Prima emergenza la legge elettorale

08 Mag 2013

Soprattutto, si metta in testa all’agenda la riforma elettorale, per la quale è sufficiente una legge ordinaria. Quando avremo nuove elezioni, si vada almeno alle urne avendo la possibilità di scegliere i propri parlamentari. E, magari, grazie ai primi interventi per l’emergenza economica, un Paese meno martoriato dalla crisi. Leggi anche Un decreto contro il Porcellum

Ogni governo, ai suoi primi passi, gode di un clima favorevole. E’ il tempo della cosiddetta “luna di miele”. Per il governo Monti, durò a lungo, anche troppo. Ma l’esecutivo guidato da Enrico Letta questa felice parentesi non l’ha conosciuta. Il vento della tempesta ha soffiato subito. Non appena Berlusconi ha comunicato il suo ultimatum sull’Imu: “O salta quest’imposta o salta il governo”. Poi, un altro piatto indigesto per il Pd: la pretesa del Cavaliere di presiedere la Convenzione per le riforme istituzionali. Ora, siamo alla lotta, coltello tra i denti, per la Commissione Giustizia del Senato, dove il capo del centrodestra ha cercato di piazzare un suo uomo di fiducia, l’ex Guardasigilli Nitto Palma, simbolo eclatante degli interessi berlusconiani in materia giudiziaria. Davvero troppo. Ma Berlusconi minaccia: se il Pd non cede, il governo rischia di non finire l’estate.

E’ la pura e semplice cronaca dei fatti. Che ci porta alla questione centrale: la golden share è tornata nelle mani del Cavaliere. Che intende giocare il ruolo del protagonista, con gli abiti da statista nelle occasioni ufficiali, ma tornando a fare il Caimano quando si tratta di fare i propri interessi. Dove ci porterà tutto questo? Il governo Letta è come un abito tenuto su con gli spilli. Se tiri troppo da un lato, il vestito si disfa. Ma era possibile confezionare un prodotto diverso? Certo, ci sono stati gli errori, le incongruenze, i contorsionismi del Pd . Abbiamo visto, dentro questo partito, scontri e vendette. Fino ad affossare la candidatura al Quirinale di Romano Prodi, col risultato di gettarsi indifesi nelle braccia del Cavaliere. Ma resta innegabile il dato di partenza: il risultato elettorale del 26 febbraio ci ha consegnato una situazione ingovernabile. Non più un bipolarismo, sia pure imperfetto, ma tre grandi minoranze, numericamente non troppo diverse tra loro. Bersani ha tentato un governo di minoranza, attraverso una qualche forma di intesa col Movimento 5Stelle, ma ha raccolto sberleffi e rifiuti. Restava, come unica alternativa, il ritorno di nuovo alle urne. Sarebbe stata, probabilmente, la scelta più coerente, in linea di principio. Ma a che prezzo? C’era il rischio, col sistema di voto in vigore, di un analogo responso elettorale, privo di sbocchi, perdurando l’assenza di una possibile maggioranza.

Abbiamo, dunque, una coalizione nata nel nome della necessità. In condizioni d’emergenza. Del resto, lo stesso Letta ha ammesso che “questo non è certo il governo ideale per gli italiani”. Fissate queste condizioni, è meglio verificare che cosa è oggi possibile, anziché insistere sulle pur fondate polemiche relative al passato. Il sentimento degli italiani è assai critico. Forte è la rabbia contro il governo e la sua maggioranza. Ma il Paese sente, nello stesso tempo, il bisogno d’essere governato. Spera in iniziative che aprano la strada a una rassicurante ripresa perché sempre più grave si è fatta la crisi economica. Un “governicchio balneare” non risponderebbe certo a questo scopo. E, d’altra parte, è grottesco pensare a un governo di svolta. Piuttosto, si prenda atto, con umiltà e realismo, degli errori compiuti e si cerchi di porvi rimedio. Con uno scopo chiaro e circoscritto. Da una parte, affrontando l’emergenza economica, con provvedimenti di rilancio e sostegno dell’occupazione, tutele sociali più estese, incentivi al consumo. Dall’altra, mettendo mano alle riforme più urgenti, anzitutto la nuova legge elettorale, necessaria per ripristinare l’alternanza momentaneamente sacrificata.

Si dirà che Berlusconi ha, nelle sue mani, le chiavi del governo. E, come ha fatto con Monti, può staccare la spina nel momento in cui più gli conviene. E’ un pericolo reale. Ma questa volta non si scontrerebbe solo con Letta. Al Cavaliere si contrapporrebbe il Quirinale. E la partita sarebbe per lui ben più complicata. Prenda dunque, il presidente del Consiglio, le iniziative più opportune.Se vuole, riunisca pure i ministri in un’abbazia della campagna toscana, per “ fare squadra”, anche se questa mania, stile vecchia Dc, di riunirsi in convento, suscita facili ironie. Ma si concentri, soprattutto, sulle “politiche concrete”  che può mettere in pratica. E eviti di impantanarsi nelle false questioni, come è nel caso della Convenzione, uno strumento improprio, perché, per fare le riforme, non abbiamo bisogno di scorciatoie. Si tratti del Senato federale e del bicameralismo perfetto o della diminuzione del numero dei parlamentari o dell’abolizione delle Province, basta l’articolo 138 della Costituzione. Soprattutto, si metta in testa all’agenda la riforma elettorale, per la quale è sufficiente una legge ordinaria. Quando avremo nuove elezioni, si vada almeno alle urne avendo la possibilità di scegliere i propri parlamentari. E, magari, grazie ai primi interventi per l’emergenza economica, un Paese meno martoriato dalla crisi.

Questo è il campo sul quale poter manovrare. Consapevoli dei propri limiti, ma anche determinati a operare per i progressi possibili. Altrimenti, tutto si fa più ambiguo e confuso. E ogni retropensiero diventa lecito.

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