«Una riforma illegittima»

06 Lug 2013

Alessandro Pace, professore emerito a Roma e costituzionalista insigne, ribalta le accuse di «conservatorismo». Anzi sottolinea che il procedimento di revisione costituzionale serve proprio ad adeguare la costituzione alle mutate esigenze politiche e sociali, «purché però se ne rispettino le regole che, per il nostro ordinamento, sono quelle previste dall’articolo 138, con il limite dell’immodificabilità della forma repubblicana e dei principi costituzionali supremi, tra cui il principio della salvaguardia della rigidità costituzionale, che è il più supremo di tutti».Questo significa, professore, che non bisogna temere il disegno di legge costituzionale 813 che la prossima settimana arriva all’esame dell’aula del senato?
Al contrario, in questo caso siamo di fronte a un uso illegittimo del potere di revisione. Bisogna considerare che il governo non ha proposto una modifica permanente dell’articolo 138 della Costituzione (il che è possibile, ma alle condizioni che le ho ricordato). Al contrario, dai sostenitori di esso si è detto che è stata prevista una “deroga” una tantum, il che è inesatto. Si ha una deroga quando una norma speciale si sostituisce una tantum a una normativa generale. Ma la così detta norma speciale (e cioè la procedura di revisione prevista del disegno di legge costituzionale 813) non è affatto puntuale e una tantum, perché, all’esito (se cioè l’813 andasse in porto) i cittadini viventi e quelli futuri avrebbero una forma di governo diversa, un bicameralismo diverso e rapporti Stato regioni diversi dagli attuali. Altro che norma una tantum! Il vero è che l’813 determina una illegittima sospensione temporale dell’articolo 138.A che scopo, secondo lei?
Allo scopo di affrontare non separatamente e specificamente le singole leggi di revisione come i costituenti previdero nella loro saggezza, ma di discutere insieme i vari progetti, esaltandone l’interdipendenza e favorendo – come già abbiamo visto in passate versioni delle “bicamerali” – la tentazione degli “scambi” tra diverse modifiche costituzionali. Anzi la collocazione della legge elettorale tra le materie di competenza della nuova Bicamerale rappresenta, per gli scambi, il cacio sui maccheroni, avendo essa un significato politico rilevantissimo ancorché distorcente nell’ottica delle riforme costituzionali. Si ha un bel dire che l’813 prevede che i disegni di legge debbano essere formalmente autonomi e omogenei. Questo infatti non esclude l’interdipendenza delle soluzioni.Ha anticipato una risposta alle sue obiezioni: proprio lei ha sempre insistito sulla necessità di riforme omogenee e adesso che il governo ha recepito questa raccomandazione non è soddisfatto?
Intanto ho pubblicamente riconosciuto che prevedere esplicitamente più leggi differenziate per argomento è stato un passo in avanti. Ma non posso non riflettere sul fatto che si tratta di argomenti assai ampi. Ognuno dei quattro titoli della seconda parte della Costituzione ai quali ci si vuole dedicare contiene una quindicina di articoli. L’omogeneità non basta, ci vuole anche la specificità. Mi spiego, prendiamo il bicameralismo. Io potrei essere favorevole alla riduzione dei parlamentari ma non al senato federale. Non mi si può chiedere di pronunciarmi su questi due temi che fanno parte dello stesso titolo con un unico sì o con un unico no.

La versione del governo è che si tratterà di più modifiche della Carta, ma tutte «puntuali».
Quella che viene proposta è in realtà una revisione totale della Costituzione, a mio avviso possibile solo per quelle costituzioni che lo prevedono espressamente. Come la Costituzione svizzera e spagnola, che hanno una procedura diversa, ulteriormente aggravata, per le revisioni totali. Ad esempio impongono che il parlamento venga sciolto e che i cittadini tornino alle urne tra la prima e la seconda lettura in maniera tale da rendere esplicita la clamorosa novità. In Italia questo non è consentito, perché non è previsto esplicitamente.

In definitiva lei ammette solo revisioni di piccola portata?
Niente affatto, diversamente da molti miei colleghi io penso che la Costituzione possa essere modificata anche con riguardo alla forma di governo. Purché non si incida sul principio intangibile della democrazia. L’articolo 139 ci dice che la forma repubblicana non può essere soggetta a revisione. Ma quale forma repubblicana? Quella democratica dell’articolo 1. Ne discende che non possono essere consentite modifiche alla forma di governo che comportino una diminuzione della democrazia. E’ per questo che non mi sta bene il regime semipresidenziale alla francese. In esso non sono previsti adeguati contropoteri, come osservò benissimo lo stesso presidente Napolitano nel discorso per il sessantesimo della Costituzione che meriterebbe di essere meditato.

Un’ultima domanda, come giudica la soluzione trovata in commissione al senato, per cui il comitato potrà occuparsi anche degli articoli della prima parte della Costituzione per proporre modifiche «strettamente connesse» alla seconda parte?
Non sapevo che fosse stata approvata una modifica così rilevante. A mio modo di vedere è stata così svelata un’ipocrisia, che stava dietro alle affermazioni che la modifica della seconda parte non avrebbe effetti sulla prima, quando il contrario discende dal rilievo elementare che l’operatività concreta dei diritti, di tutti i diritti (si pensi a quello che è successo alla scuola in questi anni…), è condizionata non solo dalla forma di governo ma anche da chi sta al governo. In ogni caso è molto grave che vi sia quest’ulteriore occasione di interdipendenza e, purtroppo, di interscambio.

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