da altri movimenti o partiti. Va costruita una democrazia davvero partecipata: la democrazia non è solo Facebook”. Landini la chiama “operazione culturale, non politica”. E con chi insiste su eventuali sbocchi elettorali, sottolinea: “Vanno ricostruiti i canali della partecipazione perché, se da 20 anni abbiamo Berlusconi, non è colpa sua, ma degli altri. Però la soluzione non sta nella creazione dell’ennesimo partito: noi non vogliamo ricreare la sinistra e noi non siamo contro qualcuno. Piuttosto vogliamo essere uno strumento di pressione sui partiti. Chi vuole può agire con noi, ma questo è il momento della responsabilità, non dell’appartenenza”.

Insomma, nulla è escluso in partenza, ma intanto si parte. “Non ipotechiamo ora le modalità, siamo qui perché girare la testa dall’altra parte logora la politica…”, afferma Rodotà. Si vedrà man mano. Primo test: il successo della manifestazione del 12 ottobre. Da qui alla mobilitazione, iniziative nelle città: veicolare pensieri critici e idee anche forti, come può essere quella di Landini sulle fabbriche, per dire. “Non è più tempo per parole inzuccherate”, urla dal palco Paolo Flores D’Arcais. Ma l’applauso più grosso se lo conquista quando cita Matteo Renzi, perché al Frentani – manco a dirlo – la maggioranza non si sente rappresentata nemmeno dal sindaco di Firenze: “La più grande vittoria del Thatcherismo in Inghilterra è stato Blair, sarà così in Italia se vince Renzi”. Delicata la Carlassare, che tra gli applausi spiega bene il senso della giornata: “La Costituzione dice che le pubbliche funzioni dovrebbero essere esercitate con disciplina e onore. Oggi siamo tutti disonorati, dobbiamo alzare la testa. Il potere non vuole limiti e regole ma noi dobbiamo farglieli rispettare. E’ molto più comodo guidare un gregge ignorante. Invece bisogna animare le coscienze e non sostenere piccole ambizioni: qui non c’è gente che nutra ambizioni”.

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