“Le mie parole da via D’Amelio” ventun anni dopo

22 Lug 2013

Avevo ventun anni, quella domenica di ventun anni fa. Ero un giovane ignorante e immaturo, ma ricordo ancora perfettamente che quella domenica, appena 57 giorni dopo l’altrettanto disumana strage di Capaci, avvertii una paura mai provata prima. Lo Stato sembrava in ginocchio, di fronte alla violenza della criminalità organizzata. E sembrava che tutto potesse definitivamente “saltare”, da un momento all’altro. Leggi anche Rossella Guadagnini su Micromega.

Avevo ventun anni, quella domenica di ventun anni fa.
Ero un giovane ignorante e immaturo, ma ricordo ancora perfettamente che quella domenica, appena 57 giorni dopo l’altrettanto disumana strage di Capaci, avvertii una paura mai provata prima.
Lo Stato sembrava in ginocchio, di fronte alla violenza della criminalità organizzata. E sembrava che tutto potesse definitivamente “saltare”, da un momento all’altro.
Non sono in grado di descrivere quello che hanno rappresentato per me Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; posso solo dire che i principi che hanno guidato le loro vite, sono gli unici riferimenti  verso i quali io abbia provato, fin da allora, un sentimento di vera e profonda appartenenza.
Oggi, ventun anni dopo, sono qui in Via D’Amelio, finalmente.
E queste sono le parole che fotografano le mie  emozioni, messe insieme di getto, a caldo, appena conclusa questa importante esperienza personale e civile.
PALERMO  non l’avevo mai visitata prima. Mi ha catturato il cuore.
Città di contrasti fortissimi, nobile e miserrima, elegante e triviale, ricca di storia cristiana, araba, bizantina, normanna, in ogni vicolo, in ogni piazza.
Una bellezza da restare senza fiato. Una bellezza quasi completamente abbandonata a se stessa.
LA KALSA  l’antico quartiere di Palermo dove i due giudici hanno passato la loro infanzia. Vicoli lastricati di pietre, panni stesi ad asciugare ai balconi, qualche bottega e tanti bambini a correre per strada. Camminando lentamente fra piazza Magione e Via Vetriera, ho immaginato Paolo e Giovanni da piccoli, mentre giocavano felici e spensierati.
ASSENZA: ho avvertito, con dispiacere una partecipazione della città piuttosto tiepida.
Talvolta ho percepito questo atteggiamento, soprattutto nei ragazzi più giovani, principalmente come volontà di guardare avanti; per altri –purtroppo- come se questi fatti, così tragici e “ingombranti”, volessero essere rimossi per l’imbarazzo o addirittura il fastidio che ancora procurano.
CARO PAOLO  il video, diretto da Donata Gallo, e proiettato in anteprima giovedì 18, è basato sulla lettera che il giudice Roberto Scarpinato ha letto dal palco di Via D’Amelio lo scorso anno.
Toni Servillo, Don Ciotti, Benedetta Tobagi e molti altri leggono e interpretano le bellissime parole dedicate a Paolo dal collega e amico.
Un vero e proprio testamento spirituale dall’elevatissima portata civile, e un netto j’accuse verso i “sepolcri imbiancati” della politica.
MULINI A VENTO  una canzone, non molto conosciuta, di Carmen Consoli, da lei dedicata alla memoria di Falcone e Borsellino.
L’ho avuta spesso in testa, in questi giorni. Esprime la fatica e la solitudine di chi non si arrende di fronte alle prove più difficili, ma anche la consapevolezza che ogni sforzo possa ridursi nient’altro che a pioggia sul bagnato, o a una lotta contro i mulini a vento.
Nel verso iniziale, “Perdonami per questa voce, disfatta dal fumo e dalla fatica e per questa attitudine decadente” rivedo l’espressione di Paolo in una delle sue ultime apparizioni, pochi giorni prima di morire, durante la famosa intervista di Lamberto Sposini.
MAMMA  è stato uno dei primi pensieri, appena arrivato in via d’Amelio. Quella domenica, Borsellino era lì per accompagnare sua madre ad un controllo medico. Non si può immaginare il dolore che è stata costretta a sopportare questa donna, che ha visto il figlio letteralmente fatto a pezzi, davanti a casa.
L’ALBERO DI VIA D’AMELIO  piantato proprio di fronte all’ingresso del palazzo, ha attaccati un po’ ovunque (come sull’altro albero, quello di Falcone, in via Notarbartolo) una marea di bigliettini colorati, disegni, dediche di tanti ragazzi delle scuole e di cittadini qualunque.
