La doppia morale del Pd

21 Apr 2013

Ci sarà tempo per analisi approfondite della catastrofe politica che si è consumata in questi giorni di elezioni presidenziali. Ma già ora si possono cogliere alcuni momenti significativi, per non dimenticarli. Questi, ad esempio: autorevoli esponenti del PD ci hanno spiegato, con supponenza, che il PD mai avrebbe potuto votare Rodotà, perché “marchiato da Grillo” o “perché è il primo partito a dover esprimere il candidato”.

Ci sarà tempo per analisi approfondite della catastrofe politica che si è consumata in questi giorni di elezioni presidenziali. Ma già ora si possono cogliere alcuni momenti significativi, per non dimenticarli. Questi, ad esempio: autorevoli esponenti del PD ci hanno spiegato, con supponenza, che il PD mai avrebbe potuto votare Rodotà, perché “marchiato da Grillo” o “perché è il primo partito a dover esprimere il candidato”. Ebbene, i fatti hanno dimostrato che entrambe queste affermazioni sono false: il candidato espresso dal PD – Romano Prodi, figura storica fondamentale di quello schieramento politico – è stato fatto fuori dallo stesso “primo partito”, mentre il PD ha finito per votare compatto non un proprio candidato, ma una soluzione – il Napolitano bis – che porta indubbiamente il marchio della condivisione con Berlusconi.
Queste due cose insieme, il voto negato al proprio candidato Prodi – notoriamente avversato da Berlusconi – e il rifiuto, invero incomprensibile se si guarda al profilo della persona, di appoggiare il candidato del M5S (con cui pure si era gridato a gran voce di voler costruire un’alleanza) illuminano di una luce nuova il ventennio trascorso: la debolezza del PD, l’incapacità di esprimere una cultura politica alternativa a quella della destra, le tante cose non fatte, la distanza dalle aspettative degli elettori non appaiono più come il risultato di una carenza identitaria, di difetti da correggere, bensì come il risultato di una precisa scelta di fondo, sempre riemersa nei momenti cruciali: la scelta di una sostanziale subalternità, e dunque alleanza, con la destra berlusconiana.
Questo è il quadro oggi, e le ripetute dichiarazioni di piazza ad uso degli elettori sul rinnovamento e l’opposizione alla incultura della destra – con tutto il suo bagaglio di menzogne, privilegio, corruzione, evasione fiscale, indifferenza per il progressivo impoverimento del paese – appaiono per ciò che purtroppo sono: mistificazioni propagandistiche, consapevoli bugie vendute ad un elettorato desideroso di voltare pagina.
La realtà sotto gli occhi di tutti è che il PD ha preferito autodistruggersi piuttosto che mettere in atto un processo di distacco da Berlusconi. E non ha alcuna importanza, a questo punto, che ciò sia dovuto ad errori di valutazione, faide interne, equivoci, ripicche o altre bassezze: ciò che conta è che oggi il PD non è più un punto di riferimento per la costruzione di un’alternativa politica, culturale, sociale e umana alla destra berlusconiana. Occorre prenderne atto, e volgersi a costruire altro.

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