La Costituzione: figlia della Resistenza

22 Apr 2013

Tavola rotonda a Cagliari, per le celebrazioni del 25 aprile. Uguaglianza, giustizia, dignità, passione: in una parola, Resistenza; in una parola, Costituzione. Anche in un epoca attraversata dalle violente pulsioni autocratiche di cui si alimentano le varie facce della “politica personale”, i valori della lotta partigiana hanno saputo superare le barriere del tempo

“Lo avrai, camerata Kesserling, il monumento che attendi da noi Italiani, ma con che pietra si costruirà deciderlo tocca a noi”. Il monumento che Calamandrei idealmente contrapponeva alle feroci incursioni delle camicie nere è stato elevato facendo ricorso ad un particolare tipo di pietra: alla pietra delle idee, alla pietra del sangue, alla pietra della speranza di un Paese diverso che sosteneva, ora dopo ora, i protagonisti della lotta di Liberazione. Quel monumento è la Costituzione: patto tra uomini liberi volto a stabilire le regole fondanti della convivenza democratica, manifesto politico ispirato ai valori di solidarietà ed eguaglianza che della Resistenza costituivano l’anima. Già, l’anima: nella Costituzione c’è l’anima della Resistenza, perchè la Costituzione è figlia della Resistenza.
Il rapporto che lega le scelte dei Costituenti alla stagione della lotta partigiana non emerge solo dalle disposizioni relative alla dignità della persona umana ed ai “diritti di libertà” – principi fondamentali di un ordinamento chiamato a superare l’onta delle leggi razziali – : quel legame traspare anche dalle norme che, attraverso un equilibrato sistema di checks and balances tra i vari poteri dello Stato, garantiscono il regolare svolgimento della dialettica democratica dinanzi al manifestarsi di eventuali rigurgiti di autoritarismo; traspare dal principio che, qualificando la magistratura come un ordine autonomo rispetto ad ogni altro potere, rifiuta la logica di un sistema giudiziario inteso come braccio armato del potere politico; traspare dalla previsione di efficienti istituzioni di garanzia, in grado di salvaguardare l’integrità del dettato costituzionale dai desiderata di una contingente maggioranza di governo.
Ecco, non è casuale che proprio la seconda parte della Costituzione sia stata oggetto di numerosi tentativi di revisione durante i vent’anni che hanno scandito l’evolversi della Seconda Repubblica; e non è casuale che la necessità di procedere ad una rielaborazione dei principi relativi alla forma di governo consacrati nella Carta Fondamentale (più volte definiti come il decadente retaggio di una cultura filosovietica) sia stata manifestata con particolare vigore dagli esponenti di quello schieramento politico che, attraverso la sistematica (e talvolta spudorata) riabilitazione del ventennio fascista, tuttora negano alla Resistenza il valore di momento fondante della nostra democrazia.
Ma proprio la capacità della Costituzione di resistere ai molteplici tentativi di revisione di cui è stata oggetto rappresenta la migliore conferma dell’attualità dei valori di cui la Carta è espressione: il valore dell’uguaglianza, destinato a prevalere sull’ossessiva ricerca del privilegio; il valore delle istituzioni intese come strumento per l’attuazione dell’interesse generale, affermato in confronto di quanti vorrebbero le stesse istituzioni asservite alle esigenze del princeps; il valore delle cariche pubbliche da esercitare secondo “disciplina e onore”, principi brutalmente sviliti dalle tristi vicende oggetto della cronaca recente; il valore dell’indipendenza della magistratura, opposto ai mille disegni di riforma diretti a sottoporre il Pubblico Ministero al controllo del potere politico; il valore della democrazia come momento di confronto, destinato a prevalere sempre e comunque sul decisionismo efficentista che caratterizza il modello dello Stato-azienda.
Sono valori radicati nella storia del nostro Paese, sono i valori radicati nelle mille, meravigliose esperienze che rendono entusiasmante e commovente la nostra Storia: nell’esperienza di Antonio Gramsci, intelletto troppo elevato per rimanere sepolto nelle segrete di Turi; nell’esperienza di Emilio Lussu, vittima fieramente consapevole delle storture giudiziarie di un regime che non faceva prigionieri; e soprattutto nell’esperienza dello splendido, struggente ultimo discorso di Giacomo Matteotti, e del suo tentativo di riscattare “non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente” la dignità di una Camera dei Deputati già ridotta a bivacco di manipoli.
Uguaglianza, giustizia, dignità, passione: in una parola, Resistenza; in una parola, Costituzione. Anche in un epoca attraversata dalle violente pulsioni autocratiche di cui si alimentano le varie facce della “politica personale”, i valori della lotta partigiana hanno saputo superare le barriere del tempo, e continuano ad ispirare i 139 articoli della Carta Fondamentale. Per questo, mi piace credere che, proprio in calce all’art. 139, è possibile rinvenire un’ulteriore “norma di chiusura”, una norma di chiusura scandita dalle stesse parole incise nella pietra del monumento di Calamandrei:
Ora e sempre, Resistenza.

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