Un pomeriggio nel Palazzo

04 Lug 2013

Ieri pomeriggio ho imparato un po’ di cose sulle mitiche “riforme costituzionali”: provo un po’ a condividerle, anche se il rischio fuffa qui è altissimo.

Primo, l’incontro sul tema (organizzato in una sala di Montecitorio da ‘La Questione morale’) fortunatamente è coinciso con la pubblicazione della dura lettera con cui Rodotà, Zagrebelsky e altri accusavano di scarsissima trasparenza la ‘commissione dei saggi’ nominata da Letta. Avendo sotto mano uno di detti saggi, Stefano Ceccanti, gli ho chiesto subito di rispondere.

Secondo Ceccanti, fondamentalmente, al termine di ogni riunione loro invece comunicano tutto o quasi ai giornalisti, ma sulla stampa è uscito pochissimo perché si sono finora occupati di questioni «poco notiziabili» (il ruolo del Senato più o meno delle regioni etc) e non hanno ancora toccato i temi caldi (presidenzialismo, semipresidenzialismo, premierato, insomma la forma del governo).

Così è venuto fuori il quadretto in cui lavorano questi saggi: ogni lunedì si incontrano dalle 10 alle 18, cercano di immaginare riforme che non subiranno veti in Parlamento o dal Pdl o dal Pd, poi si danno appuntamento al lunedì dopo.

Finora non hanno scritto una riga ma promettono di occuparsi delle questioni forti (la forma di governo, appunto) da lunedì prossimo.

Ad agosto gli incontri sono sospesi: restano quindi, a conti fatti, al massimo altre sette-otto riunioni da fare, visto che a inizio ottobre dovrebbero consegnare il loro documento di proposte al governo e al Parlamento. Poi loro hanno finito e la palla passa ai poteri (appunto) costituzionali.

Secondo l’ex parlamentare Roberto Zaccaria – presente all’incontro anche in quanto docente di Diritto Costituzionale – non combineranno assolutamente niente: al massimo, approveranno un documento finale paracadutato dall’alto, probabilmente da Quagliariello e Violante più gli esperti di Quirinale e Palazzo Chigi.

Quindi la vera domanda – aldilà della melina che questa commissione palesemente incarna – è quello che succederà dopo, se qualcosa succederà.

Infatti il Parlamento intanto è fermo o quasi in attesa di vedere che cosa partoriscono i saggi. Il senatore Giorgio Tonini (Pd) ha spiegato che a Palazzo Madama siamo non ‘a carissimo amico’, ma molto prima: per ora si sta cioè discutendo solo dell’articolo 138, quello che appunto permette di cambiare la Costituzione. In pratica, le Camere non hanno ancora affrontato in alcun modo il merito delle cose da riformare nella Carta, ma solo il metodo su come riformarle. Un po’ come se un allenatore stesse riflettendo non sulla formazione da mandare in campo, ma solo sui criteri con cui poi deciderà come scegliere la formazione.

Il tutto è incasinato da un’altra questione ancora non risolta: nel caso queste riforme costituzionale venissero davvero approvate dal Parlamento, sarebbero un bloccone unico o tanti blocchetti separati? Non è una questione solo accademica: nel primo caso, l’eventuale referendum confermativo si farebbe su tutto l’impianto, nel secondo caso su ogni singolo articolo riformato, quindi con più schede. Se si scegliesse la prima soluzione, c’è il rischio che il tutto venga bocciato perché magari nel bloccone c’è solo una singola cosa sgradita ai più, quindi non si cambierebbe una virgola; nel secondo caso c’è il rischio che lo spezzatino produca risultati difformi, con una cosa approvata e un’altra no, e magari il risultato finale è contraddittorio e inapplicabile.

Ancora: quando dalla commissione dei saggi le riforme costituzionali passeranno al Parlamento, diventeranno oggetto di una trattativa politica che tracimerà al di fuori della stessa riforma costituzionale. Ad esempio, Tonini a un certo punto ha detto che il Pd potrebbe accettare il semipresidenzialismo tanto voluto da Berlusconi solo in cambio di una buona legge sul conflitto d’interessi. A quel punto io gli ho risposto che poteva dircelo prima, così evitavamo anche il dibattito: dato che il Pdl non accetterà mai una legge sul conflitto d’interessi, è evidente che si blocca anche tutto il resto e ciao.

Ma non è finita, perché c’è  un’altra bega grossa da affrontare: se  cioè le riforme costituzionali sulla forma di governo debbano essere fatte prima, insieme o dopo rispetto alla nuova legge elettorale. Che, come sapete, è una legge ordinaria e non sta nella Carta.

I partiti, i parlamentari e i saggi non sono d’accordo neppure su questo punto base: secondo alcuni non ha senso fare una legge elettorale se non si sa come sarà la forma di governo, secondo altri il Porcellum fa talmente schifo che nell’attesa bisognerebbe subito fare la riforma elettorale, magari tornando al Mattarellum, ma anche no, ci sono almeno settanta ipotesi diverse.

Il risultato, comunque, è che della nuova legge elettorale (”urgentissima” fino a pochi mesi fa) al momento non si sta occupando nessuno, in Parlamento: con la probabilità molto concreta che se per qualsiasi ragione dovesse cadere il governo, si torni a votare di nuovo con il Porcellum.

Bene, non so se vi ho più chiarito o più confuso le idee su quello che sta succedendo. Comunque, se siete arrivati in fondo al post vuol dire che avete dedicato fin troppo tempo a questo teatrino ed è ora di tornare al più presto di occuparvi del mondo vero, là fuori.

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