E’ una crisi senza precedenti. La più drammatica nella storia della nostra Repubblica. Il capo dello Stato ha preso in mano i fili di un’iniziativa d’emergenza, in modo insolito ma solenne. Però, nemmeno Giorgio Napolitano ha la bacchetta magica. Le nuove consultazioni sono in corso al Quirinale, mentre scriviamo. Si alternano spigoli e chiusure, ipotesi e subordinate, tentativi di bluff. Andiamo su e giù per le montagne russe. In una crisi eccezionale, di sistema. Che richiede coraggio, ma anche la necessaria dose di pragmatismo se non si vuole affondare in una rovinosa palude.
Per primi dovrebbero venire i fatti e le cifre. Fatti e cifre che ci dicono come la condizione economica del Paese si avviti in una spirale sempre più perversa. Tutti gli indicatori segnalano il peggio: meno produttività, meno occupazione, previsioni del prodotto interno lordo, il Pil, ancora più negative che in passato, e così seguitando. Soltanto lo spread è in crescita. Il compito di un governo, qualsiasi governo, dovrebbe essere rivolto anzitutto all’emergenza economica, alla ricerca delle misure più urgenti, e più condivise, che possono allontanarci dal baratro. L’opera è ardua, ma indifferibile. Presuppone che tutte le forze in campo cedano qualcosa del proprio per dare al Paese quello di cui ha bisogno. Nello stesso tempo, bisogna mettere mano alle riforme che, in questa fase, sono più urgenti e, per così dire, più “concrete”. Anche qui, niente sotterfugi, arabeschi, minuetti. Evitiamo di parlare ancora di “doppio binario”, di una Convenzione incaricata di redigere una bozza di riforma costituzionale. Non vogliamo penalizzare la “buona volontà” di Bersani.. Ma questa proposta si è rivelata, allo stesso tempo, debole e opaca. Se voleva aprire la strada a una qualche forma di desistenza da parte del Pdl, si è rivelata ben presto fallimentare. In cambio, ha suscitato le legittime preoccupazioni di chi non accetta manovre poco chiare, concessioni di credito ingiustificate, quando si tratta della Costituzione. Facciamo, dunque, quello che è, al momento, più urgente e più realistico. Cambiamo, piuttosto, l’orrenda legge elettorale. La riforma non ci assicura, per se stessa, la governabilità, ma cancella quanto meno le storture del Porcellum. Si può, nel contempo, fare un pezzetto di riforme costituzionali, come l’abolizione delle Province e la riduzione dei parlamentari. E’ già molto, nelle presenti condizioni, perché si sa che si tratta pur sempre di un governo d’emergenza, a termine. Dietro al quale si profila ancora il ritorno alle urne, quando le condizioni saranno meno drammatiche.
E’ più idoneo, a questo fine, un esecutivo politico o un governo “di scopo”, “del Presidente”? Saranno i fatti a decidere. Sappiamo che, in ogni caso, tanto nella prima quanto nella seconda ipotesi, gli ostacoli sono molti. Bersani si è scontrato, da una parte, contro il diniego irridente del Movimento 5Stelle, dall’altra, con le proposte “indecenti” di Berlusconi. Beppe Grillo ha perseguito la linea del rifiuto, del dileggio, dello schiaffo. Poi, a sorpresa, ha messo sul tavolo una mezza apertura, non si sa se quanto convinta: questa posizione potrebbe cambiare se, uscito di scena Bersani, si profilasse una convincente soluzione “similtecnica”, intorno a una personalità al di fuori dei partiti. Berlusconi, ringalluzzito dai sondaggi, ha, a sua volta, alzato il tiro: o accordo sul Quirinale o si torna alle urne. Il Cavaliere pretende la scelta del successore di Napolitano, non si accontenta di scegliere tra i petali di una rosa offerta del Pd. Non basta: dichiara di poter accettare solo l’ipotesi di un governo di larghe intese, presieduto da un esponente del Partito democratico, ma con al suo interno anche esponenti di provenienza Pdl. Sul Pd si riversano, a questo punto, i maggiori problemi. Se risulta sbarrata la strada del “cambiamento”, da percorrere grazie a un punto d’incontro con i grillini, che fare? Di governissimo col centrodestra nemmeno a parlarne. E’ possibile qualche escamotage, che garantisca la “non ostilità” del Pdl, senza perdere per questo la ragion d’essere del partito e la fiducia del proprio elettorato? Domande difficili, su cui vacilla l’iniziale unità interna.
Certo, di un governo c’è sempre più bisogno. Ma è necessario che nasca con trasparenza. Senza rattoppi e compromessi tutti al ribasso. Soprattutto, senza ricatti. Altrimenti, questo marasma risulterà insopportabile. E la strada di nuove elezioni, anche sotto la calura estiva, sarà una scelta obbligata.
