Addio a Tonino Maccanico, servitore dello Stato

23 Apr 2013

E’ mancato a 88 anni Antonio Maccanico. Socio storico di Libertà e Giustizia sin dalla fondazione, aveva ereditato il senso profondo delle istituzioni dal padre e da Adolfo Tino, suo zio, entrambi tra i fondatori del Partito d’Azione. Tutta Libertà e Giustizia lo ricorda con affetto.

A nessuno, meglio che a lui, si addice la definizione di “servitore dello Stato”. Antonio Maccanico, socio storico di Libertà e Giustizia sin dalla fondazione, aveva ereditato il senso profondo delle istituzioni dal padre e da Adolfo Tino, suo zio, entrambi tra i fondatori del Partito d’Azione.

E’ stato un grande amico negli anni della prima Repubblica, definizione che lui aborriva, come aborriva la divisione fra prima e seconda e molti degli slogan e luoghi comuni che hanno accompagnato gli anni difficili del nostro Paese.

I colloqui con lui, nel piccolo studio del Quirinale dove incontrava gli amici negli anni di Sandro Pertini, erano un momento prezioso di intelligente ricostruzione degli avvenimenti, di lettura di uomini e cose della Roma politica. Fu il sostegno di tutta l’azione del presidente della Repubblica nei momenti della scoperta della P2 e anche dopo, insieme a Pertini vietava l’ingresso al Quirinale di chiunque fosse stato negli elenchi della loggia segreta.

Rispose sempre agli appelli di chi, chiamato a guidare il nostro Paese, aveva bisogno della sua profonda conoscenza delle situazioni. Non era un ottimista, ma il suo pessimismo sugli uomini e la storia, che lo avvicinava a Ugo La Malfa, il suo grande punto di riferimento, era sempre accompagnato da un grande sorriso e dalla fedeltà profonda che riservava ai vecchi amici.

Molte volte è accaduto che non fossi d’accordo con lui e con le sue scelte. Ma so che Antonio non è mai venuto meno al senso di dignità e onore che erano il sale della sua vita.  Era convinto che quasi tutti i mali di questi anni derivassero dall’aver abbandonato il modello proporzionale per sposare quello maggioritario. “Le riforme si fanno con gradualismo” diceva “L’Italia aveva sbagliato con i movimenti referendari: a noi serviva il modello tedesco, tutto il resto sono baggianate. Cioè collegi uninominali maggioritari e proporzionali al 50 per cento e sbarramento al 5 per cento per i partiti. Fiducia al primo ministro, che poi vara il governpo. Infine, sfiducia costruttiva”. Diceva Maccanico che era questo il modello su cui lavorare “dopo 20 anni di fascismo, guerra civile, la permanenza di un partito che si richiamava al fascismo, la presenza del maggior partito comunista d’occidente, la legge maggioritaria per il 75 per cento dei seggi non poteva che essere un’avventura. Non aver capito in tempo questa necessità è il vero torto della classe dirigente della Repubblica proporzionalistica”.

A Berlusconi che diceva di essere liberale, Maccanico ricordava che i grandi maestri della liberaldemocrazia, in Italia “sono stati Einaudi, Croce, Amendola e Gobetti”.

Aveva diviso con Antonio Tatò, il consigliere e amico di Berlinguer, i segreti più importanti di quegli anni di intenso lavoro per il bene del Paese. I due “Tonino” della prima Repubblica, quando le intese erano “grandi” e gli accordi erano patti che grandi uomini mantenevano nel nome della Repubblica italiana.

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