“Grillo ha successo perché non va in tv ma l’aristocrazia dei blog ora non basta”

06 Mar 2013

SONO passati pochi anni, professor Umberto Eco, da quando ha detto che a volte avanziamo, ma «a passo di gambero». Parlava di «populismo mediatico» e di paradossi della civiltà tecnologica. Con il successo elettorale del Movimento 5 Stelle il gambero è ulteriormente arretrato?

SONO passati pochi anni, professor Umberto Eco, da quando ha detto che a volte avanziamo, ma «a passo di gambero». Parlava di «populismo mediatico» e di paradossi della civiltà tecnologica. Con il successo elettorale del Movimento 5 Stelle il gambero è ulteriormente arretrato?
«No, non è arretrato perché siamo di fronte a un cambiamento epocale. Arretrerebbe se Grillo insistesse a suggerire “faremo di quest’aula sorda e grigia un bivacco per i nostri manipoli”, perché lo aveva già detto Mussolini. Ma se ho delle esitazioni nei confronti di Grillo (che evidentemente si trova in un momento di stallo perché sta passando dalla protesta, in cui eccelle, alla gestione in positivo della sua rappresentanza parlamentare) ho invece una certa speranza nei confronti dei grillini anche se, non per colpa mia, non so ancora chi siano e cosa esattamente pensino sul come gestire la cosa pubblica. Se non altro non hanno ancora rubato».
Che cosa pensa della strategia che consente a Grillo di essere sempre in tv senza mai andarci?
«Io una volta avevo detto “la chiave del successo è non apparire mai in televisione”. Io non sono presente né su Facebook né su Twitter eppure vedo che qualsiasi cosa scriva viene ripreso su vari siti, e non posso fare un intervento nel più remoto seminario universitario che subito vado su YouTube. Dunque complimenti a Grillo che ha capito questo principio fondamentale: la comunicazione non è più diretta ma va come una palla di biliardo, ovvero si parla a nuora perché suocera intenda (o viceversa)».
L’insufficiente vittoria di Bersani è dovuta soprattutto a errori di comunicazione?
«Credo di sì e proprio nella Bustina di Minerva per il prossimo numero dell’Espresso dirò in sintesi che, quando Occhetto aveva annunciato di aver messo in piedi una gioiosa macchina da guerra, è iniziata l’epoca berlusconiana. E nel corso della scorsa campagna elettorale Bersani asseriva che avrebbe vinto e governato. Tutti abbiamo pensato che Bersani conducesse una campagna da gran signore, senza svaccare come i suoi avversari (ed era vero), ma non abbiamo tenuto conto che ogni volta che la sinistra si presenta come sicuramente vincente, perde. In un talk show Paolo Mieli aveva detto che da almeno sessant’anni in Italia il cinquanta per cento dei votanti non vuole un governo di sinistra o di centrosinistra. Non chiediamoci ora perché, è un fatto che per evitare un governo di sinistra (anche se l’aumento delle tasse è stato finora fatto solo da governi di centrodestra) una consistente porzione di elettori si è rivolta per cinquant’anni alla DC e per venti al berlusconismo. Forse la proposta alternativa poteva essere Monti ma (e anche questo è un fatto) non ha funzionato. Dunque la destra vince quando la sinistra convince l’elettorato moderato che sarà essa a salire al potere. Ne concludo che una dose di vittimismo è indispensabile per non galvanizzare gli avversari. Ovvero, per vincere devi seguire il principio (attuato da Berlusconi) del “chiagne e fotti”. Senza arrivare a tanto il PD poteva seguire il principio del “keep a low profile”, tieni sempre un “profilo basso”».
Tutti i partiti già esistenti hanno perso terreno.
«Credo che i partiti siano restii ad accettare il cambiamento epocale, e quindi danno ragione a Grillo quando usa l’appello (certamente populistico) del tutti a casa. Naturalmente non si ha democrazia dicendo che tutti i politici sono dei mascalzoni, ma che molti abbiano votato secondo questa persuasione, ecco un altro fatto, e coi fatti non si discute. Anche gli tsunami e le alluvioni sono un fatto, mentre chi fa le processioni per far piovere di solito rischia la siccità».
Sembra che Internet ormai possa giocare un ruolo preminente nella vita politica italiana, ma l’Italia è ancora molto arretrata nell’alfabetizzazione informatica e telematica.