Dopo le dichiarazioni di Berlusconi mi sembra evidente che l’unica possibilità di risolvere la crisi sia un Governo del Presidente, con alcuni punti programmatici molto chiari, in primo luogo la riforma elettorale (ma non dovrebbe essere una indicazione generica); punti chiari e precisi di un Governo di transizione che non metta in campo ipotesi di riforme costituzionali, che in questo clima politico non sono ipotizzabili. Solo a queste condizioni si può chiedere alle forze politiche che hanno la maggioranza alla Camera di assumersi una responsabilità.
In assenza di una soluzione così fatta è inevitabile tornare alle elezioni, anche sapendo che si corre il rischio di riprodurre la medesima situazione (vedi il caso della Grecia) o, peggio, di una vittoria del centrodestra.
Se il PD volesse realmente cambiare la legge elettorale lo potrebbe fare martedì di ritorno dalla pasquetta. Ma se non l’ha fatta fino ad ora cosa dovrebbe far presupporre che sia una sua priorità? La paura di sparire appena si torna alle urne con questo porcellum? La situazione è si particolare. Non è mai successo prima che ci fosse una forza nuova con un terzo degli elettori a pari delle due vecchie. Ma questo è il risultato di 20 anni di sordità e inazione. Ora, secondo lei Meli, chi dovrebbe cedere più degli altri? Il nuovo che vuole cancellare il vecchio? O il vecchio che tenta di sopravvivere?
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Francamente non capisco come si possa imputare al PD una qualche responsabilità in ordine al cambiamento della legge elettorale. Dopo la “porcata” quando vinse (si fa per dire) le elezioni si mise in piedi un governo fatalmente schiavo dei desiderata di Mastella (e non solo).
Costui non intendeva minimamente suicidarsi politicamente acconsentendo ad una qualche legge taglia frattaglie (sbarramenti, doppi turni ecc.)
Il Pd ha tutte le colpe di questo mondo, inclusa quella di esistere, ma non quella della legge elettorale. Non l’ha cambiata (col doppio turno sarebbe andato a nozze) non ha neppure provato, sarebbe caduto il governo all’istante. Cosa che poi avvenne grazie all’UDEUR per ragioni note.
Che cosa ha fatto la stampa per contrastare l’”orrenda legge elettorale”? Dal 1° gennaio 1948 la stampa ha costituito la QUINTA COLONNA della oligarchia che ha governato il Paese. E’ giunto il momento di capire che il cancro del Paese non sono le mafie, ma la criminalità legalizzata ed impunita. Un articolo del prof. Settis o del prof. Zagrebelsky esprime più politica di quanta ne esprimano insieme mille parlamentari durante un’intera legislatura; eppure la stampa si preoccupa di far conoscere il pensiero di Scilipoti e non quello di Settis o Zagrebelsky.
In una serie di priorità, io ritengo che la legge elettorale non sia la prima. E neanche la seconda. Anzi, a costo di attirare le invettive di chi legge, credo che il procelllum di per sé, sia addirittura innocuo. Questo perché ‘Il Problema’, alberga in altro luogo. Il tema vero, strategico e di vitale importanza è solo quello della credibilità per la rappresentatività degli eletti dai cittadini. In tempi in cui non c’è più etica del servizio, etica del rispetto, etica della politica, etica del sociale, la cosa più importante da fare e madre di tutti gli effetti in ricaduta, è la risoluzione del conflitto di interessi e del blind trust. … Liberati i candidati eletti dal ‘fardello’ dell’interesse privato, resta solo la credibilità (a prova di smentita, com’è ovvio) ma che consente di lavorare per i cittadini e ricevere maggiore fiducia da questi. In questa ottica, il porcellum diventa del tutto innocuo e solo strumento di governabilità, stante il substrato di interesse collettivo che permeerebbe le Camere. Come mai prima.
@Marasco:Lei si chiede chi dovrebbe cedere.. Qui non si chiede di cedere a nessuno. Qui si chiede a tutti di assumersi la responsabilità che gli elettori con il voto hanno conferito in misure diverse ai partiti presenti in parlamento. Che piaccia o no,ci sono milioni di persone che hanno riconosciuto la loro fiducia alle persone elette nel PD.Eletti molti dei quali in parlamento per la prima volta, tante donne ,giovani ,amministratori locali,e politici di lunga esperienza e provate capacità.Ecco queste sono le persone che il 5s ritiene responsabili di “20 di sordità e inazione”.Ma lei scherza?Temo di no.Temo che veramente vi sia la volontà e forse la incapacità di vedere le differenze fra chi manifesta nei tribunali contro i magistrati e chi invece ha sempre ha sostenuto la Magistratura nella sua azione indipendente.Ma le differenze non finiscono qui, sono tante ,ma elencarle sarebbe inutile a chi non vuole vederle.Parla lei di credibilità, chiedo : ma il 5s su cosa basa la sua credibilità?Siete credibili quando parlate di cambiamento e poi nel momento in cui vi si offre di partecipare al cambiamento vi tirate indietro ? No questa non è credibilità .La credibilità si ottiene con i fatti .E’ ora di agire ,ora si fa sul serio.
