I costi dell’incertezza di Governo pagati dagli italiani. La necessità di un accordo

13 Mar 2013

Non deve quindi preoccuparci, secondo me, il taglio di Fitch; deve invece preoccuparci, e molto, l’incertezza politica e l’assenza di un nuovo governo. Tale incertezza si è tradotta in un aumento dello spread di circa 70 punti base; quei 70 punti base sono tutti lì e si dissolveranno solo quando si insedierà il governo.

La notizia del taglio del rating del debito Italiano operata da Fitch venerdì scorso, al livello BBB+, è una notizia negativa, ma non deve preoccupare più di tanto. Il rating è un giudizio analitico che alcune società private (le principali sono Standard & Poors, Moody’s e, appunto, Fitch), di grande prestigio internazionale e dalla consolidata reputazione, assegnano alle aziende e agli stati sovrani che si indebitano per valutarne l’affidabilità dal punto di vista del rimborso. L’abbassamento del rating vuol dire quindi che Fitch considera l’Italia un po’ meno affidabile; e in teoria, ciò rappresenta una difficoltà in più per l’Italia nel “vendere” i propri titoli, che essendo giudicati meno affidabili da un’agenzia prestigiosa potrebbero subire una svalutazione.

Tuttavia, la crisi dei debiti sovrani in Europa, cominciata con la crisi del debito greco, ha un po’ ribaltato questa situazione. Prima del 2009 erano i mercati a seguire le indicazioni delle agenzie di rating e a richiedere interessi più alti a seguito di un declassamento. Ciò resta sostanzialmente vero per i rating assegnati alle aziende; ma per quel che riguarda gli stati sovrani, avviene oramai proprio il contrario. Sono i mercati, infatti, ad anticipare le agenzie e il taglio di Fitch è stato già ampiamente scontato, a mio parere, nei prezzi dei titoli italiani. Cioé: non è una buona notizia, ma non è nemmeno una nuova notizia, sapevamo già che il risultato delle elezioni è stato gravemente negativo da questo punto di vista.

Non deve quindi preoccuparci, secondo me, il taglio di Fitch; deve invece preoccuparci, e molto, l’incertezza politica e l’assenza di un nuovo governo. Tale incertezza si è tradotta in un aumento dello spread di circa 70 punti base; quei 70 punti base sono tutti lì e si dissolveranno solo quando si insedierà il governo. Finché ciò non succederà, pagheremo il conto. Nel post precedente , abbiamo calcolato che nella sola asta di mercoledì 27 febbraio, due giorni dopo le elezioni, ci abbiamo rimesso circa 250 milioni di Euro. Vorrei sottolineare che questo non è un calcolo teorico, né una stima di interessi futuri: si tratta del calcolo, in contanti, di quanto abbiamo perso quel giorno. Se le elezioni si fossero tenute il 3 marzo, il Tesoro avrebbe incassato 250 milioni in più, in Euro sonanti, e li avrebbe anche potuti spendere (se ci fosse il Governo). E’ una perdita secca, e ingente. Purtroppo, le aste del tesoro continuano. Quelle in cui si perde di più sono quelle sui titoli a più lunga scadenza. E questo mercoledì, 13 marzo, c’è un’altra asta in cui dobbiamo piazzare BTP a 15 anni: un’altro conto salatissimo da pagare all’incertezza. Non ci sono alternative: senza le aste falliremmo, non si possono spostare. Quindi non ci resta che sperare che l’intesa per un nuovo governo si trovi presto. Il governo, poi, serve anche per mille altre ragioni, come i lavoratori del Monte dei Paschi di Siena, o della Bridgestone di Bari, sanno bene.

Commentare la situazione politica da un punto di vista “tecnico” è impossibile, e anch’io ho le mie opinioni. Tuttavia, credo che si possa tracciare una descrizione di quanto sta avvenendo che spero sia ampiamente condivisa. Alle elezioni il corpo elettorale si è diviso in tre parti, più o meno della stessa consistenza: destra, sinistra e movimentismo. Un’elementare regola democratica richiederebbe che sia la maggioranza a governare sulla minoranza, ma tale maggioranza non si può più identificare in una forza sola. L’idea di votare di nuovo subito o entro un anno a me appare semplicemente schizofrenica. Dovremmo sopportarne i gravi costi di cui ho parlato prima (oltre al costo di organizzarle di nuovo, che sarebbe il meno), e non riesco proprio a capire perché l’elettorato dovrebbe esprimersi molto diversamente da come si è appena espresso. Quindi le nuove elezioni, oltre che costose, potrebbero rivelarsi persino inutili. L’idea che gli elettori cambino il loro voto in massa è, quanto meno, velleitaria.

Pertanto, occorre che due forze sulle tre menzionate si mettano d’accordo ed esprimano una maggioranza, nel paese e in Parlamento. Da questa possibilità, però, credo sia necessario escludere la destra. Il motivo non è tanto che la destra è responsabile, politicamente, della situazione attuale; ma che il suo partito principale, il PdL, è un partito dominato dalla corruzione. Non si tratta della corruzione dei suoi singoli individui (oltre al suo leader, si pensi al caso dell’ex-ministro Fitto, condannato a 4 anni per una corruzione in solido di 150mila euro e ora in Parlamento), che sarebbe di per sé perdonabile, visto che gli uomini sono peccatori. Si tratta del fatto che la destra, e qui sta la differenza sostanziale con le altre forze politiche, non tenta nemmeno di isolare ed espellere i corrotti, ma anzi li premia, come nel caso di Razzi e Scilipoti, e inveisce contro i magistrati che svelano i reati commessi. Pertanto, in un momento come questo, a mio parere la destra non può far parte di una maggioranza di governo.

Resta pertanto una strada obbligata, e cioé l’accordo tra la sinistra e il movimentismo. E’ un accordo difficile, perché le differenze sono numerose e profonde; ma è l’unica strada, e le persone di buon senso non possono fare altro che imboccarla. Se si smettesse di pensare alle nuove elezioni come un evento imminente, forse si tratta di una via meno impervia di quello che può sembrare a caldo. Al di là dei nomi di chi formerà il governo, le due forze potrebbero decidere di realizzare le parti di programma che condividono, che non sono poche e richiederebbero almeno un paio d’anni di lavoro. Ad esempio, entrambe concordano sulla necessità di una riforma costituzionale del Parlamento, invocata dai più ormai da anni. Se non lo fanno, tra l’altro, non è detto che i provvedimenti in cui credono siano mai approvati: l’Italia è ancora in una grave crisi finanziaria, e potrebbe non sopportare i prolungati costi dell’incertezza politica, rendendo indecifrabile il quadro politico.

Pertanto, io mi auguro che le persone di buon senso e di buona volontà dismettano l’armamentario retorico degli insulti reciproci e si mettano semplicemente a lavorare, al più presto, per il bene di tutti. Sono convinto che i cittadini italiani, comunque la pensino, ringrazierebbero e che la realizzazione di alcune riforme porterebbe grandi benefici elettorali ad entrambe le forze. Al contrario, così come destra e sinistra sono state fortemente penalizzate dall’elettorato per aver concluso ben poco negli ultimi 10 anni, il fallimento di questo Parlamento potrebbe penalizzare in maggior misura proprio i movimentisti, nei quali è stata riposta la fiducia di un enorme numero di elettori. Elettori la cui delusione, se richiamati a votare, sarebbe cocente.

* Professore Associato Dipartimento di Economia Politica e Statistica · Università di Siena

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