Lo guardo e penso che un albero è sempre un bel simbolo, di linfa vitale che non smette di riprodursi, di attaccamento ben saldo alla terra e allo stesso tempo di crescita verso l’alto.
ORE 16.58  all’ora esatta dell’esplosione, un minuto di silenzio, solenne, sentito, intenso. Rotto, alla fine, da un “GIUSTIZIA, GIUSTIZIA, GIUSTIZIA” urlato con forza da Salvatore, molto provato fisicamente ma sempre mosso da grandissima determinazione.
Con lui, sotto al palco, si sono sollevate in alto tante braccia, tante mani che stringevano altrettanti quaderni rossi, a simboleggiare l’agenda di Paolo.
SCORTA  l’autobomba ha causato la morte, oltre che del giudice, anche dei cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina. E’ importante e giusto ricordare anche i loro nomi.
TRAVAGLIO  trovo che il suo monologo in chiave ironica sulla “trattativa”, sia stato qualcosa di giornalisticamente straordinario. Il modo più efficace per ricordare Paolo, cercando di restituire la dovuta importanza a fatti e circostanze oscure e terribilmente “pesanti”, che spesso vengono invece ignorati o distorti dagli organi di stampa.
Consiglio a tutti di cercare l’intervento su youtube, e di prendersi un’ora di tempo per vederlo. Ne vale assolutamente la pena, comunque la si pensi.
AGENDA ROSSA  sempre Travaglio ha scritto recentemente che “l’agenda rossa di Borsellino è la scatola nera della seconda Repubblica”.
In quali mani è andata a finire? Cosa c’era scritto? Cosa aveva scoperto Paolo in quei 57 giorni fra la scomparsa dell’amico fraterno e la sua?
Chi aveva incontrato? E chi erano quei personaggi “al di sopra di ogni sospetto” dei quali nomi il giudice pare fosse venuto a conoscenza, come confidato alla moglie Agnese proprio il pomeriggio del 19 luglio?
Leggo e rileggo questi dettagli sul libro “Paolo Borsellino e l’agenda rossa (a cura della redazione di 19 luglio1992.com)” e, con rabbia e amarezza, penso alla piega che avrebbero potuto prendere le vicende del nostro Paese se le cose fossero andate diversamente.
TRATTATIVA  Antonio Ingroia tempo fa ha affermato che “la seconda Repubblica affonda i suoi pilastri nel sangue”. La sensazione, che qui si respira ancor più nettamente, dopo i tanti fatti emersi poco a poco nel tempo, e al di là della verità processuale che verrà stabilita, è che in quei giorni, in questi luoghi, si siano costituiti e consolidati (diciamo in maniera almeno molto controversa) dei veri e propri “nuovi assetti di potere”.
VITE BLINDATE  vite “estreme”, difficili, sempre sotto pressione, quelle dei magistrati in prima linea. Tanti attestati di stima e solidarietà, oltre che per Scarpinato e Ingroia, per il sostituto procuratore Nino Di Matteo, a sostegno del quale è stata anche organizzata una raccolta firme da inviare al Csm.
Si cerca di fare arrivare calore umano a questo magistrato che recentemente ha subìto intimidazioni e minacce: “Di Matteo non sei isolato, sei tu il nostro Stato” è uno dei cori più ricorrenti.
LEGAMI  quelli che si formano tra le tante persone che arrivano a Palermo in questi giorni da ogni parte d’Italia. Ci si scambiano opinioni, idee, progetti, abbracci, si vivono insieme momenti di grande intensità, si creano contatti, nascono amicizie.
GIOVANI  tanti, da ogni parte d’Italia. Hanno cantato, suonato, ascoltato.
Sono stati presenza attiva e partecipe. La bellezza. La vera speranza.
AMORE  questo passaggio della meravigliosa lettera di Roberto Scarpinato, dà il senso e l’importanza del lavoro di Paolo Borsellino.
Ed è questa la ragione principale per cui ho voluto essere qui, oggi.
Rendere omaggio e dare il mio piccolissimo contributo alla testimonianza di un uomo che ha investito tutto se stesso, con tutto l’amore che ha potuto dare, fino all’ultimo istante della sua vita, per cercare di rendere il nostro Paese più libero e più giusto.
“Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere. Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore”.

Grazie Paolo, e grazie anche a Rita e Salvatore per essere stati capaci di mettere nuovamente in moto la ricerca della luce e della Verità, dopo anni di buio e di silenzio.

* L’autore è socio del circolo di Firenze

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