La Costituzione partecipativa

18 Mar 2013

Per fortuna, nel Parlamento che è cominciato, la grandissima maggioranza degli eletti ha meno anni della Costituzione. Ma vi è anche una giovinezza della Costituzione con la quale possono e devono incontrarsi. Basta saperne vedere le “ammorsature”. Con questa vecchia parola dell’arte muraria, Piero Calamandrei significava che la Costituzione ha molte sporgenze a cui, come nelle vecchie case, ci si può appigliare per continuarne la costruzione.

Per fortuna, nel Parlamento che è cominciato, la grandissima maggioranza degli eletti ha meno anni della Costituzione. Ma vi è anche una giovinezza della Costituzione con la quale possono e devono incontrarsi. Basta saperne vedere le “ammorsature”.
Con questa vecchia parola dell’arte muraria, Piero Calamandrei significava che la Costituzione ha molte sporgenze a cui, come nelle vecchie case, ci si può appigliare per continuarne la costruzione. È il progetto costituzionale, insomma, che si spinge nel futuro e perciò si mantiene giovane.
Presidenti delle Camere sono ora due rappresentanti della società civile, appena ieri incaricati in essa della funzione più alta: la tutela della comunità nazionale e internazionale contro la prepotenza e l’esclusione. Tocca a loro una parte rilevante nel portare avanti il progetto costituzionale.
Dal momento in cui sono eletti, i presidenti di Senato e Camera entrano a comporre, con il presidente della Repubblica, la triade che guarda all’equilibrio complessivo delle istituzioni. Devono stare accanto al capo dello Stato se arriva il momento più critico del regime parlamentare: lo scioglimento anticipato delle Camere (articolo 88). Capire cioè quando l’istituzione non riesce più a comunicare con gli elettori. È questo momento che colora giuridicamente tutto il resto: il loro dovere di essere, fin dall’inizio gli speaker di tutti, per parlare a tutti, dopo aver ascoltato tutti.
Questa opera di collegamento tra il lavoro della rappresentanza parlamentare e la società “informata” (e isolata) dei nostri giorni deve d’altra parte essere la bussola nella ricerca di una legittimazione smarrita. E se si seguono le “ammorsature” – le pietre che spuntano dall’ordinamento del passato per indicare l’avvenire – si scopre che la voce dei cittadini potrebbe continuare a sentirsi nelle procedure della democrazia parlamentare, lungo vie possibili in Costituzione, ma ostruite dal tempo e dalla cattiva volontà politica.
Si è fatto, ad esempio, un gran parlare di sotterfugi ideati per rendere trasparenti le sedute delle commissioni parlamentari. Ma la Costituzione dice che “le forme di pubblicità dei lavori delle commissioni” sono liberamente determinate dai regolamenti parlamentari (articolo 72). Non è difficile cambiarle con innovazioni comunicative se la grande ansia di parlare subito ai cittadini – di cominciare così a porre le premesse di una “procedura deliberativa” – è condivisa, come pare, dalla maggioranza assoluta dei parlamentari.
Ecco, ancora, la Costituzione dire che “ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse” (articolo 82). Il presidente Grasso ne ha già richiamato una, e cruciale. Ha fatto capire che questo “pubblico interesse” non può essere individuato solo dall’interno del Parlamento, in un gioco politico racchiuso tra maggioranza e opposizione. La Costituzione non si oppone infatti a che la richiesta di indagine su interessi e beni pubblici possa venire, rinforzata, dall’esterno: secondo procedure cittadine informatizzate e certificate in quel luogo di evidenza pubblica che è, di per sé, proprio il Parlamento.
Ecco l’opportunità costituzionale dell’iniziativa di progetti di leggi, redatti in articoli (articolo 71). Dice la Costituzione che ci devono essere almeno cinquantamila firme: ma è questo un problema con la possibilità di firme elettroniche certificate? E se i pigri regolamenti parlamentari fissano solo l’inizio e non la fine dell’esame di questi progetti sarebbe un problema modificarli per dare all’iniziativa popolare un percorso certo fino alla decisione obbligatoria? Per non parlare della possibilità che c’è ora di collegare iniziative popolari nazionali a iniziative cittadine europee (articolo 11 del Trattato: cittadini di almeno sette Stati dell’Unione che promuovono insieme “leggi” europee, ormai così incisive sul destino di tutti).
Ecco ancora la facoltà costituzionale di chiedere alle Camere “provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità”( articolo 50). Le “petizioni”: strumento sorpassato? Così sembra da noi a leggere gli striminziti regolamenti parlamentari. Non però se guardiamo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione (articolo 44) e al Parlamento europeo dove è istituito un registro informatizzato sul quale i cittadini possono dare, con la propria firma elettronica, il loro appoggio alle richieste di provvedere. E dove esiste addirittura una Commissione parlamentare per le petizioni (con una accurata procedura fatta da 24 commi contro l’avarizia dei nostri 9 commi, tra Camera e Senato).
E si potrebbe continuare. Ma già si vede insomma, che tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa non c’è il vuoto che si vuole artificiosamente immaginare e propagandare. Non c’è per il semplice fatto che la Costituzione del 1948 pone tra i suoi principi fondamentali proprio quello della “effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”(articolo 3). Ancora oggi, non si potrebbe dire meglio.
Il punto è che per rendere davvero “effettiva” quella partecipazione è ormai tempo di sviluppare, con i nuovi strumenti disponibili, le risorse dimenticate, le “ammorsature” della Costituzione. Anche questo è un programma di cittadinanza: i nuovi presidenti del Senato e della Camera lo hanno subito colto.

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