Se nuove elezioni con qualunque legge fossero la soluzione. Ma ce n’è certezza? La Storia degli ultimi decenni di questo Paese (da Craxi in poi), suggerirebbe che il problema di questo Paese siano i “moderati”. Quella politica (“p”) di indici, compromessi di comodo, quello stare con i piedi in due staffe, inconcludenti, temporeggianti, procrastinando. Questo ha tenuto in scacco la cosiddetta sinistra inconcludente, incapace di dare al Paese una sua Agenda indiscutibile sulla quale dare tempo alla popolazione di assimilare la necessaria convinzione. Non vi sono scorciatoie!
Il Quirinale sta portando l’Italia allo sfascio.
2010: il governo Berlusconi è allo stremo e sta per perdere la fiducia delle Camere. Il presidente Fini è pronto a mettere la discussione in calendario al piú presto, ma Napolitano lo convince a rinviarla, preoccupato di dover festeggiare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia in un clima di campagna elettorale. Il risultato è forse un colpo di Stato del presidente del Consiglio, che acquista (non si sa [ancora] se letteralmente…) i senatori Scilipoti, Razzi e altri, e resta in sella. L’altro magnifico risultato sono i festeggiamenti dell’Unità d’Italia in un clima di lupanare, nel bel mezzo dello scandalo Ruby. Complimenti.
2011: il governo Berlusconi è nuovamente alle corde, spinto stavolta dalla crisi economica. È ora di tornare alle urne, ma Napolitano (e i partiti, certo: lo stesso sciagurato Pd) attaccano una lagna infinita per spaventare il Paese, sostenendo che le elezioni in quel momento siano una jattura. Un’ipotesi talmente disgraziata che… avrebbe dato un governo politico all’Italia! Il risultato è il governo tecnico di Mario Monti, che distrugge quasi tutto quanto restava da distruggere e finisce di portare il paese nel pantano della recessione.
2013: come ulteriore, magnifica conseguenza, si riorganizza Berlusconi e si organizzano nel frattempo le forze ottuse del qualunquismo. Mario Monti si dimette in anticipo di pochi mesi, col risultato collaterale, chissà se voluto, d’affossare il referendum contro la sua vergognosa riforma del lavoro a firma del ministro Fornero. Le elezioni si celebrano, finalmente, ma in conseguenza di uno dei tanti golpe della trista epoca berlusconista (l’introduzione della legge Calderoli) dànno infine il lungamente temuto, disastroso risultato dell’ingovernabilità. Le forze politiche non trovano un accordo: bisognerebbe sciogliere le Camere, o almeno il Senato, ma Napolitano è nel semestre bianco e tecnicamente non può. Invece di dimettersi come dovrebbe, non solo persiste in carica, ma mantiene in sella lo stesso Monti, dimissionario, senza neppure spingerlo a chiedere una nuova fiducia mediante una nomina. Inoltre, all’evidente scopo di creare una maggioranza di suo gradimento, che a nessun patto avrebbe potuto formarsi, incarica un’inaudita commissione di saggi di stabilire non si sa a che titolo quali siano le priorità del paese. Nel frattempo, punta nascostamente alla rielezione, pur dichiarando il contrario, come tutti i suoi predecessori. È un autentico golpe, mirato a obbligare il Parlamento a formare una maggioranza che il Sovrano non ha eletto e, forse, anche a riconfermarlo al Quirinale.
La priorità del paese è mandare in pensione questo novantenne fuori controllo.
P.S. Naturalmente con Sovrano intendo il Popolo e non il presidente della Repubblica.
Si fa presto a dire “golpe” . In realtà si tratta solamente di aspettare 15 giorni e poi si convocheranno le camere in seduta comune per l’elezione del nuovo presidente della repubblica. Presidente a cui toccherà l’arduo compito di sbrogliare la complicata matassa politico/istituzionale. 15 giorni ,e che sarà mai. Godetevi le festività ,se potete ! AUGURI a tutti !
Sì, ma durante il governo “tecnico”, il Partito Democratico non era andato in vacanza a Bellaria-Igea Marina, stava lì in Parlamento, a votare una dopo l’altra tutte le nefandezze che proponeva la coccodrilla Fornero, dal massacro delle pensioni all’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Non è certo colpa del Presidente della Repubblica, che non credo minacciasse a mano armata i vari Ichino del Partito Democratico, perché approvassero le “riforme”.