«Questo è un problema capitale. Mi sono ricordato di alcune pagine del Contratto Sociale di Rousseau, che avevo studiato quando avevo dato con Norberto Bobbio l’esame di filosofia del diritto. Ora Rousseau distingue, in parole povere, tra il Sovrano (che non è il re bensì rappresenta la volontà genera-le), il popolo che lo incarna e il governo che mette in opera le leggi volute dal popolo. Ma sa benissimo che, se l’ideale della democrazia è l’agorà greca, dove tutto il popolo, e cioè la totalità degli individui, partecipa alla cosa pubblica senza mediazione, e vi debbono essere “più cittadini magistrati che cittadini semplici privati”, il principio vale per gli stati piccoli ma non può valere per gli stati troppo grandi “perché non è pensabile che il popolo rimanga in perpetua assemblea per disimpegnare i pubblici affari”. Rousseau è molto scettico circa le assemblee
rappresentative (e dunque i parlamenti) e pertanto ritiene che “più ingrandisce lo Stato e più il governo dovrebbe restringersi in modo che il numero dei governanti diminuisca con l’aumento della popolazione”. Sono idee sue, che non discuteremo».
Rousseau confuta Grillo o Grillo confuta Rousseau?
«Il grillismo parlamentare è una contraddizione, di qui gli imbarazzi di Grillo, perché la sua idea era quella di un grillismo informatico. Cioè, se è impossibile riunire a legiferare i cittadini su una piazza, si crea la piazza informatica e mediante Internet in cui tutti parlano con tutti si ricrea l’agorà ateniese, per cui il Sovrano è “on line”. Ma l’idea non tiene conto del fatto che gli utenti del Web non sono tutti i cittadini (e per lungo tempo non lo saranno) per cui le decisioni non vengono prese dal popolo sovrano ma da un’aristocrazia di blogghisti. Pertanto non avremo mai il popolo in perpetua assemblea. Questo è l’impasse del grillismo che deve scegliere tra democrazia parlamentare (che esiste, e che lui ha accettato partecipando alle elezioni) e agorà, che non esiste più o non ancora. Una democrazia informatica è parsa esistere nella cosiddetta primavera araba, e ora vediamo chi poi ne ha approfittato ».
Una rilevante quantità di intervistati ha mentito, come sempre: ma questa volta hanno favorito in segreto un movimento che predica la trasparenza. Sono i paradossi della «sondocrazia » ?
«C’è la barzelletta di quel bambino a cui chiedevano sempre se era un bambino e lui rispondeva una bambina, piombando nello sconforto i suoi genitori, che evidentemente erano all’antica. Poi quando da adolescente ha cominciato ad andare a ragazze i genitori gli hanno chiesto perché allora diceva di essere una bambina. E lui ha risposto: “quando mi fanno domande stupide do sempre risposte stupide”. Ecco, se qualcuno viene a chiedermi per telefono per chi voterò (o anche che cosa penso del tal prodotto) mi sento autorizzato a raccontargli una qualsiasi panzana».
Anche in politica, come in letteratura e nella comunicazione massmediale, sembra che il pathos oramai predomini sul logos. È altrimenti difficile spiegare certi flussi che hanno portato per esempio sostenitori di Renzi a votare per Grillo. È l’entertainment, o il “politainment”, che batte la politica? La politica è diventata anch’essa soggetta alla legge consumistica per cui tutto ciò che è nuovo è più attraente?
«In tempi in cui il vecchio non suscita più passioni anche il nuovo può diventare attraente. Ma il problema è che Nixon è stato battuto da Kennedy perché si è mostrato in TV con la barba malfatta. Nixon doveva ispirare sfiducia per ben altre ragioni, ma ha perso a causa del suo barbiere. Il Sovrano di Rousseau non sempre ragiona con la testa ma (a essere indulgenti) col cuore, e il cuore può fare brutti scherzi, come prova il numero di divorziati e il prurito del settimo anno».
I “tecnici” in politica non hanno avuto più successo degli intellettuali éngagés di una volta. È una sconfitta della cultura e della competenza, proprio in tempi che si vorrebbero meritocratici?
«Ma se hanno ammazzato Socrate, perché fa domande del genere? E, francamente, perché e per chi facciamo questa intervista? Ma in fondo siamo ancora gramsciani, pessimismo della ragione e ottimismo della volontà».

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