La pazienza è finita

“Un presidente della Repubblica condiviso”. Si continua a insistere su questo tema. Ma, nel frattempo, i fattori di incertezza si moltiplicano, cresce la confusione. Il punto vero è che la “condivisione” non può consistere in compensazioni e scambio di favori politici.

Certo, il ruolo del Capo dello Stato è progressivamente cresciuto fino ad accentrare sul Colle un enorme carico di aspettative. Parallelamente alla perdita di credibilità dei partiti, l’opinione pubblica ha investito la sua fiducia nel Quirinale. Si osserva che, da “moderatore e garante di una corretta dialettica istituzionale”, il presidente della Repubblica è sempre più apparso come “il reggitore dello Stato”o, addirittura, “il risolutore delle crisi”. Viviamo in una condizione di perenne emergenza, per cui la presidenza della Repubblica appare come l’unica istituzione pubblica capace di tenere insieme il Paese. Però, le aspettative rischiano di diventare morbose. Fino a condurre a un presidenzialismo di fatto, sempre più strisciante.

E’ augurabile che dalle consultazione aperte da Pier Luigi Bersani emerga una soluzione rispettosa delle diverse culture presenti in Parlamento. Ma questo non vuol dire che si debba andare a cercare in una zona grigia, priva di una sua caratterizzazione, magari espressione di contingenti interessi partitici. Abbiamo avuto capi dello Stato eletti “a maggioranza”, scontando una consistente opposizione, eppure dotati di credibilità e rispettabilità, capaci di crescere nella stima generale, come ci ricorda anche l’ultimo esempio, quello di Giorgio Napolitano. E, al contrario, elezioni al primo scrutinio, quasi all’unanimità, che hanno contraddetto le aspettative. Il problema è che si scelga per competenza e per moralità: un nome alto, un difensore della Costituzione repubblicana e, quindi, un difensore di tutti.

Vediamo, invece, tatticismi, sotterfugi, cortine fumogene. L’obiettivo di Berlusconi è dichiarato: fare eleggere un Presidente che apra la strada a un governo di larghe intese. Per il Cavaliere, Quirinale e governissimo si tengono insieme e dovrebbero garantire insieme i suoi interessi. Il Movimento 5Stelle prosegue lungo la linea della contestazione globale. E’ doveroso coinvolgere anche i suoi rappresentanti. Ma non si può non notare che, mentre il segretario del Pd si appresta a consultarli,  i vertici del Movimento lo anticipano, facendogli sapere che prima voteranno “online” il proprio candidato e poi si siederanno allo stesso tavolo. Neppure il Partito democratico può sottrarsi alle critiche. Bersani  non è riuscito a fugare i sospetti palesatisi intorno alla sua iniziativa: vale a dire che gli prema soprattutto un Presidente orientato a “scongelare” il preincarico, consentendogli di andare a chiedere formalmente la fiducia delle Camere per un suo governo. E se, poi, non ottenesse la fiducia? Avrebbe comunque il vantaggio, si argomenta, di gestire le inevitabili, nuove elezioni da primo ministro incaricato, prevenendo così la sfida interna sulla sua leadership. Ma a questi sospetti se ne contrappongono altri, di segno diverso. C’è chi teme che un “governicchio”, in qualche modo, Bersani riesca a farlo: una soluzione precaria, affidata alla compiacenza di un po’ di senatori del Pdl, disposti a a uscire dall’aula, e magari a qualche voto grillino. Risultato: le chiavi in mano a Berlusconi che, come sostiene Rosy Bindi, deciderà lui come e quando staccare la spina.

Si accumulano i veleni dentro il Pd. Renzi e Bersani sono allo scontro frontale. Qualcuno richiama il fantasma della scissione. Certo, i metodi gladiatori non aiutano. Però, non aiutano neppure i baratti. Nel frattempo, i giorni passano, ma non si accende nessuna luce alla fine del tunnel. E il Paese, stremato da una crisi incontrollabile, ha esaurito la sua pazienza.

2 commenti

  • Le LARGHE ( ma RIGOROSAMENTE SEGRETE) INTESE TRA PD e PDL sulle persone da designare a capo dello Stato sono il segno evidente del degrado civile del paese. Su che base può avvenire, nella migliore delle ipotesi, l’ incontro e l’accordo tra i due partiti, se non sulla base di uno scambio reciproco, da un lato il governo dall’altra la presidenza della Repubblica? E questo sarebbe un nuovo compromesso storico? Ma…mi faccia il piacere, direbbe Totò. ” Il compromesso del do ut des non è indice di tollerante adattamento parziale alle idee opposte, sì invece di puro calcolo partigiano egoistico…questo è falso compromesso, il quale trasforma i codici in antologie di norme arlecchinesche e dà il governo in mano a faccendieri intriganti…” Così scriveva Luigi Einaudi nel 1945.

    E se i più realisti fossero gli “intolleranti” del movimento 5 stelle? Ma che senso hanno compromessi del genere? Diverso il caso se PUBBLICAMENTE PD e PDL avessero discusso ed enunciato i principi sulla base dei quali scegliere un presidente che abbia ampio consenso. Ma questo non è successo e non succederà.

    Umberto Baldocchi

    Lucca

  • Il nodo è il PD.
    Chi al suo interno ha un qualche lume di ragione si metta d’accordo con SEL e M5S per Settis, Rodotà o Zagrebelsky, e tenga poi la linea ad ogni costo. Se, come probabile, il resto del PD preferisce altre strade, lo si lasci pure a se stesso. Si tratta intanto di strade su cui non sarà che scomparire.

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